ALBERTO GENOVESE RIMANE IN CARCERE – IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI MILANO HA RESPINTO L’ISTANZA DELLA DIFESA CHE CHIEDEVA L’AFFIDAMENTO TERAPEUTICO PER L’EX IMPRENDITORE CONDANNATO A QUASI 7 ANNI PER DUE CASI DI VIOLENZA SESSUALE – PER I GIUDICI, CHE HANNO RICHIESTO ANCHE UNA VALUTAZIONE PSICHIATRICA, C’È IL “RISCHIO RECIDIVA": “GENOVESE DEVE CAMBIARE PROSPETTIVA DI ANALISI, CONCENTRANDOSI SULL'ANALISI INTERIORE E DELLE PROPRIE PARTI “NON SANE”…”
alberto genovese in tribunale all’uscita dell aula dopo la sentenza di condanna 2
(ANSA) - Ciò che "sorprende e in qualche modo allarma è che la sua paura sia quella di ricadere nell'uso di sostanze e non quella di reiterare delitti di natura sessuale connotati da estrema violenza" e "tutti" sono "concordi nel ritenere" che Alberto Genovese "debba cambiare prospettiva di analisi, concentrandosi sull'analisi interiore e delle proprie parti 'non sane'".
Lo scrive il Tribunale di Sorveglianza di Milano nel provvedimento con cui, lo scorso 27 ottobre, ha respinto l'istanza della difesa di affidamento terapeutico per l'ex imprenditore del web condannato a 6 anni, 11 mesi e 10 giorni per due casi di violenza sessuale con uso di droghe su due modelle, stabilendo che deve restare ancora in carcere. Secondo i giudici (i togati Cossia e Gerosa e due esperti), che hanno richiesto anche una valutazione psichiatrica da parte dell'equipe del carcere di Bollate prima di decidere, serve da parte di Genovese un "percorso di analisi, al momento, da ritenersi appena abbozzato e che invece questo Collegio ritiene di fondamentale importanza per poter esprimere una prognosi favorevole circa la futura astensione dalla commissione di reati, in particolare della stessa specie".
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Per i giudici l'affidamento terapeutico per ora è "del tutto inidoneo sotto il profilo della prevenzione della recidiva, sia perché incentrato esclusivamente sulla sussistenza di una possibilità lavorativa", che non ha "mai costituito un problema" per Genovese, e sulla "prosecuzione di una psicoterapia individuale" che "si ritiene insufficiente", sia soprattutto perché "non sufficientemente contenitivo, rispetto ad un soggetto responsabile di delitti connotati da estrema gravità che, ad oggi, non ha mai fruito di alcuno spazio di libertà".
Genovese, difeso dai legali Antonella Calcaterra, Salvatore Scuto e Davide Ferrari, dopo essere stato, dal luglio 2021, ai domiciliari in una clinica per disintossicarsi dalla cocaina, era tornato in carcere lo scorso 13 febbraio in esecuzione della pena definitiva, come disposto dal pm Adriana Blasco. I giudici evidenziano, riportando passaggi della relazione dell'equipe psichiatrica e dei colloqui con Genovese, che "la spiegazione che lui si è dato, quantomeno fino all'inizio dell'ultima carcerazione" è quella di uno "stato confusionale" indotto dalle droghe che sarebbero le "uniche responsabili" delle sue condotte di violenza.
E delle quali, a suo dire, non si sarebbe mai reso "conto", se non dopo aver visto i video che hanno ripreso gli abusi nell'attico Terrazza Sentimento. Le relazioni in cui si parla di "fragilità narcisistica", spiegano i giudici, "sottolineano come sia di fondamentale importanza proseguire nel percorso di analisi, di esplorazione e di comprensione di quelle fragilità personali che lo hanno portato a commettere i delitti". Un percorso che, per i giudici, deve proseguire in carcere. Sempre per il Tribunale c'è un lavoro da fare "sull'aspetto relazionale, che ad oggi egli non sembra essere mai stato in grado di organizzare in modo sano e costruttivo".
Genovese, si legge ancora, ha "risarcito le parti offese" immediatamente e "senza tentennamenti", ma, date le sue "enormi disponibilità economiche", si tratta di "un dato non particolarmente significativo, mentre di ben altra valenza sarebbe stata una sua eventuale richiesta di accedere ad un percorso di mediazione con le vittime" oppure "il suo supporto ad organizzazioni" che si occupano "di femminicidi o di donne vittime di violenza".
Per il 46enne, tra l'altro, come ricordano i giudici, si aprirà a dicembre una nuova udienza preliminare nel filone bis su altre violenze, sempre coordinato dall'aggiunto Letizia Mannella e dai pm Rosaria Stagnaro e Paolo Filippini nelle indagini della Squadra mobile.
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