OTELMA E LOUISE! CHI C’ERA CON LE DUE BABY-ASSASSINE DI UDINE?

Niccolò Zancan per "la Stampa"


Ottavo piano. Un palazzone popolare nel quartiere più difficile di Udine. Dietro la porta si affaccia una signora magra, con i capelli grigi corti. È una nonna distrutta, si sente in colpa: «Mirco Sacher per me era più di un amico. Lo conosco da sedici anni. Era uno di famiglia. È stato anche padrino di un cugino. Sono stato io a presentarlo a mia nipote. Ci ha visti insieme, dentro questa casa, tante volte. E adesso sto male per lui che non c'è più, come sto male per loro».

Una nonna. Ecco: il punto di partenza della storia. L'anello che collega due ragazzine dalla vita complicata a un ferroviere in pensione, morto domenica in un campo di periferia, con i pantaloni abbassati.

Le ragazzine, 15 anni, hanno ribadito davanti al giudice dei minori la confessione resa ai carabinieri di Pordenone, domenica notte, quando si sono costituite: «Lo abbiamo strangolato perché ha cercato di violentarci». Il procuratore minorile Dario Grohmann, dopo averle sentite entrambe, dice: «Nelle loro dichiarazioni ci sono incongruenze, anche se non rilevanti. Sono due minorenni ree confesse, ma il quadro probatorio è tutto da dimostrare. È un grande puzzle. Occorre capire il movente, innanzitutto. Perché all'improvviso un conoscente di famiglia le aggredisce? Perché la prima reazione delle ragazze non è stata quella di fuggire?» In queste due domande c'è molto di quel che resta da capire in questa storia nerissima. Non è in discussione la sostanza, ma il contesto.

Perché si scopre che domenica l'ex ferroviere e le ragazzine passano molto tempo insieme. Loro lo chiamano per farsi portare in centro. Lui va a prenderle dall'altra parte della città. «Era una cosa normale - ripetono entrambe - ci avrà dato più di venti passaggi».

Ma prima di andare in centro, si fermano in una gelateria, dove un video delle telecamere di sicurezza presto dovrebbe confermare o smentire. Poi pranzano insieme nell'alloggio di lui. Gli investigatori hanno trovato due bottiglie finite di vino e resti di pasta. Le ragazze hanno detto di aver bevuto due bicchieri a testa. Ma perché poi la scena - il tentato stupro - si trasferisce all'esterno? Un testimone vede le ragazze discutere già sotto casa dell'amico di famiglia. Forse, addirittura, prendere a calci la sua auto. Eppure salgono. Partono sulla vecchia Punto bianca di Sacher. Che dopo un centinaio di metri, avrebbe detto: «Fermiamoci un attimo. Dobbiamo parlare».

Posteggiano davanti a un pratone, al fondo di via Buttrio. A cinque minuti da casa. È lì che succede. Discutono ancora. Lo raccontano due testimoni. Poi lui le aggredisce, e loro reagiscono: «Abbiamo stretto le mani intorno al collo». Chi sono queste due ragazzine, che poi si mettono a guidare l'auto «a sobbalzi»?

Finiscono dentro una via chiusa: «Non riuscivamo a mettere la retromarcia». Chiedono aiuto a un passante, che fa manovra al posto loro. Due ragazzine che impiegano 11 ore e più 200 chilometri di viaggio auto, autostop, treno - prima di presentarsi alla caserma dei carabinieri di Pordenone e confessare. Ci arrivano infreddolite, terrorizzate. Una, addirittura, con addosso il maglione del signor Sacher.

La prima ad avere dei dubbi è la madre di quella che ha sostenuto di essersi messa al volante: «Mia figlia non sa guidare - ha detto - non può aver percorso tutta quella strada da sola». Ovvio che adesso gli investigatori della squadra mobile, agli ordini del vicequestore Massimiliano Ortolan, stiano guardano agli amici e ai fidanzatini. Sono due ragazze che vivono in simbiosi. Su Facebook si scambiano messaggi d'amore. Ma anche maledizione contro il mondo.

Sfoghi del tipo: «Vacanze di m... Non posso neppure vedere la mia migliore amica per colpa di una sigaretta». Vivono in famiglie dolenti. Una ha i genitori separati da quando era piccolissima. L'altra ha perso la madre all'età di tre anni. Sono compagne di scuola. Frequentano corsi da parrucchiera e estetista. Si fanno foto ammiccanti davanti allo specchio e le pubblicano, come tutte le ragazzine di quindici anni. Sembrano molto più grandi della loro età. Eccole, le bambine cresciute troppo in fretta che hanno confessato l'omicidio. I genitori stavano cercando di correre ai ripari. Più studi, più controlli.

E così si torna al contesto difficile. Mentre il pensionato Mirco Sacher non potrà più dire la sua. Nel quartiere dove tutti lo conoscevano, non vanno giù per il sottile. «Se è vero che ha provato a violentarle, ammazzarlo era il minimo». Ma in un palazzone uguale ad altri venti messi in fila, c'è una nonna che ancora cerca di tenere insieme tutti i pezzi della sua vita: «Sto malissimo. Per Mirco e per le ragazze. Non riesco a capire».

 

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