CIRCO LOS LIGRESTOS - GIÀ NEL 2003 L’ISVAP CONOSCEVA I RISCHI DI UN BUCO MILIARDARIO DI FONDIARIA-SAI MA IL PRESIDENTE LETTIANO GIANNINI HA CHIUSO GLI OCCHI - LA CONSOB PER ANNI HA PERMESSO A DON SALVATORE DI FARE IL BELLO E IL CATTIVO TEMPO A PIAZZA AFFARI E IL “CLAN” HA FATTO I SUOI COMODI: TRIANGOLAZIONI IMMOBILIARI, COMPENSI MILIONARI AI FIGLI, BUONUSCITE DA SOGNO A EX MANAGER DI FIDUCIA, CENTINAIA DI MIGLIAIA DI EURO AI SINDACI CHE DOVEVANO CONTROLLARE I BILANCI…

Emiliano Fittipaldi per "l'Espresso", in edicola domani

Il rischio di buchi miliardari nei conti di Salvatore Ligresti e le difficoltà della sua Fondiaria-Sai erano note all'Isvap da almeno nove anni. "L'Espresso" ha letto alcuni documenti riservati del Servizio di vigilanza datati fine 2003 e 2008, in cui emerge che l'istituto chiamato a controllare i conti delle compagnie di assicurazione poteva, e forse doveva, muoversi prima e meglio.

Invece, nonostante gli allarmi di alti funzionari sugli «elevati livelli d'indebitamento» del gruppo, su «solvibilità negative» da oltre un miliardo di euro e su ammanchi da «650 milioni nelle riserve sinistri», il presidente Giancarlo Giannini e i suoi uomini hanno tirato dritti per la loro strada: soltanto nel marzo del 2011, infatti, l'authority ha certificato lo stato di crisi della galassia Ligresti.

«Solo a un cieco o a un colluso poteva sfuggire l'allegra gestione di Fonsai, le consulenze elargite ai membri della famiglia, l'uso disinvolto dei conti infragruppo che hanno generato un buco di 1,2 miliardi», ha attaccato l'Idv per bocca del senatore Elio Lannutti, che pure dieci anni fa sperava che Giannini fosse «l'uomo giusto» per rilanciare l'ente. L'offerta di Unipol e la controfferta di Matteo Arpe e Roberto Meneguzzo per la conquista di Fonsai non sono solo l'estremo tentativo di salvare dal fallimento una delle più grandi compagnie di assicurazione d'Italia. La vicenda nasconde tante altre storie intrecciate.

Tutte emblematiche dello stato del nostro sistema economico. Spicca, su tutte, la cattiva amministrazione dei Ligresti che ha portato le aziende in una situazione definita dalla procura di Milano «più allarmante e complicata di quella del San Raffaele». C'è la storia della rivincita di Unipol che, dopo il catastrofico blitz dell'ex ad Giovanni Consorte alla Bnl, con l'acquisto di Fonsai entrerebbe di fatto nel salotto buono della finanza italiana. C'è l'ansia del nostro azzoppato capitalismo, imperniato ancora sulla vecchia razza padrona che teme, nell'eventualità di un fallimento del gruppo Ligresti, di perdere peso e potere (non è un caso che siano proprio Mediobanca e Unicredit, principali creditori di don Salvatore, i veri registi della fusione).

Ma la crisi di Fonsai e della capogruppo Premafin è pure metafora illuminante dell'inutilità degli organismi di controllo dello Stato. Ancora una volta capaci di intervenire solo a catastrofe avvenuta. Se la Consob per anni ha permesso ai Ligresti di fare il bello e il cattivo tempo a Piazza Affari (don Salvatore assunse pure Marco Cardia, figlio dell'allora presidente dell'organismo Lamberto, come consulente legale del suo gruppo), molti sostengono che sia stata proprio l'Isvap la prima a non aver vigilato a dovere.

Tanto che qualcuno chiede senza mezzi termini ai magistrati di indagare per omessa vigilanza, mentre le malelingue si spingono a dire che davanti ai conti horror di Fonsai l'Isvap abbia chiuso tutte e due gli occhi, visti i rapporti eccellenti del presidente Giannini con Gianni Letta (è lui ad averlo sponsorizzato al ministro Antonio Marzano, che lo nominò nel 2002) e con Cesare Geronzi, garanti politici e finanziari di Ligresti.

Cattiverie senza fondamento, dicono gli amici di Giannini. Lui pure con un figlio, Andrea, che nel curriculum vanta un'esperienza di lavoro in Fondiaria tra il 2005 e il 2006 (come ha scoperto "Il Fatto"), e con familiari dalla carriera importante (il fratello Mario è direttore generale della Banca Centrale di San Marino, mentre l'altro figlio, Lamberto, è capo della Digos di Roma). Di certo, però, esistono report riservati che dimostrano come l'autorità già nel 2003 e nel 2008 sapesse che il gruppo dell'imprenditore siciliano non navigava in buone acque.

Andiamo con ordine, partendo dal primo documento ottenuto da "l'Espresso". Si tratta di una relazione di 12 pagine datata 12 novembre 2003, in cui il servizio di vigilanza II (l'Isvap ha due uffici che si dividono le compagnie da controllare) scandaglia gli attivi patrimoniali di Fondiaria-Sai e di Premafin e parla (dopo aver individuato errori nei bilanci ufficiali dei Ligresti che davano valori troppo alti alle loro partecipazioni azionarie: secondo il documento Isvap le minusvalenze toccavano per il periodo 1 gennaio 2002-30 settembre 2003 gli 867 milioni di euro) di un deficit di «370 milioni per Fonsai e di 673 milioni per Premafin». Un buco potenziale gigantesco, che non avrebbe permesso di rispettare i parametri di solvibilità necessari alla compagnia per stare sul mercato.

«Le cifre indicano carenze patrimoniali enormi: si doveva ricapitalizzare subito», spiega una fonte dell'Isvap che chiede l'anonimato. «Due anni prima, dopo la fusione tra Fondiaria e Sai, Mediobanca si era impegnata a sottoscrivere un aumento di capitale del nuovo colosso. I diritti d'opzione sarebbero scaduti il 30 novembre 2003, ma piazzetta Cuccia voleva posticipare al 2005».

La relazione boccia la richiesta senz'appello. «Al contrario appare opportuno», conclude il servizio di vigilanza II, «intervenire nei confronti degli azionisti al fine di richiedere un ulteriore intervento patrimoniale che consenta alla Premafin di pervenire a un livello di capitalizzazione sufficiente, tale da ridurre l'elevato indebitamento di gruppo». Non è dato sapere se Giannini abbia mai letto il report, ma sicuramente concesse a Ligresti e a Mediobanca la proroga che volevano. L'allarme dei tecnici passò inosservato, nonostante si parlasse chiaramente della «presenza di minusvalenze sul portafoglio azionario di notevole rilevanza» da considerarsi «di carattere durevole».

Giannini non diede seguito nemmeno a un'altra richiesta del medesimo ufficio che nel settembre 2003, in seguito a un esposto dei piccoli azionisti di Fondiaria, intendeva effettuare una valutazione del patrimonio immobiliare della compagnia e della Milano Assicurazioni, sempre di Ligresti: gli ispettori Isvap prepararono persino le lettere con la richiesta di documentazione che però non furono mai spedite. Per la cronaca il capo di quell'ufficio fu trasferito in un altro ruolo nell'aprile del 2004. Oggi è ancora in causa con l'istituto: se sul mobbing il Tar gli ha dato torto, ha vinto la causa sulla promozione a grado superiore. Altri due dirigenti hanno ottenuto sentenze favorevoli per essere stati demansionati.

Il secondo documento inedito è del 2008. Si tratta di un monitoraggio dell'Ufficio studi dell'autorità. Il documento prende in esame le riserve per l'Rc auto del periodo 2004-2007: bisognava esaminare le coperture finanziarie delle imprese italiane che da lì a poco avrebbero dovuto rispettare norme europee più stringenti (chiamate Solvency II) sulla solvibilità, cioè la capacità delle assicurazioni di far fronte ai rischi. Un dato fondamentale, che serve a capire lo stato di salute di una compagnia.

Ebbene, dallo studio viene fuori un quadro sconcertante: gli accantonamenti in bilancio di Fonsai (che ha il suo core business proprio nell'Rc auto) e di Milano assicurazioni risultano pesantemente insufficienti sia nel 2006 che nel 2007. Per rispettare i nuovi parametri, secondo gli esperti Isvap, nel 2007 manca - sia pure dopo un calcolo prudenziale - oltre un miliardo di euro. Per la precisione, ben 650 milioni per Fonsai e 431 per Milano assicurazioni. Nessun concorrente fa peggio in Italia. «Sono soldi che si sarebbe dovuto togliere dagli utili e mettere a riserva», chiosa la fonte. I dirigenti dell'Isvap, però, manderanno gli ispettori dai Ligresti solo tre anni dopo. Il dossier, manco a dirlo, non è mai stato reso pubblico.

Si dice che "tre indizi fanno una prova". Non sappiamo se il pm Luigi Orsi, che qualche giorno fa ha indagato dopo Ligresti due manager di Sinergia e Imco, imprese del gruppo di cui ha chiesto il fallimento, crede ai detti popolari. Per ora ha chiesto un interrogatorio a Flavia Mazzarella, braccio destro di Giannini, per capire com'è stato possibile che l'Isvap non si sia accorta di nulla. Non solo.

Anche quando le magagne erano evidenti, l'Isvap non ha certo usato la mano pesante. I Ligresti hanno sempre fatto ciò che hanno voluto: triangolazioni immobiliari, compensi milionari ai figli di Salvatore (Jonella, Gioacchino Paolo e Giulia), buonuscite da sogno a ex manager di fiducia (Fausto Marchionni di Fonsai s'è beccato 10,5 milioni, nonostante nell'ultimo esercizio abbia perso un miliardo), centinaia di migliaia di euro andati ai sindaci che dovevano controllare i bilanci.

Mentre il titolo Fonsai passava dai 27 euro del 2007 a meno di un euro, anche i La Russa, famiglia vicinissima ai Ligresti, ottenevano consulenze record: 350 mila euro a Geronimo, figlio dell'ex ministro, 320 mila a Vincenzo, fratello di Ignazio. Barbara De Marchi, moglie di Paolo Ligresti, ha avuto invece 200 mila euro. L'Isvap, venuta a conoscenza dei compensi, che fece? Chiese alla compagnia di fornire «chiarimenti e adeguate giustificazioni».

Un po' poco, forse. Giannini, che ha governato per 10 anni ed è in scadenza, ribatte a tutte le critiche. È un uomo navigato: indicato come andreottiano di ferro, divenne ad di Ina nel 1994 e poi numero uno di Assitalia. Uscito di scena nel 1999, entrò nel consiglio direttivo di Ania, l'associazione delle imprese assicuratrici. Letta e Berlusconi lo rilanciarono nell'authority nel 2002.

In dieci anni il suo regno, destinato a finire tra pochi giorni, si è rafforzato: ottimi rapporti con Gaetano Gifuni, ex segretario generale del Quirinale, con Clemente Mastella e politici di destra e sinistra, ed entrature importanti persino nel governo Monti. Tanto che qualcuno ipotizza una proroga straordinaria del suo mandato (non rinnovabile). Missione difficile, ma non impossibile.

 

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