VAFFABANKA! - MAXI SEQUESTRO DA 31 MLN € A UNICREDIT, BANCA ITALEASE E TERCAS PER IL CRAC DELLA DIMAFIN DI RAFFAELE DI MARIO, IL CARPENTIERE MOLISANO CHE HA CREATO UN IMPERO IMMMOBILIARE DA 800 MLN € INDEBITANDOSI PER 500 MLN € - INDAGATI GLI EX VERTICI DELLE BANCHE: AVREBBERO CONTINUANO A FINANZIARE L’AZIENDA IN FALLIMENTO SOLO PER RIENTRARE DEI CREDITI…

Domenico Lusi per L'Espresso

Sono ventinove gli indagati dell'inchiesta sul crac Dimafin, il gruppo del costruttore molisano Raffaele Di Mario, che ha portato al sequestro di 31,6 milioni di euro a diversi istituti di credito: oltre 12 milioni a Unicredit, 7,9 milioni a Banca Italease, 8,1 milioni alla Tercas, la Cassa di Risparmio di Teramo e 2,6 milioni alla società Factorit spa. Nelle carte dell'indagine, che l'Espresso ha potuto consultare, ci sono parecchi nomi illustri della finanza italiana.

Tutti indagati, insieme allo stesso Di Mario e ad alcuni ex dirigenti delle società del gruppo, per bancarotta preferenziale, bancarotta patrimoniale e concorso in omesso versamento di imposta. E' il caso di Gianni Coriani, ex amministratore delegato di Unicredit Corporate Banking e di altri sette ex dirigenti della banca: Mario Fertonani, Giorgio Bonavida, Tiziano Carubbi, Andrea Mezzadri, Cristian Giusti, Michele Gallo, Giovanni Passaretti.

Ci sono poi gli ex vertici di Banca Italease Lino Benassi, Massimo Mazzega e Massimo Minolfi, rispettivamente ex presidente, ex ad e ex vicepresidente, Massimo Luviè, ex membro del cda, gli ex membri del collegio sindacale Pierluigi De Biasi, Luigi Gaspari, Pietro Mazzola, Antonio Aristide Mastrangelo, i funzionari Massimo Cagnacci e Ferdinando Caresana. Indagati anche Lino Nisii, Antonio Di Matteo e Claudio Di Gennaro, rispettivamente ex numero uno, ex direttore generale ed ex vicepresidente di Tercas.

Il crac del gruppo Di Mario, un carpentiere di Isernia divenuto in pochi anni un piccolo Berlusconi, risale al mese di marzo dello scorso anno, quando lo stato di crisi della Dimafin, la holding con sede a Pomezia, diventa insostenibile e porta al fallimento della Dima Costruzioni, la cassaforte dell'imprenditore.

E dire che nell'arco di appena dieci anni Di Mario, balzato agli onori delle cronache nel 2004, quando acquistò Palazzo Sturzo, all'Eur, per 40 anni sede della Dc, aveva messo su un impero immobiliare da oltre 800 milioni di euro. A fronte, tuttavia, di debiti che alla fine del 2008, quando inizia a manifestarsi la crisi di liquidità del gruppo, erano di 500 milioni di euro, per lo più verso istituti di credito. Gli stessi che, fino ad allora, avevano accompagnato la crescita del costruttore: Italease, Unicredit e Tercas.

«Ho sempre pensato che Di Mario avesse fatto una cosa straordinaria, praticamente unica" commenta un esperto in ristrutturazioni di aziende in crisi che all'epoca si occupò della vicenda "Non mi era mai capitato di vedere qualcuno che riesce a indebitarsi con le banche per 500 milioni di euro con un patrimonio di 800 milioni tutto in immobili».

A partire dai primi mesi del 2009 Di Mario arruola diversi esperti in crisi aziendali per cercare di uscire fuori dal pantano in cui si è cacciato. Ma le banche temono il crac e non lo sostengono più. L'ascesa del costruttore si interrompe il 29 marzo 2011, quando il Tribunale di Roma dichiara il fallimento della Dima Costruzioni e di altre sette società di Di Mario. Il botto è clamoroso: 500 milioni di euro di debiti e 1000 dipendenti a casa da un giorno all'altro.

Nel frattempo è partita l'inchiesta del procuratore aggiunto Nello Rossi e dei pm Francesca Loy, Giuseppe Cascini e Maria Sabina Calabretta che il 7 aprile 2011 porta all'arresto di Di Mario e di due stretti collaboratori, Paola Ronzio e Lucio Giulio Capasso (da tempo tutti tornati in libertà). Bancarotta fraudolenta per distrazione, reati fiscali e false fatturazioni, le accuse mosse ai tre per il fallimento della società Niccodemi, riconducibile alla galassia Dimafin, e alla vendita per 108 milioni a Banca Italease del centro commerciale "Dima Shopping Bufalotta", a Roma.

Alla fine dello scorso anno gli accertamenti del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza, guidato dal generale Leandro Cuzzocrea, fanno emergere un nuovo filone dell'inchiesta: quello sulle banche, i creditori più esposti, insieme al fisco. A mettere nei guai gli istituti di credito sono le dichiarazioni dello stesso Di Mario, che da diversi mesi sta collaborando con i magistrati, e di Lucio Giulio Capasso, amministratore unico della Diana Più Srl, titolare dell'intero pacchetto azionario della Dimafin, sul quale Unicredit Corporate Banking vanta un credito pignoratizio.

Dalle dichiarazioni di Di Mario e Capasso emerge l'esistenza di piano degli istituti di credito più esposti per rientrare dei loro crediti. Le banche, ha riferito Capasso ai pm il 6 aprile 2011, «hanno contribuito in maniera determinante allo stato di crisi del gruppo». Il collaboratore di Di Mario ha riferito di una mail inviata il 6 novembre 2009 da un dirigente di Unicredit a 30 finanziatori in cui si avvertiva di "predisporsi affinché il processo ex articolo 67 (il risanamento su iniziativa dell'imprenditore che mette al riparo da azioni revocatorie pagamenti e garanzie concesse, ndr) abbia un successivo approdo alle previsioni ex articolo 182 bis (n accordo di ristrutturazione del debito da omologare in tribunale col placet della maggioranza dei creditori, ndr)".

Secondo Capasso l'onerosa intesa per il risanamento del gruppo (10 milioni solo in consulenze) sottoscritta da Di Mario sarebbe stato un escamotage usato dalle banche per scavallare l'esercizio 2009 evitando pesanti svalutazioni nei loro bilanci e avere più tempo per rientrare dai crediti. Non solo: in precedenza, secondo Capasso, gli istituti avrebbero «imposto a Di Mario la decisione di non versare l'Iva per destinare i relativi importi all'estinzione delle posizioni debitorie in essere verso il ceto bancario».

Alcune delle accuse hanno trovato conferma nelle indagini effettuate in questi mesi dalle Fiamme Gialle. Secondo gli investigatori le banche, pur consapevoli dello stato pre-fallimentare in cui versava il gruppo Di Mario, hanno continuato a finanziarlo con il solo obiettivo di rientrare dei loro crediti. I sequestri eseguiti oggi si riferiscono, in particolare, a un'operazione del dicembre 2008, quando alcune società di Di Mario conferirono gran parte degli immobili e dei terreni del gruppo, per un valore di 204 milioni, al fondo di investimento Diaphora 1, gestito dalla Sgr altoatesina Raetia, oggi in stato di liquidazione.

L'operazione sarebbe stata un escamotage utilizzato dalle banche per continuare a erogare a Di Mario, indirettamente, tramite la Sgr, i finanziamenti necessari a tenerlo a galla, in modo da avere più tempo per rientrare delle loro esposizioni a danni degli altri creditori. Non a caso almeno 31,6 dei 42 milioni di Iva che Raetia, come previsto dalla legge, ha pagato alle società del gruppo Dimafin per i beni ad essa conferiti perché li versassero all'Erario sono stati girati da Di Mario a Unicredit, Italease e Tercas. Da qui i sequestri eseguiti oggi nei confronti dei tre istituti di credito e le accuse ai dirigenti di banca che, all'epoca, gestirono l'operazione.

 

 

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