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L'AZZARDO CINESE - IN BORSA CI SONO 90 MILIONI DI PICCOLI AZIONISTI, PIÙ DEGLI ISCRITTI AL PARTITO COMUNISTA, CHE GIOCANO CON LA FINANZA COME AL CASINÒ - PECHINO IN BAMBOLA: CHIUDO I MERCATI, ANZI LI APRO, ANZI BOH. E LA FIDUCIA TRACOLLA

1. I 90 MILIONI DI INVESTITORI CHE A SHANGHAI GIOCANO IN BORSA COME AL CASINÒ

Cecilia Attanasio Ghezzi per “la Stampa

 

Per la Borsa cinese il 7 gennaio è stato il giorno più breve di sempre. Dopo appena 14 minuti Shanghai ha perso il 5 per cento e si è azionato l'«interruttore», la sospensione di 15 minuti introdotta il 4 gennaio proprio per controllare la volatilità dei mercati. Non è bastato. Anzi probabilmente ha peggiorato la situazione.

 

bolla finanziaria cinese  1bolla finanziaria cinese 1

Appena le contrattazioni sono riprese si è registrato un nuovo calo del 7 per cento e le Borse hanno chiuso per la giornata. In serata è stata annunciata anche l' abolizione della nuova misura dalla contrattazione di venerdì. Invece di calmierare i danni, evidentemente, avrebbe contribuito a diffondere il panico perché impedisce agli investitori di vendere liberamente quando le perdite si fanno ingenti. In soli quattro giorni l' indice di Shanghai ha perso il 12 per cento tornando ai livelli di inizio 2015.

 

Il mercato azionario cinese è secondo solo a quello degli Stati Uniti, ma ha caratteristiche proprie. Le Borse di Shanghai e Shenzhen contano 90 milioni di piccoli azionisti, più degli iscritti al Partito comunista cinese, che giocano con la finanza come fossero al casinò. Secondo alcune stime, costituiscono circa l' 80 per cento del totale degli investitori. Così, quando a primavera del 2015, l' indice di Shanghai è salito vertiginosamente fino a toccare rialzi del 150 per cento, i piccoli risparmiatori cinesi sono stati travolti da un' euforia contagiosa. Solo a maggio scorso sono stati aperti 12 milioni di nuovi conti-titoli.

 

SCENE DI PANICO

bolla finanziaria cinese  2bolla finanziaria cinese 2

È così che i grandi investitori hanno cominciato a vendere. Il 12 giugno il sistema che aveva portato a guadagni facili ha cominciato a crollare ed è esploso il panico. Il governo ha cercato di tamponare con misure di emergenza e i piccoli risparmiatori hanno svenduto: se il governo non crede più nelle Borse meglio lasciar perdere.

 

In poche settimane i mercati azionari cinesi hanno perso il 45 per cento del loro valore, una situazione che ha spinto il governo ad intervenire con misure drastiche. Prima tra tutte quella in scadenza domani: vietare la vendita di azioni a chiunque possieda più del 5 per cento di un titolo. Ora questa misura sarà sostituita da un' altra: dal 9 gennaio i grandi azionisti potranno vendere solo l' 1 per cento delle azioni di un titolo ogni tre mesi.

È evidente che queste misure non sono dirette ai piccoli azionisti. Le stesse statistiche dell' indice di Shanghai, descrivono le decine di milioni di piccoli investitori cinesi come numerosi, ma di poco peso.

l assalto dei risparmiatori al finanziere cinese shan jiuliang  2l assalto dei risparmiatori al finanziere cinese shan jiuliang 2

 

Il 90 per cento di loro possiede azioni per un valore inferiore ai 14 mila euro. Considerando che l' intero mercato azionario cinese ammonterebbe a 6500 miliardi di euro, si può assumere che oltre due terzi degli investitori possiedono complessivamente meno del 5 per cento dei titoli. L' insieme delle aziende di Stato, da solo, capitalizza il 6 per cento del totale.

 

I SOLDI DELLO STATO

Il punto è che questo governo ha investito credibilità e prestigio sullo sviluppo del mercato azionario. Secondo Goldman Sachs, per controllare i mercati finanziari, Pechino avrebbe investito oltre 210 miliardi di euro nei soli mesi di luglio e agosto dello scorso anno. All' inizio del loro mandato il presidente Xi Jinping e il premier Li Keqiang hanno affermato, per la prima volta nella Cina comunista, la volontà che le forze di mercato giocassero «un ruolo decisivo» nell' allocazione delle risorse.

 

l assalto dei risparmiatori al finanziere cinese shan jiuliang  3l assalto dei risparmiatori al finanziere cinese shan jiuliang 3

Ma a metà giugno hanno dimostrato con chiarezza che non erano disposti a lasciare che il mercato si auto-regolamentasse. A sei mesi di distanza, l' errore è stato ripetuto. Il crollo di ieri ha dimostrato a tutti che c' è qualcosa che il Partito comunista non è in grado di controllare: la Borsa.

 

 

2. IL GOVERNO DI PECHINO INDECISO SU TUTTO FA CRESCERE IL CAOS

Federico Rampini per “la Repubblica

 

Chiudo la Borsa, così la smette di scendere. Anzi no, la riapro. Lo sbandamento del governo cinese di fronte al crac, spaventa tanto quanto i problemi dell’economia reale che gli fanno da sfondo. Lo spettacolo offerto dalle autorità di Pechino è sconcertante. Messo alle strette dalla fuga dei capitali dal mercato azionario di Shanghai, il governo ha reagito in modo incerto, contraddittorio e perfino scomposto.

 

La figuraccia non si addice alla seconda potenza economica mondiale. Rivela una “transizione incompiuta”. La leadership comunista, per quanto abbia formazione tecnocratica e moderna (talvolta nelle università americane), nel momento della paura torna ai vecchi riflessi pavloviani: s’illude che il “genio” (benefico o malefico) dei mercati sia una creatura docile, e gli ordina di “tornare nella bottiglia”.

XI JINPING - LI KEQIANGXI JINPING - LI KEQIANG

 

Uno spettacolo simile si era visto ad agosto. Si è ripetuto negli ultimi tre giorni, con il nuovo pesante scivolone delle quotazioni azionarie cinesi. Il governo in sole 48 ore ha fatto tutto e il contrario di tutto. Ha usato mezzi amministrativi, editti dall’alto, per contrastare il crollo imponendo alle banche pubbliche di comprar titoli. Ha lanciato minacciosi proclami contro gli speculatori al ribasso.

 

Ha usato generosamente i “circuit-breaker”, parola presa in prestito dagli impianti elettrici: “spezza-circuito” è il termine inglese, in italiano sono i dispositivi salvavita che impediscono di morire fulminati. In Borsa sono meccanismi di interruzione automatica degli scambi, qualora le oscillazioni di prezzo eccedano una certa soglia.

 

xi jinpingxi jinping

I “circuit-breaker” esistono in molte Borse occidentali inclusa Wall Street. Ma le autorità cinesi ne hanno fatto un uso davvero abbondante. Fino a decidere la chiusura totale della Borsa, quando scendeva troppo. Il colmo si è raggiunto ieri: Shanghai ha operato per soli 30 minuti, poi basta. Infine il ripensamento. Con un dietrofront le autorità annunciavano che oggi la Borsa avrebbe operato normalmente, senza sospensioni. Il tira- e-molla non ha rassicurato nessuno.

 

A questo si è sovrapposto l’effetto della svalutazione. Anche sulla moneta nazionale, yuan o renminbi, il governo di Pechino sta giocando col fuoco. Iniziò a svalutarla nell’agosto scorso, presentando la sua decisione come un avvicinamento ai valori di mercato. Le autorità cinesi, a cominciare dalla banca centrale, hanno spiegato a più riprese di voler trasformare il renminbi in una moneta pienamente convertibile, il che comporta lo smantellamento delle restrizioni sui movimenti di capitali.

SCOPPIATA LA BOLLA ALLA BORSA SHANGHAISCOPPIATA LA BOLLA ALLA BORSA SHANGHAI

 

Decisione benvenuta al Fondo monetario internazionale, che infatti a novembre ha premiato la Cina inserendo il renminbi nelle sue valute ufficiali insieme a dollaro, euro, yen e sterlina. Ma questo ha generato negli investitori la previsione – o il sospetto – che il presidente Xi Jinping voglia anche aiutare l’industria esportatrice con un renminbi debole. La prospettiva di una svalutazione competitiva è stata confermata questa settimana quando il renminbi ha ripreso a scivolare al ribasso. E’ scattata la spirale delle aspettative: gli investitori ora si attendono che la valuta cinese vada più giù.

 

borsa shanghai 1borsa shanghai 1

E allora preferiscono uscire dalla Borsa di Shanghai per non subire perdite su titoli espressi in una moneta che sta calando. I risparmiatori cinesi considerano urgente mettersi al riparo anche loro. Come si spiegano i molteplici errori commessi da Xi Jinping e dalle varie autorità responsabili per il governo dell’economia, inclusa la banca centrale che non è indipendente dal potere politico?

 

Una spiegazione semplice chiama in causa la curva di apprendimento. I leader cinesi hanno mostrato competenza ed efficacia in altri campi dello sviluppo economico ma la finanza globale è un mondo ancora in parte nuovo per loro. Inoltre questa classe dirigente ha conosciuto 30 anni di boom, ora deve fare i conti con la prima vera crisi da quando la Cina è un colosso mondiale.

 

yuanyuan

Ebbe solo due episodi di “quasi-crisi”: l’epidemia Sars del 2003 quando l’economia cinese temette l’isolamento (durò pochi mesi); poi la Grande Contrazione americana del 2008-2009 che ebbe pesanti contraccolpi sull’export cinese. In quell’epoca che oggi sembra lontana, la Cina poteva risollevarsi con gli strumenti classici del dirigismo, del capitalismo di Stato, delle grandi manovre di spesa. Di fronte all’attuale rallentamento, Xi Jinping non vuole ripercorrere una strada che ha gravato il sistema economico di troppi debiti, opere pubbliche inutili, cattedrali nel deserto, inefficienze e corruzione. Deve reagire a questa crisi con terapie nuove. Non è rassicurante che il suo “addestramento” avvenga in volo, nel mezzo di turbolenze serie.

 

DOLLARO YUANDOLLARO YUAN

C’è poi il problema del consenso, che anche un regime autoritario deve porsi. Centinaia di milioni di cinesi hanno investito i loro risparmi in Borsa. Xi sta facendo uno sbaglio psicologico ed uno politico. Con i suoi interventi per fermare il crollo delle azioni crea aspettative che non potrà soddisfare, quindi diffonde ulteriore insicurezza. L’errore politico è quello di legare la propria immagine all’indice di Borsa. Questa Cina sta imboccando una transizione delicata, verso un orizzonte che si potrebbe riassumere così: crescere meno ma crescere meglio. Prima di arrivarci, però, può incappare in tempeste violente. E tutti quanti dobbiamo allacciare le cinture di sicurezza.

 

 

 

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