LE PRIVATIZZAZIONI “CREATIVE” DI CDP - LA FANTASIA DI PADOAN PER AGGIRARE IL “NO” DEL DUCETTO ALLE VENDITE PER RIDURRE IL DEBITO: LE OPERAZIONI IN VISTA SU ENI, ENEL E POSTE – CDP TIRATA PER LA GIACCA PER ALITALIA, ILVA E PURE PER INTERVENIRE A SOSTEGNO DELLE BANCHE
Andrea Greco per la Repubblica
FABIO GALLIA CLAUDIO COSTAMAGNA
Cassa depositi e prestiti naviga in immersione. Il governo, primo azionista, ha nuovi e vasti progetti sul braccio di politica industriale (extracontabile, perché non grava sui conti pubblici) del Paese. Il Documento di economia e finanza, da presentare alle Camere entro il 10 aprile, conterrà solo la traccia di un complesso schema di riassetto tecnico e politico, al quale i dirigenti del Tesoro lavorano da settimane.
Un' operazione articolata, che potrebbe avviarsi in autunno per portare sotto la Cdp altro capitale di grandi aziende quotate oggi in capo al Tesoro, da scegliere tra il 23,5% di Enel, il residuo 3,9% di Eni, il 29% di Poste e forse altri. Solo così il conferimento avrebbe valori borsistici di una quindicina di miliardi. Ma la Cdp non pagherebbe con denaro, bensì emettendo nuove azioni privilegiate, di quelle che danno diritto a più cedole e a meno governance.
Azioni che in futuro sarebbero cedute per importi miliardari a investitori istituzionali; da vedere se ancora le Fondazioni ex bancarie socie al 17% in Cdp o nuovi fondi stranieri. Una forma di "privatizzazione creativa", per così dire. Con Matteo Renzi a Palazzo Chigi sarebbe stato tutto più veloce e facile: come fu due anni fa quando si trattò di sostituire anzitempo presidente e amministratore delegato della Cassa, per «interventi per fare Cdp più forte nelle partite del Paese», diceva. La tempra dell' uomo, non meno della congiuntura, lo richiedevano.
E così è stato, guardando le fatiche della Cassa - bestione da 370 miliardi di attivi - sulle partite bancarie con Atlante, sulla banda larga con Enel, sul salvataggio di Ilva. Il guaio è che il Paese non ha esaurito i suoi guai economici, mentre la Cdp ha quasi esaurito il patrimonio libero per mettere le pezze. E oggi deve schivare scogli da più parti, per non tradire lo statuto o trasformarsi in un carrozzone com' era la vecchia Gepi.
Il momento, politicamente parlando, è quanto mai delicato. Renzi non c' è più, o meglio s' è trasformato nel più classico dei suggeritori (anche nelle materie economiche, come visto sulle nomine). Il telefono rosso che aveva con Claudio Costamagna e Fabio Gallia, ex banchieri da lui voluti alla guida di Cdp, suona a vuoto. Il ministro dell' Economia Pier Carlo Padoan gestisce la transazione con occhio attento a conti e a debito pubblici, che l' Europa vuole migliori. In un quadro di crescita frazionale del Pil, i conti nazionali si ragiona al Tesoro - hanno bisogno come il pane delle privatizzazioni per quadrare.
Per questo, si dice, portando il Def alle Camere il ministro non defletterà dalle passate stime del governo, che nel 2017 prevedevano cessioni di attività e partecipazioni per 8 miliardi di euro, con la quotazione della seconda tranche di Poste come piatto forte. Ma le voci contrarie nella maggioranza e perfino nel Pd, e l' arrivo del nuovo capoazienda Matteo Del Fante - manager che ben conosce Poste: ci teneva un ufficio quand' era dg della Cassa depositi - hanno portato il Tesoro su un altro schema.
La proprietà del 65% di Poste diventerebbe un cardine della nuova Cdp, anche alla luce del virtuale 25% detenuto in Anima Sgr che opera pure nel risparmio. Per non parlare del capitale che presto lo "Stato banchiere" s' intesterà su Mps, Vicenza & Veneto Banca, che potrebbero dar luogo a riassetti comuni. Ma dentro la Cassa su questo sono tutti categorici: non ci sono altri soldi nè progetti per i fuoripista bancari, che si considerano esauriti con la partecipazione da 750 milioni ai fondi Atlante 1 e 2, che nel bilancio Cdp in presentazione domani subiranno svalutazioni «sensibili». Anche su Alitalia, restando alle missioni impossibili, i vertici della Cassa stanno provando a non farsi trovare dalla politica.
In una fase di semivuoto politico e turbolenze finanziarie latenti è il "case study" di Intesa Sanpaolo su Generali quello che illustra meglio i ragionamenti svolti tra Palazzo Chigi e Via XX Settembre riguardo al ruolo della Cdp che si vorrebbe. «Il capitalismo privato italiano - spiega una fonte vicina alla materia - si sta dileguando, non è in grado di difendere gli asset strategici in caso di attacco straniero. Gli appetiti francesi e tedeschi su Generali lo hanno mostrato a metà, la vendita delle gestioni di Unicredit ai francesi in pieno. Non si può derogare alle banche private la difesa del sistema».
Per questo il conferimento di grandi aziende strategiche a Cdp - sull' esempio di altri paesi - potrebbe rappresentare l' uovo di Colombo. A patto che Cdp riesca a preservare la sua natura di centauro tra pubblico e privato. Giuseppe Guzzetti, leader delle Fondazioni che già nel 2015 fece il beau geste di lasciare la scelta del presidente al governo Renzi - aprendo un utile canale negoziale con lui - non farà altre deroghe. A meno di riconoscere al consumato negoziatore ex Dc ragioni e diritti su altri tavoli, tipo quello - rovente - della sistemazione delle banche venete, dove le Fondazioni, con molte banche e con la Cdp stessa, rischiano di azzerare 3,5 miliardi di investimenti in un anno.
La sfida del piano industriale al 2020 per Gallia e Costamagna - che scadono l' anno prossimo però - sarà tenere insieme tutti i pezzi, non farsi strappare le giacchette e conservare una redditività attraente anche se gli ultimi investimenti si chiamano Saipem, Ilva, Atlante. I conti 2016, malgrado alcune svalutazioni - c' è anche l' immobiliare dovrebbero vedere un vigoroso ritorno all' utile.