CHI COMMISSIONO’ L’OMICIDIO DI MINO PECORELLI? - IL GIORNALISTA VENNE GIUSTIZIATO, IL 20 MARZO DEL 1979 A ROMA, DAI KILLER DEI NAR E DELLA BANDA DELLA MAGLIANA: I MANDANTI SONO RIMASTI IGNOTI - LA MORTE DEL DIRETTORE DI “OP” POTREBBE ESSERE COLLEGATA ALL’INCRIMINAZIONE, QUATTRO GIORNI DOPO L’OMICIDIO, DEL GOVERNATORE DI BANKITALIA BAFFI E DEL VICE DG SARCINELLI: ERANO ACCUSATI DI NON AVER TRASMESSO ALL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA LE NOTIZIE CONTENUTE IN UN RAPPORTO ISPETTIVO SUL CREDITO INDUSTRIALE SARDO, PRINCIPALE FINANZIATORE DEL GRUPPO CHIMICO SIR DI NINO ROVELLI - AL PETROLIERE ERA DEDICATA LA COPERTINA DEL N. 5 DI OP, A FEBBRAIO, MAI PUBBLICATA, IN CUI PECORELLI DENUNCIAVA IL PAGAMENTO DI TANGENTI A GIULIO ANDREOTTI…
Estratto dell’articolo di Massimo Colaiacomo per “la Repubblica - Edizione Roma”
L’omicidio di Carmine (Mino) Pecorelli, la sera del 20 marzo 1979, apparve subito nella sua enormità agli inquirenti. Era stato ucciso il direttore di Op (Osservatorio politico), prima agenzia e poi settimanale, cioè del foglio la cui uscita era attesa ogni volta con ansia e timore dal mondo della politica e della finanza, delle forze armate e da chiunque avesse un qualche legame con quei mondi.
Chi lo aveva ucciso, in via Orazio, mentre usciva dal suo ufficio, gli aveva sparato in bocca il primo colpo della Beretta calibro 7,65, procedura che il crimine organizzato riserva ai traditori. Chi erano gli autori di quell’esecuzione? Chi i mandanti? Dagli atti processuali sono emersi con certezza i killer: la manovalanza della Banda della Magliana, al suo esordio, con la sponda dei gruppi eversivi dell’estrema destra, i Nar e Avanguardia nazionale.
Quanto ai mandanti bisognava rifarsi a una coincidenza di eventi, non si sa quanto indagata fino in fondo, fra quell’omicidio e l’incriminazione, quattro giorni dopo, dei vertici di Bankitalia. Perché quattro. I carabinieri si presentarono in via Nazionale con un mandato di arresto per Mario Sarcinelli, vice direttore generale, accusato di interesse privato in atti d’ufficio per non aver trasmesso all’autorità giudiziaria le notizie contenute in un rapporto ispettivo sul Credito Industriale Sardo, cioè il principale finanziatore del gruppo chimico SIR di Nino Rovelli, oggetto di indagine da parte della magistratura.
La stessa incriminazione riguardava il governatore Paolo Baffi a cui viene risparmiato l’arresto per motivi di età. […] La macchinazione politico- affaristico- giudiziaria era spietata e gli inquirenti della Procura di Roma, all’epoca riconosciuta come “il porto delle nebbie”, non erano estranei. Il legame fra l’uccisione di Pecorelli, martedì 20 marzo, e l’incriminazione di Baffi e Sarcinelli, sabato 24 marzo, appare oggi in tutta la sua evidenza.
Al petroliere era infatti dedicata la copertina del n. 5 di Op, a febbraio, mai pubblicata, in cui Pecorelli denunciava il pagamento di tangenti a Giulio Andreotti. Alla Banca d’Italia arrivavano già dal 1978, quando ministro del Tesoro era Gaetano Stammati (il cui nome figurò poi nella Loggia P2) forti pressioni per la sistemazione dei debiti Sir e del gruppo Caltagirone.
Stammati e Franco Evangelisti, braccio destro di Andreotti, avevano convocato due volte Baffi e Sarcinelli per richiamare l’urgenza di chiudere le due vicende. “Ho ricevuto Rovelli in presenza di Ciampi – scriveva Baffi, il 2 giugno 1978 -. Non ha più mezzi per alimentare i cicli produttivi. Ed ha pianto calde lacrime”. Rovelli aveva messo nei guai l’Imi, da cui aveva ricevuto oltre 500 miliardi di prestiti con diverse linee di credito.
I suoi rapporti con il mondo politico avevano assorbito risorse ingenti, per alimentare un ciclo di corruzione interrotto il quale si affacciava la bancarotta.
Pecorelli, che disponeva di una rete di informatori costruita negli anni in cui era stato portavoce del ministro Fiorentino Sullo, aveva accesso a documenti riservati o poteva conoscerne il contenuto attraverso gli spifferi di funzionari infedeli. L’esecuzione materiale dell’omicidio fu attribuita dai giudici a killer della destra eversiva. Giusva Fioravanti e Massimo Carminati, furono riconosciuti colpevoli.
Giulio Andreotti, condannato a 24 anni come mandante dal tribunale di Perugia e prosciolto definitivamente dalla Cassazione, era stato indicato come il più interessato al silenzio di Pecorelli. Le trame affaristiche di quella stagione, portate alla luce nei processi successivi, rivelarono però un abisso morale e politico con più di qualche protagonista abilmente rimasto nell’ombra.