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COSI’ GIOVANI E COSI’ MERDE: UN BRANCO DI 15 RAGAZZINI DELLA MILANO BENE ORGANIZZA UN PESTAGGIO AI DANNI DI UN VENTENNE – AVEVA DISCUSSO PER UNA SIGARETTA AD UNA FESTA DI 18 ANNI – SOLO DUE DONNE SI FERMANO PER I SOCCORSI - LE TELECAMERE HANNO RIPRESO TUTTO
Andrea Galli per il Corriere della Sera
Un occhio nero, il tutore al collo, denti rotti, ore in ospedale. «Sono uscito dal ristorante. Ero diretto alla macchina: l’avevo parcheggiata a circa duecento metri, vicino a un supermercato. Ho percorso tre passi sulla sinistra e mi sono saltati addosso. Non ho visto più niente tranne l’asfalto. Mi sono coperto la testa con le mani, pregando di non morire». Il ristorante era il «Momo Restaurant» di via Monte Ortigara, zona di Porta Vittoria.
L’una e mezza della notte tra sabato e domenica. La vittima: un ragazzo di vent’anni, studente di Ingegneria. Gli aggressori: minorenni che in gran parte frequenterebbero un liceo-bene di Porta Venezia, amici di un coetaneo che poco prima, all’interno dello stesso locale, durante la festa privata per il compleanno di una diciottenne, aveva strofinato una sigaretta accesa sul collo dell’universitario. «Ho sentito il bruciore, mi sono girato per chiedergli conto. Quello ha detto che s’era sbagliato, ha chiesto scusa, ha ripetuto che non voleva. Ci siamo stretti la mano e credevo fosse finita lì».
Invece no. Il tipo della sigaretta ha informato gli amici del fatto e gli amici, forti d’essere un branco, hanno deciso che comunque serviva una lezione. Vili e codardi, hanno atteso fuori il ventenne. Erano una quindicina. Non hanno detto una parola. Non hanno lanciato insulti. Hanno cominciato il pestaggio. Ma nella furia non hanno badato alle telecamere di sorveglianza del ristorante, che avrebbero ripreso la scena confermando la versione dell’aggredito. Indaga la polizia.
I violenti avrebbero i giorni contati, dunque che si preparino a rendere conto agli investigatori e ai genitori (e pure, eventualmente, al buon nome della scuola). Non sembra, al ragazzo picchiato, che fossero ubriachi o semincoscienti per qualche droga. Dunque avrebbero deciso e attuato un piano preciso. Con l’obiettivo di far male. O molto peggio se non fossero passate in macchina due donne. Altre persone avrebbero magari finto di non vedere, facendosi i fatti propri e proseguendo a guidare.
Loro due si sono fermate, sono scese, hanno urlato per provare a interrompere l’agguato e han chiamato le forze dell’ordine. Al rumore delle prime sirene della polizia, i coraggiosi hanno deciso di scappare, ognuno in una direzione diversa. «Non mi hanno dato nemmeno il tempo di spiegare: avrei potuto dire come si era conclusa la storia della sigaretta, e cioè che era stata archiviata per davvero e che io mai e poi mai cercavo minimamente altri problemi. A me, le botte, fanno paura: nel senso di prenderle, ovvio, ma anche di darle. Anzi, forse soprattutto di darle. Proprio non sono il tipo. È naturale che, visti uno a uno, ’sti ragazzini manco si permetterebbero di alzare la voce contro un bambino... Evidentemente si sono dati forza l’un l’altro, si sono caricati ed eccitati magari ispirandosi a qualche film, boh... M’è andata bene, m’è andata di stralusso, ed è questo che conta. Senza quelle due donne, che non mi stancherò di ringraziare per i prossimi anni, forse sarei ancora giù per terra. Anche il personale del ristorante, in verità, appena s’è accorto, è corso fuori ad aiutarmi».
Gli investigatori hanno le immagini delle telecamere. In più ci sono il nome del tipo della sigaretta («Non appartiene alla mia cerchia di conoscenti, ma so chi è»), l’«origine» del branco, ovvero quel liceo di Porta Venezia, e i racconti delle testimoni che hanno parlato di una ferocia pazzesca, di raffiche di calci, di altre raffiche di pugni. Quasi che i minorenni si stessero divertendo, ci provassero un gran gusto magari per vantarsene il lunedì in classe.