“NO ALLA FORMULA DEL SANGUE” - MOTORI PRONTI NEL BAHREIN FRA LE PROTESTE DEGLI SCIITI

Alberto Stabile per "La Repubblica"

Un esercito di hostess filippine sorridenti ed eleganti nelle loro divise rosso Ferrari guida i nuovi arrivati verso confortevoli salotti, giusto il tempo necessario a controllare i documenti. Fuori, le limousine destinate agli ospiti aspettano con il motore acceso. Gli alberghi sono esauriti.

Sulle strade del centro la presenza della polizia si nota appena. Ad un anno di distanza dall'ultimo Gran Premio, Manama appare più ordinata, più pulita, più serena. Ma è dopo il tramonto che si accendono i fuochi della rivolta, e non tra i grattacieli vetro e acciaio
del Financial Harbour, o tra le ville del distretto diplomatico, ma nei quartieri poveri di Budeja, Sanabys, Sitra dove anche quest'anno i giovani sciiti aspettano la Formula1 per fare sentire al mondo che ci sono ancora, che non si sono piegati.

I luoghi della rivolta non sono cambiati. Bilad al Qadim è un agglomerato di case basse su cui troneggiano da lontano le torri del business internazionale e i grandi mall del consumismo globale. Qui non ci sono giardini di palme e prati all'inglese
trapiantati nella sabbia del deserto, come quelli che fioriscono nei quartieri dei ricchi, ma spiazzi abbandonati dalla speculazione, trasformati in improvvisate discariche.

L'illuminazione pubblica è minima. Le strade, avvolte nella penombra, offrono ai dimostranti un'agevole retrovia. Così, come dal nulla, ad orari fissi, si accendono i falò della rivolta. Le barricate di rifiuti e copertoni bruciano tutta la notte. Dal giardino di una moschea vicina, piovono bottiglie incendiarie non soltanto sui blindati della polizia, ma anche sulle macchine costrette a rallentare.

Nell'aria sia addensano fumi velenosi. Sul muretto che circonda la Moschea qualcuno ha scritto: "No alla Formula del sangue". In realtà, la città, ovvero il Bahrein, che in gran parte coincide con la sua capitale, è diviso in due. Quelli che amano la Formula1 e quelli che la detestano, ma la usano.

Quelli che vorrebbero presentare il Gran Premio come evidenza, come dimostrazione della ritrovata normalità, due anni e passa dopo l'inizio della rivolta degli sciiti, e quelli che, invece, approfittano della presenza dei media, richiamati in massa dall'evento sportivo, per denunciare che nulla è cambiato nel reame secolare degli al Khalifa, la democrazia latita, la discriminazione della minoranza sunnita contro la maggioranza sciita impera, la repressione in agguato affina sempre di più i suoi metodi.

E allora, come l'anno scorso, accanto al grande show delle macchine che richiamerà milioni di spettatori davanti alla tv in ogni angolo del mondo, anche stavolta gli oppositori cercheranno di inscenare il dramma senza fine di una protesta sociale e politica che, se non ci fosse la Formula1, con il suo esercito di telecamere e di giornalisti, probabilmente sarebbe già stata dimenticata.

Una grande manifestazione è stata convocata per venerdì dal raggruppamento dei partiti d'opposizione Al Wafaq. Ma siccome il messaggio dei dimostranti potrebbe risultare impopolare presso il grande pubblico degli appassionati di motori, uno dei leader del Wafaq, Khalid Marzuk si affretta a precisare che la manifestazione sarà «assolutamente pacifica» e non punta a sabotare il Gran Premio, tant'è che per domenica non è prevista nessuna mobilitazione di piazza.

Il punto è che il Wafaq non rappresenta tutta l'opposizione sciita e lo stesso Marzuk ammette che una bella fetta dei giovani militanti sfugge al controllo dell'organizzazione. Come quelli che la notte tra domenica e lunedì hanno fatto esplodere un ordigno artigianale nella City rivendicando l'operazione con la firma inedita e probabilmente di comodo di "Collettivo 14 Febbraio", dalla data (14 Febbraio, 2011) in cui è iniziata la rivolta.

Gli stessi, ieri sera, hanno chiarito le loro intenzioni, diffondendo lo slogan che accompagnerà le proteste in questo fine-settimana: "Vulcano di collera". Ora, è difficile che questi umori esacerbati possano compromettere la gara di domenica. Le misure di sicurezza dovrebbero impedire una salto imprevedibile della tensione.

L'autostrada per l'autodromo di Sakhir è stata messa sotto strettissima vigilanza. Blindati quasi ad ognuno dei 30 chilometri che separano la pista da Manama. Pattuglie a terra, ovviamente armate, osservano voltando le spalle al traffico i quartieri sciiti che costeggiano la grande arteria. L'autodromo stesso è circondato da una rete di posti di blocco.

Ma non è soltanto lo spiegamento di polizia sul terreno a rendere improbabili incidenti gravi. C'è anche il fatto che l'opposizione appare indebolita dagli arresti preventivi (un centinaio dicono quelli del Wafaq) e dalla stanchezza di molti militanti. «Non vedo perché il Gran premio non debba essere un successo", ha detto Bernie Ecclestone, il deus ex machina della Formula1, aggiungendo di essere disposto ad incontrare i leader dell'opposizione. Cosa che potrebbe anche succedere.

 

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