PIÙ PRAGMATISMO E MENO IDEOLOGIA - GIUNTO ALLA SCADENZA DEL MANDATO, IL PRESIDENTE DELL'ENI RECCHI HA UN LIBRO PRONTO PER RENZI CHE VUOLE ROTTAMARE TUTTO, ANCHE L’ESPERIENZA

Francesca Basso per ‘Il Corriere della Sera'

«Tutto quello che crea la competitività di un Paese va pianificato per tempo: la digitalizzazione prima che la sua mancanza diventi un problema, la costruzione di un rigassificatore o di altre infrastrutture prima che si crei una situazione di fabbisogno energetico. Ma lo stesso ragionamento vale anche per un settore come il turismo. È una forma mentis da applicare a tutte le riforme: più pragmatismo e meno ideologia». Il presidente dell'Eni Giuseppe Recchi, 49 anni, muove la sua analisi da un campo che conosce molto bene - l'energia - ma la riflessione ben si adatta al sistema Paese.

Oggi esce il suo libro «Nuove energie. Le sfide per lo sviluppo dell'Occidente» (Marsilio), prefazione di Sergio Romano, che nasce con l'obiettivo di «alimentare, rendendolo accessibile a tutti - scrive Recchi nelle conclusioni - un dibattito sull'energia fondato su riferimenti oggettivi, così da permettere di formulare una strategia energetica europea e italiana che sia nell'interesse di tutti».

Il libro ripercorre le tappe fondamentali, dal primo pozzo di petrolio del trentottenne Edwin Laurentine Drake, che il 27 agosto 1859 portò alla luce l'oro nero, fino alla rivoluzione innescata meno di dieci anni fa da George Mitchell con l'estrazione del gas dagli scisti argillosi (rocce impregnate di gas e petrolio, shale gas e oil ), che ha trasformato gli equilibri energetici mondiali, rendendo gli Stati Uniti autonomi, con importanti ricadute internazionali specie sui prezzi. Recchi ricostruisce il ruolo del petrolio nel boom del secondo dopoguerra, ricorda le tensioni degli anni Settanta e le soluzioni cercate.

Un capitolo è dedicato all'Europa e alle occasioni mancate, in cui trovano spazio anche il tema delle energie rinnovabili, dei sussidi e delle emissioni di gas serra. È una panoramica che non trascura nulla.

Si parla dell'importanza delle reti e del costo dell'energia per l'industria, dell'ecologia sostenibile e del ruolo di tecnologia e innovazione. Un percorso che vuole far sì che l'energia «non sia un argomento che deve restare circoscritto agli esperti perché riguarda ciascuno di noi». La conclusione è anche un punto di partenza: «La competizione globale si gioca sempre più sulla capacità di immaginare per tempo le necessità future».

L'energia è il cardine attorno cui si muove tutto, anche se spesso ce lo scordiamo: alimenta le nostre industrie, le nostre case, le nostre abitudini, il nostro essere sempre connessi. Ha però bisogno di programmazione. «Servono strategie di lungo periodo ma decisioni molto rapide - spiega Recchi -. Non si può cambiare idea di continuo. Serve continuità. Ogni scelta comporta delle conseguenze. Ed è arrivato il tempo del pragmatismo della convenienza».

Perché «il nostro Paese deve prendere decisioni importanti, i cui effetti non saranno immediati, ma quanto mai significativi - scrive nell'introduzione -. Sono convinto che anche per i Paesi, così come per le aziende, non ci siano più rendite di posizione: l'Italia deve competere con il resto del mondo per attrarre risorse e intelligenze, capitali e tecnologie». Recchi è arrivato alla presidenza dell'Eni nel maggio 2011. Ingegnere, proveniva dal colosso americano General Electric, dove è approdato a 35 anni dopo l'esperienza nell'azienda di famiglia, impegnata nella costruzione di grandi infrastrutture internazionali.

Fu il numero uno di Ge Jack Welch a sceglierlo: «Per vendere denaro agli imprenditori - gli disse, come ricorda Recchi nel libro - Ge Capital deve qualificarsi come partner industriale e ha bisogno di persone che vengono dall'impresa e parlano la lingua degli imprenditori».

Un insegnamento «prezioso» per il presidente Eni. Riferendosi a Ge spiega nel libro che «per far funzionare un'organizzazione di 300 mila persone, non puoi limitarti a contare sulla fortuna di intercettare leadership e competenze, ma devi costruirle attraverso quell'imbattibile maestro che è l'esperienza». Un ragionamento che vale anche per il Paese.

«Non si deve fare una distinzione generazionale. Ma tra chi ha le competenze e chi no. C'è mancanza di competenze specifiche. Vanno recuperate quelle che hanno fatto le eccellenze del nostro Paese. Com'è possibile che ci sia ogni anno una produzione di 48 mila laureati di cui non c'è domanda a fronte di una richiesta di 43-44 mila giovani con competenze tecnologiche?».

 

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