MORIRE DI FINANZA: I MISTERIOSI SUICIDI CHE TRASFORMANO IL PARADISO SVIZZERO IN UN INFERNO

Ettore Livini per "La Repubblica"

Prima lo "gnomo" del private banking e il re delle caramelle. Poi il guru depresso dei telefonini. Ora il boss delle assicurazioni. La tragedia del male oscuro della Svizzera Spa vira verso il giallo e - almeno per ora - pare lontana dal lieto fine. Il quarto, e per ora ultimo, atto di questa drammatica catena di suicidi a sei zeri è andato in scena pochi giorni fa di fronte alle acque del lago di Zug, nell'idilliaco (specie fiscalmente parlando) paese di Walchwil, a due passi da casa di Sergio Marchionne. Pierre Wauthier, direttore finanziario di Zurich Insurance, si è chiuso nella sua casa rossa a tre piani e ha deciso di dire basta.

Ha preso carta e penna, scritto un "j'accuse" al vetriolo contro il suo potentissimo superiore Josef Ackermann. E poi, sigillata la lettera, si è tolto la vita. Soldi e successo non sono bastati a comprargli la serenità. «Colpa delle pressioni dell'ex numero uno di Deutsche Bank», ha detto senza mezzi termini la moglie Fabienne. Sospettato di «pressioni illecite» (farà luce un'indagine interna di Zurich) per fargli rivedere i suoi metodi contabili.

Un caso isolato? Tutt'altro. La storia recente delle grandi aziende della terra di Heidi è segnata da una misteriosa - e per certi versi inspiegabile - scia di sangue. Il 52enne Alex Wilder, carismatico numero uno della gloriosa banca privata Julius Baer, è morto «inaspettatamente » (come recitava con under statement rosso crociato la nota della società) nel 2008. Suicida, dicono tutti, per motivi che mai nessuno è riuscito a chiarire.

I fantasmi che hanno ucciso Adrian Kohler sono invece più chiari: l'amministratore delegato della Ricola, le leggendarie losanghe alle erbe, è stato accusato di aver rubato soldi in azienda («spiccioli», ha detto poi la società). Non ha voluto attendere il processo. È uscito di casa all'alba, ha iniziato a camminare a fianco delle rotaie della ferrovia a Moutier. E appena ha visto arrivare un treno si è lanciato sotto le ruote del locomotore.

Dopo di lui, è toccato a Carsten Schloter. L'enfant prodige che ha trasformato Swisscom in uno dei big della telefonia si è tolto la vita poco più di un mese fa, lasciando ex-moglie, tre figli e una nuova compagna. Il suo malessere l'aveva affidato come un "Sos" pubblico a un'intervista: «La cosa più pericolosa è finire senza accorgertene in un loop di attività compulsiva - ha confessato -. Io trovo sempre più difficile scalare di una marcia la mia esistenza».

Quanto pericolosa è stato chiaro a stretto giro di posta quando il mix superlavoro- lontananza dai figli («ne soffro molto», aveva ammesso) si è rivelato per Schloter un cocktail mortale.

Un poker di suicidi da brividi. Di fronte a cui la parola d'ordine in Svizzera è sempre manzonianamente la stessa: "Sopire, troncare. Troncare e sopire". Anche per non danneggiare l'immagine di un Paese che non è sfuggito alla crisi (il Pil nel 2012 è cresciuto "solo" dello 0,5%) ed è accerchiato da vicini in crisi finanziaria che hanno messo nel mirino il segreto bancario e i miliardi nascosti dagli evasori nei caveau rossocrociati. La Spoon River milionaria di Berna - dicono però i sociologi - è però anche spia di altro: un sistema che stritola i suoi protagonisti.

Al pian terreno dell'ascensore sociale, come dimostra la tragica morte nella doccia del dormitorio di Bethnal Green, a Londra, di Moritz Erhardt, 21enne stagista reduce da 72 ore di lavoro consecutive in Bank of America. Ma anche
nei super-attici degli ad dove gli stipendi da favola non bastano a domare i mostri di stress e depressione.

La Svizzera - dove carattere freddo ed ego ipertrofici «portano molti manager a chiedere aiuto troppo tardi», come sostiene Jenny Gould executive coach della Stp di Oxford - è il focolaio più pericoloso di questo male oscuro. Ma nessun Paese ne è indenne. E l'unica medicina è riuscire a dire basta senza puntarsi una pistola
alla tempia o appendersi a una trave con un cappio al collo.

Si può e funziona: Peter Voser, svizzero e presidente della Shell, ha saputo farsi da parte per tempo. Rinunciando a qualche franco (in fondo nel 2012 ne aveva guadagnati 10 milioni) per «dedicarsi a figli e famiglia». Lo stesso ha fatto poche settimane fa Joe Hogan, promettente direttore generale dell'elvetica Abb. Antonio Horta-Osorio, numero uno della banca inglese Lloyd's è stato costretto a prendersi due mesi di aspettativa «per insonnia e sovraffaticamento da lavoro», tra i risolini dei workaholic della City che ironizzavano sul suo passaporto spagnolo.

Salvo poi rientrare alla base e salvare l'istituto britannico dal crac. Il 55enne Jeff Kindler, numero uno del colosso della salute Pfizer, ha gettato la spugna perché il lavoro l'aveva (ipse dixit) «logorato troppo». Uscito di scena sì. Ma senza i botti e il sangue che hanno segnato in questi mesi il tragico malo oscuro della Svizzera e del suo establishment sull'orlo di una crisi di nervi.

 

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