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LE CIANCE DI CIANCIMINO JR: “PROVENZANO PER ME È STATO COME UN SECONDO PADRE, ANDAVAMO INSIEME IN PIZZERIA. MIO PADRE MI DISSE CHE IL BOSS NON LO CERCAVA NESSUNO PERCHE’ AVEVA STRETTO UN PATTO” - RIINA? UN PUPAZZO”- E POI TORNA A PARLARE DEL MISTERIOSO “SIGNOR FRANCO”
Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
Totò Riina segue l’udienza in videoconferenza da una lettiga, dimesso per l’occasione dall’ospedale di Parma dov’è ricoverato da tempo; Bernardo Provenzano non è mai venuto perché giudicato incapace di seguire un processo a suo carico; e l’imputato-supertestimone Massimo Ciancimino è costretto a chiedere il rinvio dell’udienza perché dopo tre ore di interrogatorio non ce la fa più a rispondere alle domande del pubblico ministero, a causa della labirintite che lo perseguita.
Chissà che impressione avranno avuto gli studenti di due licei di Palermo e Messina venuti ad assistere, insieme ai professori, al processo sulla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia al tempo delle stragi, che va avanti da due anni e mezzo. Di certo hanno potuto vedere e ascoltare una descrizione che — se fosse ritenuta provata dai giudici — sarebbe la dimostrazione plastica del patto occulto tra boss e istituzioni.
Raccontata da Ciancimino in persona, venuto a ripeterla nell’aula-bunker dell’Ucciardone (la stessa dove giusto trent’anni fa si celebrò il maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone in cui suo padre, Vito Ciancimino, figurava tra gli imputati) dopo anni di peripezie giudiziarie che gli sono costate un rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa e tre per calunnia.
Non è più il tempo delle telecamere al seguito e della scorta armata per proteggerlo, adesso Ciancimino jr si muove e parla quasi sommessamente; come se fosse obbligato a rispondere per non perdere ulteriormente di credibilità, ma se potesse ne farebbe volentieri a meno.
E così ribadisce che tra il 1999 e il 2002, nella casa romana in cui viveva con suo padre agli arresti domiciliari, a due passi da piazza di Spagna, il latitante Bernardo Provenzano andava tranquillamente a far visita a «don Vito». Era lui stesso, Massimo, ad accoglierlo e a congedarlo, talvolta anche salutandolo con un bacio: «Per me è stato come un secondo padre, lo frequentavo da quando ero bambino (e Provenzano già ricercato, ndr ), andavamo insieme in pizzeria».
Di certo suona un po’ incredibile che ancora nei primi anni Duemila, dopo le stragi e la riscossa giudiziaria dello Stato sulla mafia, il latitante numero 1 di Cosa nostra andasse a trovare un detenuto famoso come l’ex sindaco mafioso di Palermo, nel cuore di Roma.
Con la sola accortezza di presentarsi negli orari di chiusura della portineria. Lo fa notare lo stesso pm Di Matteo, ma per il giovane Ciancimino una spiegazione c’è. Gliela diede proprio suo padre: «Mi disse che Provenzano era tranquillo perché non lo cercava nessuno, in base ad accordi stretti negli anni passati.
Godeva di tutela per via di un patto stipulato nel ’92, in base al quale proprio lui doveva prendere la guida di Cosa nostra e fermare l’attacco stragista; alla sigla di quell’accordo, tra maggio e dicembre 1992, partecipò anche mio padre».
La trattativa Stato-mafia, per come l’ha ricostruita la Procura di Palermo, è tutta qui: l’accordo segreto che mise fine alle stragi e garantì la latitanza del padrino corleonese. Il quale si contrapponeva a Totò Riina, un altro che Massimo Ciancimino dice di aver visto incontrarsi e scambiare pizzini con suo padre, anche se l’ex sindaco lo considerava «un pupazzo, aggressivo, intellettualmente limitato».
Poi si torna a parlare del misterioso «signor Franco», presunto agente segreto (mai identificato, nonostante ripetuti tentativi e promesse, passati anche per due imputazioni di calunnia ai danni dell’ex capo della polizia De Gennaro) che avrebbe fatto da tramite e garante dei contatti tra Cosa nostra e le istituzioni; e degli incontri tra Vito Ciancimino e l’allora imprenditore Silvio Berlusconi, riferiti dal padre al figlio, confermati anche dalla madre e puntualmente smentiti, ancora ieri, dall’avvocato dell’ex premier, Niccolò Ghedini.
L’esame dell’imputato-testimone proseguirà oggi e nelle prossime settimane, quando sarà interrogato dagli avvocati difensori e delle parti civili, i quali cercheranno di far emergere davanti alla Corte d’assise tutte le contraddizioni dell’ormai ex star dell’antimafia militante.
Massimo Ciancimino
Don Vito e Massimo Ciancimino