“CARO DUCE, TI SCRIVO” – LE LETTERE DEGLI ITALIANI ALLA SEGRETERIA DI BENITO MUSSOLINI SONO STATE RACCOLTE E ANALIZZATE NEL SAGGIO DI GIOVANNI DE LUNA E LINDA GIUVA – “NELLE RISPOSTE REDATTE PER OGNUNA DI QUELLE MISSIVE, SI COSTRUIVA PASSO PER PASSO IL ‘MITO’ SU CUI SI FONDAVA IL REGIME. IL DITTATORE ERA PRESENTE IN OGNI FASE DEL LAVORO DEI SUOI IMPIEGATI: SIGLAVA LE LETTERE MERITEVOLI DI ATTENZIONE, DECIDEVA COSA FARE DELLE SUPPLICHE CHE GLI VENIVANO INVIATE, SCEGLIEVA A CHI MANDARE LE SUE FOTOGRAFIE...”
Estratto del libro di Giovanni De Luna e Linda Giuva “Un monumento di carta. La Segreteria particolare del Duce 1922-1943” (Feltrinelli) - pubblicato da “La Stampa”
Quando, nel pomeriggio del 25 luglio 1943, Nicola De Cesare, ultimo segretario particolare di Mussolini, uscì da Palazzo Venezia per accompagnare il Duce a villa Savoia, non sapeva che sarebbe stato arrestato insieme a Mussolini e che non sarebbe più ritornato nella sua stanza.
Lasciò quindi sulla scrivania molti documenti riservati: informazioni sulle amicizie e le frequentazioni di personaggi politici di rilievo come il conte Giuseppe Volpi, che nei giorni precedenti era stato rimosso da presidente della Confindustria, e Paolo Thaon de Revel, ministro delle Finanze, fino a febbraio dello stesso anno; richieste di raccomandazioni; relazioni sulla situazione annonaria e sul malcontento che serpeggiava in relazione alla disorganizzazione dei servizi pubblici e allo sciacallaggio degli “approfittatori”; controllo sulla corrispondenza dei parenti del Duce; inchieste nate a causa di notizie sui comportamenti scorretti di funzionari civili e militari.
Giovanni De Luna e Linda Giuva – Un monumento di carta. La Segreteria particolare del Duce 1922-1943
E molte altre carte vi dovevano essere, la cui riservatezza era tale da indurre chi entrò nella stanza, dopo aver saputo della votazione notturna del Gran Consiglio che aveva “defenestrato” il Duce, a stracciarle ma non a distruggere i pezzi minuscoli che giacciono ancora nell’archivio della Segreteria e che potrebbero essere ricomposti da qualche paziente archivista o storico, non tanto per conoscere chissà quali segreti, quanto per esplorare i criteri utilizzati da solerti e prudenti funzionari per occultare documenti ritenuti particolarmente compromettenti.
Oggi quelle carte abbandonate sulla scrivania ci restituiscono, su piccola scala, le dimensioni straripanti delle attività, svariate e molteplici, che rientravano nelle funzioni della Segreteria particolare del duce.
La storia di questo ufficio emerge infatti da una montagna di documenti la cui enorme quantità è però anche un indice qualitativamente rilevante della sua importanza. A Mussolini arrivava una valanga di posta; e, oggi, ognuna di quelle lettere ci racconta molto sia sugli italiani e le italiane che scrivevano al Duce, sia sul modo in cui il fascismo, nelle risposte pazientemente redatte per ognuna di esse, costruiva passo per passo il “mito” su cui si fondava il regime.
Si, perché la Segreteria, con i fascicoli ordinati nel suo archivio, rappresenta un vero e proprio monumento cartaceo innalzato per la gloria di Mussolini. Il dittatore era presente in ogni fase del lavoro dei suoi impiegati: siglava le lettere meritevoli di attenzione, decideva cosa fare delle suppliche che gli venivano inviate, sceglieva a chi mandare le sue fotografie e quali conservare di quelle che gli pervenivano.
La sua era una presenza occhiuta e minuziosa e c’è da chiedersi davvero come facesse a occuparsi di tutte le varie incombenze impostegli dalla molteplicità delle cariche che ricopriva, come riuscisse a conciliare l’attenzione ai risvolti della banale quotidianità di cui erano intrise le suppliche che riceveva con i molteplici impegni che gli richiedevano il partito, il governo, lo Stato.
Mussolini era pienamente consapevole di questo suo ruolo e della sua funzione e di una sua progressiva trasformazione in una sorta di automa, lungo un percorso all’interno del quale la funzione della Segreteria finì per assumere una importanza tale da farne oggi una strepitosa occasione per gli storici di valorizzarne, in chiave storiografica, l’immane patrimonio documentario lasciatosi alle spalle.
È vero, in Italia con il fascismo le masse entrarono nella storia; lo avevano già fatto nelle trincee della Prima guerra mondiale, facendosi uccidere “in massa” in un conflitto spietato e crudele; continuarono a farlo con il fascismo, affollando le piazze del consenso al Duce, con i cuori infiammati dai sui discorsi e dalle sue “pose”.
Anche da noi il Novecento fu il “secolo delle masse”; lo fu però amputandone della libertà e della democrazia la loro tumultuosa irruzione nello spazio pubblico, costringendole in una forma di partecipazione politica che assunse i tratti di un vero e proprio credo religioso, improntato al trinomio obbedienza, disciplina, gerarchia.
In questo senso, più che di fascismo sarebbe meglio parlare di mussolinismo. La persona fisica del Duce fu strategicamente al centro della vasta operazione del regime tesa alla costruzione dell’impalcatura statale e politica in cui per vent’anni furono organizzate “le masse” italiane; accanto all’operato degli organi di polizia, della magistratura, e di tutte le strutture repressive dello Stato, fu proprio nella capacità politica di Mussolini che il fascismo trovò la soluzione ai problemi posti dalla dimensione tutta novecentesca della massificazione della politica.
Le masse diventarono allora quelle che applaudivano i discorsi del Duce nelle piazze italiane, che lo aspettavano pazienti sostando per ore lungo i tragitti ferroviari per i suoi viaggi su e giù per la penisola, che andarono a morire in Etiopia, in Spagna, in Grecia, in Albania, in Russia, in Africa nelle sventurate guerre che segnarono il tramonto del fascismo. Ma quelle masse erano composte da individui, da singoli uomini e da donne in carne e ossa.
linda giuva massimo d alema foto di bacco (2)
Di loro, dei loro affanni, beghe, dei drammi familiari o delle aspirazioni economiche e sociali si interessava la Segreteria particolare intessendo un rapporto personale che contribuiva a creare e sostenere l’illusione della presenza del Duce in tutti gli aspetti della loro vita personale.