NON CHIP RESTA CHE PIANGERE - VOLKSWAGEN COME STELLANTIS: FABBRICHE CHIUSE E PRODUZIONE FRENATA PER MANCANZA DI MICROPROCESSORI - DURANTE IL LOCKDOWN LE AZIENDE CHE LI FABBRICANO HANNO SPOSTATO LA LORO VENDITA VERSO IPHONE, COMPUTER E ALTRI DEVICE CHE NELLA FASE ACUTA DEL CORONAVIRUS HANNO VISTO UN'IMPENNATA DELLA DOMANDA: COSÌ L'INDUSTRIA AUTOMOTIVE MONDIALE È RIMASTA FREGATA E NON SEMBRA CHE L'EUROPA SI STIA ATTREZZANDO PER TROVARE UN RIMEDIO...
Tobia De Stefano per “Libero Quotidiano”
Ieri è toccato a Scania, gruppo Volkswagen, il produttore svedese di autocarri ha annunciato la sospensione per una settimana della produzione in Svezia, Francia e Paesi Bassi. Poco dopo metà agosto, invece, era stato il colosso Toyota a far sapere che a settembre avrebbe portato sul mercato il 40% delle auto in meno.
Venerdì i sindacati avevano svelato che la Sevel di Atessa - gruppo Stellantis che ieri ha confermato la chiusura di altri siti in Europa - si sarebbe fermata per una settimana. Non solo, nello stesso comunicato i rappresentanti dei lavoratori parlavano di rischi per il sito di Melfi (500x, Compass e Renegade), così come è cosa nota che i cancelli di Pomigliano, dove nasce la Panda, non si sono ancora riaperti.
Insomma non passa giorno senza che un grande protagonista dell'automotive mondiale - in realtà molto spesso si tratta di campioni europei annunci urbi et orbi un rallentamento della produzione causato dalla carenza di microchip.
Quello che sta succedendo è molto semplice, ma non sembra che l'Europa si stia attrezzando per porvi rimedio. Con la pandemia c'è stata una naturale rallentamento delle richieste e delle vendite di auto e quindi le più grandi aziende di chip al mondo hanno spostato la vendita dei semiconduttori dall'auto ad iPhone, computer e altri device che nella fase acuta del Coronavirus hanno visto un'impennata della domanda.
CARLOS TAVARES JOHN ELKANN - STELLANTIS
MATERIE PRIME
Terminati i lockdown, i gruppi automobilistici che per alleggerire i bilanci non avevano tenuto scorte di magazzino, sono tornati a bussare alla porta delle imprese di chip. Trovandosela sbarrata. Secondo Bruxelles si tratta di un problema congiunturale, che nel giro di qualche mese si risolverà, tantissimi dati invece fanno pensare a una gravissima crisi strutturale che durerà per tutto il 2022.
«Il Covid - spiega a Libero il capo-economista di Nomisma, Lucio Poma - è stato l'acceleratore di un processo già in atto da tempo che riguarda l'incremento della domanda mondiale di buona parte delle materie prime. Si parte dall'acciaio e si arriva a rame, zinco, silicio e semiconduttori appunto. Prendiamo solo l'auto, oggi l'elettronica pesa per il 40% del costo di una vettura.
Pensiamo poi a cellulari, pc, tv di ultima generazione e consideriamo anche tutte le reti di Tlc e il 5G. Insomma siamo davanti a un incredibile aumento della domanda mondiale di semiconduttori». Il problema è che i più grandi produttori al mondo si trovano a Taiwan (Tsmc), in Corea (Samsung) e in America (Intel), mentre l'Europa è ferma.
«Qualche mese fa - continua Poma - il presidente cinese ha incaricato il suo vice Liu He di creare un'unità strategica sui semiconduttori per raggiungere l'autonomia entro il 2030. Mentre Biden sta investendo 53 miliardi di dollari. Se lei mi chiede dell'Europa non saprei che dirle, mentre è chiaro che dovrebbe ricostruire le catene del valore accrescendo la propria autonomia».
Non è un caso che gli Stati Uniti abbiano aperto alla vendita di semiconduttori ai nemici di Huawei e che ieri Stm abbia toccato il nuovo massimo storico dal 2002 a 37,88 euro (più 1,57%). Il titolo sale sulla scia della notizia che vuole il colosso dei chip Tsmc pronto ad aumentare i prezzi. Comanda l'Asia e l'Europa subisce. Ma tutto questo a Bruxelles non fa notizia.