COM’È POSSIBILE CHE 11 GIOCATORI DEL GENOA CHE ERANO NEGATIVI SABATO SONO RISULTATI POSITIVI LUNEDÌ? – I TAMPONI MOLTO SPESSO DANNO FALSI NEGATIVI ANCHE SE IL VIRUS È GIÀ PRESENTE NELL’ORGANISMO, SOPRATTUTTO NEL PERIODO PRE-SINTOMATICO. CHE PERÒ È QUELLO CRUCIALE, PERCHÉ NEI PRIMI GIORNI LE PERSONE SONO MOLTO CONTAGIOSE - ADESSO BISOGNA CAPIRE COME E QUANTO IL VIRUS SI DIFFONDE IN CAMPO: MA ANCHE SE I CALCIATORI DEL NAPOLI RISULTASSERO NEGATIVI OGGI, NON È DETTO CHE POSSANO TIRARE UN SOSPIRO DI SOLLIEVO...
1 – GENOA, ECCO PERCHÉ IL CORONAVIRUS SI È DIFFUSO COSÌ TANTO NELLA SQUADRA
Cristina Marrone per www.corriere.it
Come è possibile che 14 tra giocatori e membri dello staff del Genoa che si sono sottoposti sabato a un doppio tampone negativo lunedì siano risultati positivi?
I test non rilevano immediatamente il virus. Nei primi tre giorni dopo l’esposizione a Sars-Cov-2, quando l’individuo è ancora pre sintomatico, c’è un’alta probabilità che il test tampone sia negativo.
È però possibile che il virus sia già presente nell’organismo, ma dal momento che comincia a replicarsi a diverse velocità, anche in base alla risposta anticorpale del singolo, il tampone può risultare “falsamente negativo”. Dopo 72 ore dalla presunta esposizione è più facile che il test fornisca risultati corretti.
È dunque possibile che i giocatori del Genoa fossero già stati contagiati e quindi potenzialmente infettivi quando domenica hanno sfidato il Napoli al San Paolo?
Sì, la malattia ha un periodo di incubazione di 2-5 giorni e come detto il tampone non la rivela subito. È dunque verosimile che almeno qualche atleta rossoblù abbia giocato con il virus già in corpo, asintomatico.
Per quanto riguarda i contagi in campo dovremo attendere qualche giorno e anche se i risultati dei test effettuati martedì dovessero risultare negativi i partenopei non potranno ancora sentirsi al sicuro. Il grosso problema è che il periodo pre-sintomatico (che dura dai 2 ai 10 giorni con una media di 5) è anche quello cruciale: non solo perché gli asintomatici possono trasmettere la malattia, ma anche perché nei giorni immediatamente precedenti ai sintomi le persone sono molto contagiose.
Come è arrivato il virus nella squadra?
Il primo a risultare positivo è stato il portiere Mattia Perin, febbricitante venerdì e risultato positivo sabato a mezzogiorno. Nel corso della settimana si è allenato regolarmente, asintomatico ma contagioso.
È verosimile che Perin si sia infettato lunedì, giornata di riposo, lontano dai campi di gioco. Non bisogna dimenticare che la Liguria è una delle regioni italiane che più preoccupano per la diffusione del contagio con un Rt di 1,31 tra i più alti d’Italia e con un’incidenza negli ultimi 7 giorni di 34,48 casi ogni 100 mila abitanti, seconda solo alla provincia Autonoma di Trento. L’andamento della curva epidemica generale del resto riflette quello che succede nei singoli ambienti: scuole, Università, aziende, centri sportivi.
Ma come mai proprio dai calciatori, super controllati, è nato un cluster così importante?
Proprio perché sono così controllati è stato possibile individuare le positività in modo tempestivo. Gli atleti amatoriali di fatto corrono gli stessi rischi pur avendo meno occasioni di contagio dal momento che praticano l’attività sportiva con frequenza inferiore .
È vero che gli sport di squadra e da contatto sono i più pericolosi?
Sì perché in campo c’è lo scontro fisico, è facile che gli atleti parlino ad alta voce, abbiano discussioni a distanza ravvicinata, respirino vicini. Promiscuità negli spogliatoi, palestre con attrezzi condivisi, convivialità fanno il resto. Inoltre il virus può arrivare nella squadra per mezzo della vita sociale fuori dalla comunità controllata della squadra ed è comunque difficile creare una permeabilità. Per evitare i contagi i calciatori dovrebbero fare una vita da clausura, vivere in una “bolla chiusa” come fanno i giocatori di basket della NBA, chiusi a Disney Word dove giocano e si allenano senza altri contatti esterni.
Gli atleti rischiano di più il contagio?
È noto che dopo uno sforzo fisico intenso, senza un recupero adeguato, è frequente che si verifichi una situazione di deficit di anticorpi, che rende l’atleta più suscettibile alle infezioni, compreso il nuovo coronavirus.
Sappiamo che quando si compie un esercizio fisico intenso e prolungato, con elevatissimi flussi e volumi respiratori, proprio nei giorni di incubazione immediatamente precedenti all’esordio dei sintomi, viene facilitata la penetrazione diretta del virus nelle vie aeree inferiori e negli alveoli, riducendo fortemente l’impatto delle mucose delle vie aeree, coperte da anticorpi “neutralizzanti”. Per questo gli atleti, se compiti dal virus in queste fasi, possono ammalarsi anche in modo serio.
Hanno collaborato Fabrizio Pregliasco, virologo e Direttore Sanitario dell’ospedale Galeazzi di Milano e Gianfranco Beltrami, vicepresidente delle Federazione medico sportiva italiana
2 – CORONAVIRUS, PERCHÉ CI SONO FALSI NEGATIVI NEI TAMPONI?
Cristina Marrone per www.corriere.it
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Ma come mai i tamponi sono risultati così a lungo negativi per poi diventare positivi giorni dopo l’eposizione a una persona positiva? «È fondamentale il modo in cui viene eseguito il test: deve essere svolto da mani esperte per non rischiare falsi negativi» spiega il virologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’ospedale Galeazzi di Milano.
Nei diversi studi svolti in questi mesi su Sars-CoV-2 si è visto che nei primi tre giorni dopo l’esposizione a Sars-CoV-2 c’è un’alta probabilità che il test-tampone sia negativo. «Il virus è magari già presente nell’organismo ma comincia a replicarsi a diverse velocità anche in base alla risposta anticorpale del singolo e il tampone non lo rileva subito.
Dopo 72 ore dalla presunta esposizione è più facile che il test fornisca risultati corretti. Ma sussiste un terzo problema: può anche verificarsi un’espositiva successiva a quella che si conosce: potremmo essere contagiati anche il giorno dopo un tampone negativo» aggiunge Pregliasco.
Il grosso problema è che il periodo pre sintomatico, che dura dai 2 ai 10 giorni con un media di 5 è anche quello cruciale: non solo perché gli asintomatici possono trasmettere la malattia, ma anche perché nei giorni immediatamente precedenti i sintomi, le persone sono molto contagiose. Si è sempre detto che il tampone è la fotografia del virus in quel momento, ma effettuare il test troppo in anticipo può dare risultati falsati.
Tasso di falsi negativi minimo dopo 8 giorni dall’infezione
Uno studio della Johns Hopkins School of Public Health pubblicato sulla rivista scientifica Annals of Internal Medicine , aveva scoperto che il tasso medio di falsi negativi era del 38% nel quinto giorno dall’infezione, quello dell’esordio dei sintomi (quando presenti). I falsi negativi diminuivano al 20% l’ottavo giorno.
Dato che il tasso di falsi negativi è al minimo 8 giorni dopo l’esposizione, ovvero 3 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi (in media), gli scienziati consigliano di effettuare il tampone proprio in questo momento per ridurre al minimo i risultati falsi negativi. Nella scuola internazionale Marymount di Roma, dove uno studente è risultato positivo, la Asl competente attenderà sette giorni prima di effettuare il tampone sui compagni, che nel frattempo devono restare in isolamento fiduciario.