“HO CHIESTO DI FARE UNA CHIAMATA MA HO PRESO CALCI E SCHIAFFI...” - I DETENUTI DEL PENITENZIARIO DI IVREA RACCONTANO LE VIOLENZE SUBITE IN PRIGIONE TRA IL 2015 E IL 2016 - PESTAGGI E OMERTÀ: CHI PROVAVA A RACCONTARE FINIVA MALMENATO DAVANTI A TUTTI - LA PROCURA GENERALE DI TORINO HA FINALMENTE AVVIATO UN FASCICOLO E TRA MEDICI E SECONDINI SONO INDAGATE 25 PERSONE...
Andrea Bucci Irene Famà per “la Stampa”
Il carcere è pensato per scontare una pena, non per espiare i peccati come se fosse un girone dell'inferno. E Taufic, che stava scontando la sua condanna nel penitenziario di Ivrea, voleva solo poter sentire i propri familiari, i suoi figli e la moglie. «Vorrei fare una chiamata, ma non è possibile». Ha fatto richiesta agli agenti di custodia, ma «ho preso calci e schiaffi. Ho domandato di poter fare una telefonata e per punizione sono finito in isolamento per dieci giorni». E no, «non è successo solo a me. È capitato a tanti altri. Hanno preso botte gratuite, io li ho visti».
Taufic, nel 2016, raccontava tutto questo alla garante dei detenuti di Ivrea e all'associazione Antigone. Come lui, Gerardo che è finito con «uno zigomo tumefatto e un labbro rotto». E ancora Hamed: «Mi hanno immobilizzato e trasportato di peso». Hanno denunciato le violenze. Hanno parlato per sé e per gli altri che non trovavano il coraggio di farsi avanti. Perché il timore era più o meno questo: se ne ho prese così tante per aver chiesto di fare una telefonata, chissà succede se denuncio. E ancora. Chi potrebbe credere a dei malviventi? A chi ha rubato, rapinato, magari ucciso?
Lo ha fatto l'associazione Antigone, che quelle denunce, su fatti tra il 2015 e il 2016, le ha portate in procura. Dopo una rivolta, scoppiata sei anni fa nel penitenziario e repressa con violenza spropositata, è partita un'inchiesta, poi archiviata. Ora la procura generale di Torino ha avocato il fascicolo e ha indagato 25 persone tra agenti e medici. «Avevamo più volte sollecitato la procura di Ivrea, ma non arrivavano mai risposte», commenta l'avvocata Simona Filippi che rappresenta la onlus. Detto in altri termini: «Finalmente qualcuno ci ascolta».
Violenze e omertà. Ecco il quadro che raccontavano i detenuti. Qualcuno, con qualche operatore del carcere, si era pure confidato. Era finito nella stanza delle punizioni, quella che chiamavano «acquario» perché il vetro era quasi totalmente oscurato ma da fuori si poteva assistere a tutto ciò che accadeva dentro. Uno dei difensori degli indagati, l'avvocato Celere Spaziante, ribatte: «Il quadro che emerge dalle indagini non è veritiero». E aggiunge: «Credo sia più che mai opportuno sottolineare le difficoltà in cui, ad Ivrea, operano gli agenti con analogo disagio da parte dei detenuti che stanno scontando la loro pena nel rispetto delle leggi».
Che in quel penitenziario ci fossero «tensioni e gravi conflittualità» lo ha annotato, in visita nel novembre 2016, anche l'allora garante nazionale dei detenuti. Che per ricostruire gli accadimenti incontrò non poche difficoltà: «Nell'istituto sono assenti i registri degli eventi critici e dei provvedimenti disciplinari, sostituiti dall'archiviazione in un unico database informatico degli eventi quotidiani». Tensioni, dunque. Com' è normale in un carcere. E nelle denunce è spiegato bene: «Il fatto che Gerardo fosse un detenuto "fortemente aggressivo", se può rappresentare il movente delle violenze, non ne può elidere la valenza illecita». La legge è cosa ben diversa dalla vendetta. E dall'esaltazione della forza. Vale per tutti.