paloma elsesser

CUCCURUCCUCU PALOMA! - BONAZZE, SCANSATEVE, E' ARRIVATA PALOMA ELSESSER, L'ENNESIMA MODELLA "CURVY" (CIOE' CON LA PANZA) A SPIEGARCI CHE LA MODA NON E' "INCLUSIVA": "È ASSURDO CHE UNA PERCENTUALE COSÌ GRANDE DI PERSONE INTERESSATE ALLA MODA VENGA ESCLUSA A PRIORI. CHI PUÒ PENSARE CHE LO STILE INTERESSI SOLO AI MAGRI?" - "UNA VOLTA, DURANTE UNO SHOOTING PER UN BRAND IMPORTANTE, IN UNO DEGLI ABITI CI ENTRAVO LETTERALMENTE SOLO CON UNA COSCIA..."

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Chiara Bardelli Nonino per www.repubblica.it

 

Se rientri nella percentuale fortunata, è facile dimenticare cosa vuol dire sentirsi rappresentati […] I corpi fuori dagli standard della bellezza occidentale sono stati a lungo troppo visibili – e troppo poco. Per molti versi è così ancora oggi, ma ci sono persone come Paloma Elsesser […] Nella moda Paloma è decisamente una protagonista, una modella camaleontica molto intelligente, impossibile da etichettare: nera, cilena, nata da una famiglia di artisti e pensatori in Inghilterra ma profondamente americana. E in più è bellissima, con un senso dello stile innato ed eminentemente contemporaneo.

 

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Scoperta a 22 anni da Stevie Dance e Pat McGrath, in pochissimo tempo è diventata una delle modelle simbolo dell’ultimo decennio. […] Ora Paloma reclama il suo posto: per creare i paradigmi di domani e mostrare come lo stile, in tutte le sue sfumature, sia davvero per tutti.

 

[…] Quando ha iniziato a lavorare nella moda si sentiva in qualche modo isolata?

«In realtà c’erano già Crystal Renn, Toccara Jones, Tara Lynn, Candice Huffine… E naturalmente Ashley Graham, che stava buttando giù un muro dopo l’altro. Però le modelle plus size venivano fotografate solo in due modi: nude o con una patina glamour molto, molto lontana dallo stile di una ventenne come me».

 

[…]

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La moda è ormai parte essenziale della costruzione della nostra identità: come è stato crescere in un sistema poco inclusivo?

«[…]  Mi è sempre piaciuta l’idea di mettere in scena persone diverse. Ma tantissimi abiti non erano pensati per il mio corpo, quindi mi ingegnavo. Però ho un ricordo molto preciso di me bambina da Gap Kids: non mi entrava nulla. Avrò avuto 8 anni e rivedo come fosse adesso le luci fluorescenti del camerino, la rigidità della panchina, le corse trafelate dei commessi che non sapevano che fare e cercavano qualcosa nella sezione adulti.

 

Ecco, con le immagini a cui collaboro voglio ispirare l’esatto contrario di quella sensazione. Voglio aprire mondi, possibilità. Che poi è assurdo che una percentuale così grande di persone potenzialmente interessate alla moda venga esclusa a priori. Chi può pensare che lo stile interessi solo ai magri? È un’evidente mistificazione».

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Quel “momento Gap”, se vogliamo chiamarlo così, lo ha mai rivissuto? Nel suo lavoro, intendo.

«Certo. Mi succede in continuazione di avere quattro look in croce e vedere le colleghe con file e file di capi di alta moda. Una volta, durante uno shooting per un brand importante, in uno degli abiti ci entravo letteralmente solo con una coscia […] Sa, in un certo senso la parte più impegnativa del mio lavoro è in una sorta di continuo coaching delle persone con cui collaboro: cerco sempre di spingerle a pensare oltre la mia taglia, dialogare con me su presupposti molto diversi. […]».

 

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Eppure nelle ultime stagioni l’inclusione delle diversità sulle passerelle sembra di nuovo diminuita, non trova?

«Già. Viviamo in una specie di economia della nostalgia, forse perché gli ultimi anni sono stati piuttosto complicati. E se ci guardiamo alle spalle, come ora si tende a fare, troviamo stili che esaltano la magrezza. So che non lavoro in un’industria nota per fermarsi a riflettere, e so che esistono cicli, che i canoni estetici cambiano di continuo. Se anche non ne fossi consapevole, comunque non fanno che ricordarmelo.

 

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Se penso a quante volte mi sono sentita dire che se fossi nata nel Rinascimento sarei stata la personificazione ideale della bellezza – e quante volte avrei voluto aggiungere: “Certo tesoro, e mi avresti trovata nei quartieri riservati alla servitù”... In ogni caso su questo argomento è come se ci fosse un po’ di dissociazione nel mondo della moda, anche se ormai il pubblico ha i mezzi e il linguaggio per mettere in discussione quello che gli viene proposto. Abbiamo fatto tutti un gran lavoro per spingere il sistema a mostrare quanto siano belli corpi molto diversi, e a questo punto tornare indietro sarebbe davvero crudele. Soprattutto perché c’è ancora moltissimo da fare».

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Cosa la motiva nel lavoro?

«Vorrei contribuire a creare immagini che un giorno possano ispirare una nuova generazione, spingere corpi differenti a esplorare stili differenti. […] A volte può sembrare che io sia sul set solo per riempire una casella, e a volte sono io la prima a temerlo. Quello di cui non tutti si rendono conto, tuttavia, è quanto la mia presenza sia radicale di per sé. Voglio dire, non è ancora per nulla scontata o normale».

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Sente il peso di questa responsabilità?

«Certo. Ma sa come si dice, “progresso, non perfezione”. Ecco, cerco di applicare quella formula a ciò che faccio ogni giorno. Anche per questo sono molto trasparente sulle mie vulnerabilità. Di fondo, voglio arrivare a 80 anni, guardarmi allo specchio e pensare di avere fatto le cose giuste. Dal di fuori magari è facile pensare che ci sono riuscita, che sono arrivata, ma ho dovuto superare una quantità di ostacoli: mancanza di risorse finanziarie, ansia, depressione, stress post traumatico, abuso di sostanze – oltre alla grassofobia che avevo anch’io, come tutti. Con molte di queste cose combatto tuttora. Ma voglio far passare il messaggio che anche se sei imperfetta – e lo sarai sempre – potrai ottenere la vita che desideri, oltre i tuoi sogni più grandi. Se ce l’ho fatta io, ce la puoi fare anche tu».[…]

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