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CONTRORDINE PROSTATICI: IL TEST DEL “PSA” FUNZIONA - LO SCREENING PER IL CANCRO DELLA PROSTATA BASATO SULL’ESAME RIDUCE LA MORTALITA’ DEL 25-30%. CHIRURGHI IN PANCHINA. NIENTE INTERVENTI IMMEDIATI ALLA PRIMA SCOPERTA DEL TUMORE, MA GESTIONE E SORVEGLIANZA ATTIVA

 

Tiziana Moriconi per La Repubblica

 

Prima il clamore e poi il discredito. Non c' è dubbio che la parabola "dalle stelle alla stalle" del test per il Psa (antigene prostatico specifico), un enzima i cui valori anomali possono indicare problemi alla prostata, tumori compresi, ha generato una gran confusione a tutto danno degli uomini in difficoltà. Ma, a furia di indagare, la nebbia si sta diradando. Gli ultimi dati arrivano da uno studio internazionale guidato da Alex Tsodikov, biostatistico dell' Università del Michigan (Usa), pubblicato su Annals of Internal Medicine, e ci dicono che lo screening per il cancro della prostata basato sul valore Psa può davvero ridurre la mortalità per questa malattia in modo significativo, cioè tra il 25 e il 32%.

TUMORE ALLA PROSTATA

 

Per capire il senso di questi numeri bisogna tornare indietro e raccontare la storia fin dall' inizio. Il test per il Psa è stato largamente impiegato dagli anni Ottanta fino al 2009, quando il New England Journal of Medicine pubblicava due grandi studi che per la prima volta indagavano l' efficacia dello screening: il primo aveva trovato una riduzione del 20%, mentre il secondo non aveva osservato alcun beneficio. Per riassumere, alla domanda se il test per il Psa servisse o meno, la risposta era "boh". Nel 2012, gli esperti della Preventive Services Task Force statunitense conclusero che l' efficacia dello screening di routine era probabilmente molto bassa e da allora le linee guida lo hanno sconsigliato.

 

PROSTATA

Torniamo al 2017. Tsodikov e i suoi colleghi hanno analizzato da capo quei due studi attraverso un modello matematico che tenesse conto delle differenze con cui erano stati svolti. E, sorpresa, è venuto fuori che è meglio fare lo screening con Psa rispetto a non fare nulla. Tanto che lo scorso marzo anche la task force americana è tornata sulla sua posizione perché, dopo 5 anni di stop allo screening, si è visto che la mortalità per questo tumore stava ricominciando a crescere.

 

Il punto, piuttosto, è capire a chi farlo e come affinché il beneficio - individuare un tumore aggressivo quando è ancora piccolo - superi lo svantaggio - individuare anche i tumori detti indolenti, che potrebbero non essere trattati. «In medicina - osserva Riccardo Valdagni, direttore del Programma Prostata dell' Istituto Nazionale Tumori di Milano non si può essere a favore o contro tout court. Certo non è l' esame di screening ideale, ma se è usato con criterio e se si condividono con il paziente vantaggi e svantaggi, allora possiamo dire che funziona e salva le vite».

DIAGNOSTICA DEL TUMORE ALLA PROSTATA

 

Il Psa è diventato in questi anni lo strumento di un cambiamento radicale della filosofia di cura del tumore della prostata: la cosiddetta sorveglianza attiva. Come spiega Valdagni: «Il paradigma finora diceva: fai la diagnosi precoce così trovi tumori piccoli, li tratti subito e aumenti la possibilità di guarire. Ma i tumori non sono tutti uguali e l' equazione non sempre è valida. Ci si sta rendendo conto che una parte di queste neoplasie può rimanere semplicemente in osservazione, in modo da essere trattata solo se cambia il suo comportamento».

 

Lo studio internazionale più ampio in materia si chiama Prias - Prostate Cancer Research International Active Surveillance - e oggi, a dieci anni dalla partenza, ha arruolato 7mila pazienti. In Italia, è attivo lo studio Prias SIUrO Ita, promosso dalla Società Italiana di Urologia Oncologica, che coinvolge 13 centri e sta seguendo circa mille pazienti. L' esperienza maggiore è quella dell' Int, che dal 2005 ha sottoposto a sorveglianza attiva oltre 800 uomini.

 

TUMORE ALLA PROSTATA

«Ad oggi - dice Valdagni - la metà continua a seguire il programma e non si è verificato nessun caso di metastasi o di decesso. Tutte queste persone hanno potuto evitare il rischio di disfunzione erettile e incontinenza urinaria, effetti indesiderati della chirurgia e della radioterapia, cure che evidentemente non erano appropriate. Nello studio Prias i decessi per tumore della prostata sono stati lo 0,4%: un numero piccolissimo, che ci dice che la sorveglianza attiva è sicura ». Un altro obiettivo di questi studi è individuare biomarcatori che possano dare informazioni sul tumore con un semplice prelievo di sangue o delle urine: la biopsia liquida, una delle strade del futuro. Molto promettente.

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