PIANGANO SUL LATTE VERSATO - LA VITA DI CALISTO TANZI E DEI SUOI EX MANAGER, DIECI ANNI DOPO IL CRAC PARMALAT

Mario Gerevini per il "Corriere della Sera"

Ospedale Maggiore di Parma, terzo piano di un vecchio padiglione, corridoio vuoto, non è orario di visite. La stanza, singola, è chiusa. Toc toc: «Avanti». Dietro la porta Calisto Tanzi è seduto a un tavolino. È un vecchio signore che tra un mese compie 75 anni, fatica a parlare. È il principale responsabile di uno dei più grandi crac della storia. Sta scontando la sua pena, gli ultimi 3 anni degli 8 per aggiotaggio, agli arresti domiciliari presso l'ospedale di Parma.

Per la bancarotta è stato condannato in appello a 17 anni e 10 mesi ma la Cassazione deve ancora pronunciarsi. Potrebbe tornare in carcere. A 25 minuti d'auto dall'ospedale, a Casale di Mezzani, persa in mezzo alla campagna, ha sede la Prisma, un'azienda che fattura 14 milioni con le porte automatiche per ascensori.

Fausto Tonna, 61 anni, direttore finanziario della Parmalat che fu, lavora qui con un contratto a progetto. Ama la stampa quanto un orso la pedicure. Però questa volta scende dall'ufficio, apre la porta della sala riunioni e parla. «Ma non voglio sentire i nomi degli ex Parmalat. Non ce n'è stato uno, dico uno, che non abbia cercato di scaricarmi addosso le proprie colpe».

Tanzi e Tonna, T&T. Dieci anni fa questo era il vertice di una multinazionale presente in 30 Paesi con 36 mila dipendenti e 6,2 miliardi di fatturato «vero» (i 7,6 miliardi dichiarati erano «pompati»). Nell'ottobre 2003 T&T erano già consapevoli che il palazzo stava crollando, come poi avvenne a dicembre. La leggenda dei 3,95 miliardi di liquidità stava frantumandosi contro una realtà nascosta per anni: la Bonlat di Cayman era vuota, una discarica di falsi. Oggi la Parmalat è dei francesi di Lactalis e qualcuno pronuncia Collecchio con l'accento sull'ultima vocale.

«Passo le giornate a guardare la tv - dice Tanzi - ma faccio fatica a leggere i giornali, non sono tanto lucido». Pantaloni sportivi, scarpe da ginnastica, camicia scura e una felpa nera di un marchio low cost. Cammina da solo, lentamente. Non ha voglia di parlare, non può, è pur sempre agli arresti.

Non ci sono i suoi avvocati che lo scortano né un piantone che lo sorveglia. Accenna un sorriso quando gli si parla del Parma Calcio ma se l'argomento è il crac si ritrae, toccandosi la fronte come a mimare un tormento che gli mangia il cervello. Meglio l'ospedale del carcere, comunque. «Qui mi vengono a trovare moglie e figli». Due passi fino a un ascensore di servizio. Potrebbe prenderlo anche lui e sparire. Saluta e torna in camera.

«In carcere eravamo in molti nello stesso braccio - racconta in un ufficio del centro di Parma uno dei protagonisti di quella sciagurata stagione -; Stefano (il figlio di Tanzi, ndr ) spesso piangeva, Tonna smadonnava, un altro tentò il suicidio, ma fuori di lì nessuno ha mai saputo nulla». Non vuole che il suo nome sia accostato, ancora una volta, al crac.
Di amicizie ne sono rimaste poche, la vicenda ha lasciato un deserto. «Io certa gente di Parmalat con cui credevo di essere amico - aggiunge - adesso la schivo come le "pocce", le pozzanghere».

«Però - afferma un altro degli uomini che fu più vicino all'ex patron Parmalat - succedono anche cose senza senso: per la festa dei cent'anni del Parma Calcio c'è stata la rimozione imbarazzata dell'epoca d'oro, come un'ombra, come se il crac avesse cancellato anche i meriti di chi lavorò per vincere una Coppa delle Coppe, le due Uefa, la Supercoppa». Stefano Tanzi, 45 anni, lavora in provincia di Reggio Emilia alla Ceramiche Ricchetti, grande azienda che fa capo agli eredi di Oscar Zannoni.

La sorella Francesca si occupa di agenzie di viaggio a Padova, dove vive. L'ex numero 3 del gruppo, Luciano Del Soldato, 54 anni, 6 di condanna, ha chiesto l'affidamento ai servizi sociali. Nel frattempo ha trovato un posto in un'azienda dei dintorni di Parma con un ruolo, si dice, di notevole responsabilità gestionale. Gianfranco Bocchi è il capo contabile che su ordine di Tonna si portò a casa pacchi di carte compromettenti e li distrusse, «in parte mettendole nel tritacarne - raccontò ai pm -... e qualcosa ho sparso nei cassonetti di tutta la provincia».

Si era però tenuto i cd-rom di backup. Oggi Bocchi lavora a due passi da Collecchio, nell'amministrazione della Rodolfi Mansueto, un'antica industria di trasformazione del pomodoro. Domenico Barili, 80 anni, ex direttore commerciale (8 anni di condanna) e Luciano Silingardi, 73 anni (7 anni e 8 mesi) ex commercialista di Tanzi, amministrano il patrimonio di famiglia, quello rimasto fuori dall'ondata di sequestri. «Io - dice Tonna - cerco di darmi da fare, di uscire dal passato.

Vivo dignitosamente con un contratto a progetto, abito sempre a Collecchio, ho tutto sotto sequestro e non rinnego il mio passato alla Parmalat: è stato felice ed è rimasto felice. Ma voi giornalisti mi avete preso di mira fin dal dicembre 2003. Non mi sento né colpevole né innocente, ho cercato di salvare un'azienda senza fini di guadagno personale». Già ma chi aveva messo Parmalat in condizione di dover essere salvata? «Andate a vedere chi sono i reali responsabili».

Se l'oblio è un diritto e il tempo posa una patina di indulgenza su tutto, i numeri ristabiliscono l'equilibrio. Parmalat era già in default dai primi anni 90, nel frattempo, per «salvarsi», ha prodotto falsi in bilancio su scala industriale, accumulato 14,5 miliardi di debiti ed è crollata distruggendo il risparmio di decine di migliaia di investitori.

Dieci anni fa, in questo periodo, l'agenzia di rating Standard & Poor's giudicava il titolo Parmalat non speculativo (investment grade). Nel 2003 su 90 studi degli analisti di Borsa solo 14 consigliavano di vendere. Il 17 novembre la grande banca Usa Citigroup invitava i suoi clienti ad acquistare titoli Parmalat perché «è un'azienda che ha fondamentali attraenti e prospettive di crescita nel 2004-2005». Non si sa che lavoro faccia oggi l'estensore di quel report.

 

 

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