ARIDATECE GLI SCAFI BLU! - ANCHE LE SIGARETTE DI CONTRABBANDO SONO DIVENTATE “PEZZOTTATE”, DALLA CINA E DAGLI EMIRATI ARABI ARRIVANO PACCHETTI VARI E AVARIATI - SABBIA, PIOMBO, PEZZI DI INSETTI, TRACCE DI CONTAMINAZIONE RADIOATTIVA: LE STECCHE ILLEGALI SONO ARMI CHIMICHE - IL PORTO DI ATENE E’ LA NUOVA CENTRALE DI SMISTAMENTO IN EUROPA - PIU’ AUMENTANO I PREZZI E PIU’ IL CONTRABBANDO TORNA DI MODA…
Massimiliano Scagliarini per la "Gazzetta del Mezzogiorno"
Le rotte del contrabbando di sigarette che portavano in Puglia le «bionde» del Montenegro non esistono più. Anzi: quello che non esiste più è proprio il contrabbando. Ma i traffici via mare delle sigarette non si sono mai fermati, e la Puglia resta una delle porte di ingresso principali verso l'intera Europa. Ciò che arriva oggi, però, è qualcosa di totalmente nuovo e totalmente diverso rispetto ai cartoni scaricati all'alba con i motoscafi.
Attraverso i porti di Bari e Brindisi (che insieme ad Ancona rappresentano il 90% di questo traffico) passano ogni anno migliaia di cartoni di stecche contraffatte, che hanno i loghi delle major ma sono fabbricate in Cina e negli Emirati con un tabacco che sfugge a ogni controllo, e una quantità impressionante delle cosiddette cheap white, marchi sconosciuti in Europa e destinati al mercato etnico.
La contraffazione delle sigarette, dunque, è il grande pericolo del primo decennio degli anni 2000. Dalle fabbriche delle multinazionali, ormai, poco o niente riesce a sfuggire ai canali del monopolio, cioè al sistema che garantisce allo Stato italiano 14 miliardi l'anno.
Quello che eravamo abituati a chiamare contrabbando, tabacco importato illegalmente, è diventato un fenomeno di nicchia: poche decine di chilogrammi nascosti nel retro dei furgoni che entrano in Italia dalla frontiere del Nord-Est, oppure nascoste nei container in arrivo attraverso scali aerei secondari da paesi della ex Jugoslavia o della ex Urss.
Lo hanno raccontato gli esperti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla contraffazione che sta per pubblicare un rapporto dai contenuti devastanti. Perché le stecche false - in continua crescita - per il momento sono dirette in Germania ed ai mercati del Nord Europa, dove un pacchetto di Malboro può arrivare a costare anche 9,1 euro e dunque i margini per i trafficanti sono molto più elevati.
Ma se ad ottobre il governo dovesse davvero aumentare l'Iva al 22%, l'effetto leva sulle accise porterebbe all'incremento del prezzo finale del pacchetto del 5%, equiparando l'Italia al mercato tedesco. «Rigenereremmo, così, automaticamente - ha avvertito Giovanni Carucci, vicepresidente di British American Tobacco -, la profittabilità del mercato italiano per attività di commercio illegale da parte delle organizzazioni criminali».
ADDIO SCAFISTI
Ciò che è davvero interessante sono le nuove rotte, che hanno totalmente cancellato gli scafisti. Le sigarette contraffatte arrivano dalle fabbriche della Cina e degli Emirati, poi sbarcano in Grecia e da lì vengono smistate verso i porti italiani con tecniche sempre più sofisticate per rendere non tracciabili i carichi: fanno lunghi giri, oppure restano per settimane nei magazzini di stoccaggio così da interrompere la catena.
«Il fatto stesso che il Pireo, che è un porto importante della Grecia, sia ormai nelle mani delle autorità cinesi - ha detto il direttore dell'Agenzia delle dogane, Giuseppe Peleggi - fa confluire in quell'area diversi traffici, per cui è più possibile che ci sia un flusso particolarmente pericoloso in quel settore. Peraltro, in quella zona si concentra non solo un flusso che viene dall'Oriente, ma anche una parte del traffico che proviene dai paesi dell'est». Un problema che sta particolarmente a cuore al deputato tarantino Ludovico Vico, componente della Commissione, visto che anche lo scalo portuale jonico è in mano a compagnie cinesi.
Peraltro la Cina sta per diventare il più grande produttore mondiale di tabacco da fumo, che presto invaderà anche la filiera «legale» delle sigarette per via del suo costo bassissimo: a quel punto, nascondere il tabacco irregolare in un fiume di prodotto legittimo diventerà ancora più semplice.
Le analisi sui campioni contraffatti effettuate nei laboratori italiani hanno dimostrato che in quel tabacco c'è di tutto: sabbia, piombo, pezzi di insetti, in alcuni casi persino tracce di contaminazione radioattiva.
Con effetti sulla salute potenzialmente pesantissimi, e che sfuggono alla percezione del consumatore convinto di acquistare un «normale» pacchetto di Malboro o di Camel. Una situazione destinata ad aggravarsi, se la Ue - come pare - introdurrà l'obbligo di rendere tutti i pacchetti di qualunque marca perfettamente bianchi e perfettamente uguali: un vero e proprio regalo - hanno avvertito i produttori - ai signori della contraffazione.
MERCATO
Nel 2011 il tabacco contraffatto ammontava al 15% del totale sequestrato, ma è un dato difficile da valutare (nel 2008, per dire, il totale era il 50%) perché le analisi si concludono solo a distanza di molto tempo. La quota di sigarette contraffatte che si ferma sul mercato italiano - almeno per il momento - è però assolutamente irrisoria, e la vendita finale è in mano sempre più a cittadini stranieri. «Non è alla luce del sole ma esiste - ha avvertito il colonnello Giuseppe Arbore, della Finanza -. Ci si sta avvicinando alle modalità tipiche dello spaccio di stupefacenti, per intenderci: non abbiamo le classiche bancarelle sul corso principale».
Ben più pesante l'incidenza delle cheap white, etichette come Jin Ling, Gold Classic, Raquel, Capital, Marble, Pioneer che nel 2011 hanno totalizzato quasi il 70% del totale dei sequestri e che dal punto di vista delle statistiche si considerano contrabbando: questo perché i marchi - che in alcuni casi appartengono a multinazionali - non sono autorizzati alla vendita in Europa, quindi sfuggono alla tassazione.
Anche in questo caso, l'area di provenienza del traffico è la Grecia, mentre la produzione è soprattutto orientale o anche russa. E trovarle in vendita in Italia è difficile, ma non impossibile: «Dal 2010 all'ultimo quadrimestre del 2012 - spiega Arbore - abbiamo un'incidenza pressoché costante delle cheap white che si attesta intorno al 7 per cento, il che vuol dire che, tendenzialmente, non sono appetibili per il mercato interno. E, se lo sono, ciò avviene nell'ambito distributivo specificamente etnico: se le vendono tra loro».
REPRESSIONE
L'altro capitolo, altrettanto importante, riguarda la repressione. Con traffici internazionali che toccano cinque o sei Paesi prima di approdare al mercato finale, sono fondamentali i meccanismi di cooperazione transnazionale: l'Italia ha numerosi accordi, ma il vero nodo è la Grecia. E quindi si è arrivati a dover sottoporre a controllo (a Bari accade spessissimo) i carichi provenienti dai porti ellenici, nonostante le regole europee di norma escludano verifiche doganali in area Ue. E poi c'è il problema del coordinamento giudiziario.
«Di fatto - ha spiegato Antonio Burdo, capo dell'intelligence dell'Ufficio centrale antifrode - la maggior parte delle indagini dovrebbe riguardare la direzione distrettuale antimafia di Ancona o di Bari. Invece, lavorano molto le direzioni distrettuali antimafia di Trieste e di Milano. Quando sequestriamo a Bari dobbiamo denunciare alla procura di Bari ma poi, alla fine, la filiera organizzativa che sta gestendo il traffico - per capirci, le intercettazioni telefoniche, l'infiltrazione e quant'altro - non è a Bari, perché magari l'accordo è stato concluso a Milano, quindi, il delitto più grave sarà perseguito dalla procura di Milano. Pertanto, lo scambio dei dati sul territorio nazionale risulta già critico e può essere risolto solo da un'autorità sovraordinata alle singole procure della Repubblica, come la direzione nazionale antimafia>.
Senza contare che l'80% dei sequestri avviene contro ignoti, perché l'autista del mezzo dichiara di non saperne nulla e le indagini non partono nemmeno: quindi l'organizzatore dei traffici continua a dormire sonni tranquilli.
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