“MAGNAGER” A STELLE E STRISCE - IN VISTA DEL VOTO PRESIDENZIALE, OBAMA SI PARA LA CHIAPPA SINISTRA E BLOCCA BONUS E COMPENSI DEI TOP MANAGER - SÌ, MA SOLO DELLE TRE AZIENDE CHE GODONO DI PRESTITI PUBBLICI: GM, AIG E ALLY FINANCIAL - LA CHRYSLER DI MARPIONNE SI È INDEBITATA CON LE BANCHE PUR DI RESTITUIRE I SOLDI AL GOVERNO E AVERE MANI LIBERE - LA KODAK È IN BANCAROTTA, TAGLIA L’ASSISTENZA SANITARIA, MA VUOLE PAGARE 13 MLN $ DI BONUS AI DIRIGENTI…

1- SCURE DI OBAMA SU WALL STREET STIPENDI BLOCCATI PER I VERTICI DI AIG, GM E ALLY FINANCIAL - "NIENTE BONUS A CHI NON HA RESTITUITO GLI AIUTI"
Federico Rampini per "la Repubblica"


Barack Obama congela gli stipendi dei chief executive. Zero aumenti agli amministratori delegati delle grandi aziende che godono tuttora di qualche aiuto di Stato ricevuto durante la recessione del 2009.

Compensi addirittura in discesa per i 69 top manager nelle tre aziende che ancora non hanno finito di restituire gli aiuti al contribuente: sono la General Motors, la compagnia assicurativa Aig, la banca Ally Financial. Per effetto delle restrizioni annunciate dall'Amministrazione i compensi ai vertici delle tre società quest'anno scenderanno del 10% rispetto al 2011. L'annuncio è in una lettera di Patricia Geoghegan, direttrice dell'Office of the Special Master.

E' una figura nuova, un dipartimento creato appositamente da Obama per vigilare sulle remunerazioni ai capi delle grandi imprese. Per il secondo anno consecutivo questo ufficio blocca gli aumenti richiesti dalle aziende per i loro dirigenti, e in alcuni casi ha imposto riduzioni secche di stipendio. Nella lettera rivolta dalla Geoghegan al vertice della Gm si legge: «Dopo avere esaminato le proposte di quest'azienda, l'Office of the Special Master ha determinato che gli aumenti proposti non sono giustificati».

Fu lo stesso Obama a richiedere nel 2009 che il potere di veto sugli stipendi dei top manager venisse riconosciuto alla sua Amministrazione, nel momento in cui applicava il Tarp (Troubled Asset Relief Program), il piano da 700 miliardi di dollari che servì a salvare dalla bancarotta molte aziende industriali, istituti di credito, e compagnie assicurative. Buona parte delle aziende che ricevettero gli aiuti hanno già restituito tutto: tra queste Bank of America, Citigroup e Chrysler.

Ma quelle che non hanno finito di ripagare il contribuente restano sotto la ferrea vigilanza del governo. Che ha dovuto combattere non poco per imporre il suo potere di veto ai top manager.

Il più recalcitrante è l'amministratore delegato di Gm, Dan Akerson. Non che possa davvero piangere miseria: pur sotto il diktat governativo che gli preclude ogni aumento, il numero uno del colosso automobilistico quest'anno guadagnerà 9 milioni tra stipendio e azioni dell'azienda.

Eppure Akerson si è opposto più volte alla scure di Obama. «Le restrizioni sugli stipendi - ha protestato - rendono più arduo per noi il compito di trattenere o reclutare i talenti migliori del settore automobilistico». La realtà contraddice queste proteste. Il blocco dei superstipendi ai top manager ha coinciso con un'annata favolosa per i risultati della Gm: ha riconquistato la leadership mondiale davanti alla Toyota, ha aumentato del 12% le vendite sul mercato Usa e dell'11% in Cina, ha visto salire i propri profitti del 62% con il record storico di 7,6 miliardi di dollari. Tutto ciò è accaduto sotto la "disciplina Obama".

Quest'ultima ha anche inciso sulla composizione dei compensi. Rispetto al passato sono stati sacrificati i bonus che un tempo erano legati a risultati di bilancio nel breve periodo. Al loro posto è aumentata la parte della remunerazione che viene erogata in azioni: questo crea un legame più diretto fra il compenso del top management e l'arricchimento degli azionisti. Questo incentivo "virtuoso" è tanto più importante in quanto fra gli azionisti continua ad esserci il contribuente americano.

Nonostante una parte della sua partecipazione sia stata rivenduta sul mercato, l'Amministrazione Obama continua a possedere investimenti di 36 miliardi di dollari in Aig, 26 miliardi nella Gm e 12 miliardi in Ally Financial. Il chief executive di Aig Robert Benmosche guadagnerà quest'anno 10,5 milioni e il suo collega Michael Carpenter di Ally avrà 9,5 milioni esclusivamente sotto forma di azioni. La stessa Gm ha dovuto smentire il mito secondo cui un tetto alle retribuzioni provocherebbe una fuga di talenti: «Nessun dirigente-chiave finora ha lasciato l'azienda», è l'ammissione contenuta in un comunicato della casa automobilistica.

La severità sui chief executive è cruciale per Obama in un anno di elezioni. A sinistra, il movimento Occupy Wall Street ha rilanciato l'attenzione sulle diseguaglianze sociali e sui privilegi dell'"un per cento", mentre il paese ha ancora più di 12 milioni di disoccupati. La stessa destra repubblicana, soprattutto la componente populista come il Tea Party, ha denunciato i «regali a Wall Street a spese del ceto medio», sorvolando sul fatto che il fondo Tarp fu inizialmente progettato e varato dall'Amministrazione Bush.


2- L'AMMINISTRATORE DELEGATO PIÙ PAGATO È TIM COOK DI APPLE
Da "Il Sole 24 Ore"


Tim Cook è l'amministratore delegato più pagato: il numero uno di Apple ha ricevuto 378 milioni di dollari. Includono la retribuzione base di 900mila dollari, bonus per 900mila dollari, 16mila dollari di benefit. E, soprattutto, ha in portafoglio 376,2 milioni di dollari in azioni che, al valore di mercato della scorsa settimana, arriverebbero a 634 milioni di dollari: a rilevarlo è la società di analisi Equilar dopo aver esaminato i compensi per il 2011, aggiornati ai dati di un mese fa, dei vertici delle aziende negli Stati Uniti. Il New York Times calcola che Cook incassi 700 dollari al minuto, o l'equivalente del costo di 757mila iPad.

Al secondo posto sale Larry Ellison: guida la multinazionale del software Oracle con un salario base di un dollaro, ma compensi complessivi per 77,6 milioni di dollari. Scende dal primo gradino della classifica fino alla quarta posizione Philippe Dauman, numero uno del colosso di internet Viacom, con 43,1 milioni di dollari nel 2011 rispetto agli 84,5 milioni del 2010. Gli unici italiani nell'elenco dei primi cinquanta ceo più pagati sono Fabrizio Freda, amministratore delegato del gruppo Estée Lauder, con compensi complessivi per 21 milioni di dollari, e Lamberto Andreotti al vertice di Bristol-Myers Squibb: l'anno scorso ha ottenuto tra stipendio, bonus, benefit, azioni e opzioni 13,7 milioni di dollari.


3- PARADOSSO KODAK: VA IN BANCAROTTA E CHIEDE DI PAGARE I BONUS AI MANAGER
Federico Fubini per il "Corriere della Sera"

Un'azienda in bancarotta taglia l'assicurazione sanitaria a 16 mila ex dipendenti, ma nel frattempo cerca di pagare 13 milioni di bonus ai suoi manager. Suona come una trama hollywoodiana con quelle demarcazioni così nette fra bene e male che in fondo ci fanno sentire tutti più buoni e migliori. Invece è la realtà. L'americana Eastman Kodak a gennaio scorso ha presentato domanda di protezione dai creditori, piegata dalla concorrenza giapponese e poi dalla propria incapacità di adattarsi alla transizione tecnologica.

Quasi nessuno più usa le pellicole da quando c'è la fotografia digitale. Ma troppi nel gruppo di Rochester, New York, avevano finito per credere che la loro posizione dominante nel settore fosse un diritto naturale. È finita in insolvenza e ristrutturazione forzata. Nessuno quindi si è sorpreso quando l'azienda ha messo in dubbio il pieno pagamento dell'assicurazione sanitaria a 16 mila suoi ex dipendenti in pensione. Il diritto naturale alla supremazia o anche solo al benessere è stato polverizzato dalla trasformazione tecnologica. Ma gli stipendi dei manager?

Questa settimana Kodak ha indicato al tribunale fallimentare un «Gruppo 1» di 119 manager e ha chiesto di poter pagare loro bonus tra il 35 e il 50% del salario di base. Al «Gruppo 2» di altri 200 manager spetterebbe un bonus del 25%. La trama hollywoodiana dello scontro fra bene e male a questo punto è perfetta, e senz'altro è parte di questa saga. Il divorzio fra dimensione industriale e quella finanziaria genera mostri. Quando la finanza diventa fine in sé e non sistema al servizio della produzione e del lavoro, alla fine divora anche se stessa: di questo passo tra un anno l'azienda non ci sarà e di bonus non si parlerà proprio.

Ma questa non è Hollywood, è vita reale. Caotica e piena di zone grigie. Kodak per esempio ha spiegato che i bonus le servono per tenere in azienda le capacità professionali d'élite necessarie a rilanciare l'impresa. Perché la transizione tecnologica premia i consumatori, ma produce un mondo diseguale: chi ha competenze si arricchirà fuori proporzione rispetto a chi non ne ha. È un dilemma difficile. Non si risolve demonizzando i manager, la finanza o il capitalismo tutto intero.

 

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