LA PIETÀ DI UN PREMIER – CAMERON SI SCHIERA CON I GENITORI FUGGITI CON IL BAMBINO MALATO – “L’ISTINTO DEI GENITORI È OFFRIRE IL MEGLIO AI FIGLI” – LUI PERSE UN FIGLIO DI 6 ANNI PER PARALISI CEREBRALE

Alessandra Baduel per “La Repubblica

 

DAVID CAMERON INCONTRA A CASA SUA ANGELA MERKEL DAVID CAMERON INCONTRA A CASA SUA ANGELA MERKEL

Sulla vicenda di Ashya King, cinque anni, un tumore al cervello e mille domande su come sia stato curato, ieri è intervenuto Cameron, come premier — e anche come padre — per esprimere la sua solidarietà alla famiglia. Un gesto che potrà forse essere d’aiuto, visto che Brett e Naghemeh King al momento sono in carcere in Spagna, dove sabato è stata messa la parola fine alla loro fuga dalla Gran Bretagna in cerca di una cura ai raggi ai protoni per il bambino. E dove ieri i King hanno rifiutato l’estradizione verso Londra.

 

prigione soto del realprigione soto del real

Quella cura, aveva spiegato il padre di Ashya in un video su YouTube, all’ospedale di Southampton non la facevano. Loro, sapendo che è molto meno invasiva della radioterapia, volevano tentare. «La vita di Ashya sarà breve — diceva ieri uno dei fratelli maggiori, Danny — ma vogliamo che sia della miglior qualità possibile». Sono stati inseguiti con mandato d’arresto internazionale per dichiarato possibile rischio di morte del bambino nel viaggio.

signori kingsignori king

 

Mentre in Gran Bretagna montavano le polemiche sulla mancanza di fondi e sulla rigidità del servizio sanitario, con richiesta di chiarimenti sul mandato di arresto, Cameron ieri ha deciso di pronunciarsi. Un portavoce di Downing street ha dichiarato come il premier creda che «l’istinto dei genitori fosse quello di offrire il meglio a loro figlio».

 

la petizionela petizione

La priorità, dice Cameron, è «far avere ad Ashya le migliori cure possibili », per poi aggiungere: «È comprensibile che le autorità competenti si interessino del caso». Lui, che un figlio piccolo l’ha perso nel 2009 — Ivan, sei anni, ucciso da una paralisi cerebrale — non poteva non intervenire. Mentre Downing street parlava, le due vicende — una umana, l’altra legale-burocratica — continuavano a svilupparsi parallele, senza apparente possibilità di comunicazione.

 

sostenitori della petizionesostenitori della petizione

Da un lato c’è la famiglia King. Brett, Naghemeh e i loro sei figli sono fuggiti con Ashya dall’ospedale di Southampton il 28 agosto dopo aver preparato tutto. La settimana prima, il Proton Therapy Centre di Praga aveva ricevuto la loro richiesta. Lì la cura costa 76mila euro. I King avevano chiesto la terapia a Southampton, ma il servizio sanitario nazionale britannico la usa solo per i tumori agli occhi. È previsto un finanziamento per farla all’estero, ma la trafila burocratica poteva durare più della vita di Ashya, che è stato operato due settimane fa e doveva sottoporsi a radioterapia. I King hanno deciso cosa fare: andare in Spagna, vendere la casa delle vacanze che hanno a Marbella, proseguire il prima possibile verso Praga.

famiglia kingfamiglia king

 

Dall’altro lato c’è un ospedale che giovedì scorso, a sei ore dall’uscita dei King per una passeggiata autorizzata con il bambino, avvisa la polizia, sottolineando che Ashya è alimentato con un macchinario le cui batterie presto si esauriranno. La polizia dell’Hampshire, con un allarme così grave, ha il dovere di intervenire.

 

ospedale di malagaospedale di malaga

Arrestati sabato notte all’Hotel Esperanza, vicino Malaga, per supposta “negligenza” verso il figlio dopo una caccia internazionale con allerta su tutti i media, ora i King sono nel carcere Soto de Real vicino Madrid e forse mercoledì avranno la libertà su cauzione.

I fratelli di Ashya sono sulla Costa del Sol e cercano invano di fare visita al bambino, ricoverato a Malaga in relativa buona salute e da venerdì ufficialmente sotto tutela “per necessità di cure” del Comune di Portsmouth, dove è nato. Potrebbe presto essere rimandato in Gran Bretagna.

 

ashya king e sua madre nagmehashya king e sua madre nagmeh

 Il fratello Danny è fuori dell’ospedale: «Non ci fanno entrare — dice — ma per fortuna mi hanno permesso di mandargli una registrazione: hanno capito quanto è importante per lui sentire la voce di un fratello».

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