pedro sanchez coronavirus spagna

CHE È SUCCESSO IN SPAGNA? – CI LAMENTIAMO DELL’ITALIA, MA I NOSTRI CUGINI A MADRID HANNO FATTO PEGGIO DI NOI – LE TAPPE: IL 31 GENNAIO IL PRIMO CASO CONFERMATO DI UN TURISTA TEDESCO A LA GOMERA, NELLE CANARIE, MA NON SCATTA L’ALLARME – L’8 MARZO A MADRID 100MILA PERSONE ERANO IN PIAZZA PER LA GIORNATA DELLA DONNA E NESSUNO HA FATTO NIENTE PER FERMARLE. IL GOVERNO INTERVIENE UNA SETTIMANA DOPO, MA ORMAI È TROPPO TARDI

 

 

Alessandro Oppes per “la Repubblica”

 

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Perché la Spagna? La domanda incombe sullo sfondo di un'emergenza che ancora non arretra, tanto più ora che il Paese ha superato stabilmente l'Italia nella classifica dei contagi: più di 130mila, secondi al mondo solo dietro gli Stati Uniti. Una risposta univoca non c'è, forse non ci sarà mai, però diversi elementi aiutano a capire come questo Paese possa essere diventato uno dei terreni più fertili per la diffusione del coronavirus a livello planetario. Intanto la reazione tardiva delle autorità. Caso tutt'altro che unico, è vero. Ma qui è mancata proprio la percezione del pericolo quando il virus ha cominciato a circolare, senza essere rilevato. Un po' di date, per capire meglio. Il primo caso confermato si identificò a La Gomera, il 31 gennaio: un turista tedesco che aveva avuto contatti con un paziente infettato nel suo Paese. Ma non scatta nessun allarme, tanto più che La Gomera è una piccola isola delle Canarie, molto più vicina all'Africa che non alla penisola iberica.

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Comincia la contabilità dei casi ma sfugge ai radar la prima vittima. È una donna di 83 anni morta il 13 febbraio all'Hospital Arnau de Vilanova, a Lleida, per una forma grave di polmonite. Solo un mese più tardi si verrà a sapere che aveva contratto il virus. L'epidemia intanto avanza, ma le autorità sanitarie continuano a parlare di "rischio basso". All'inizio di marzo, il primo intervento del presidente del governo Pedro Sánchez, ancora estremamente cauto: un appello al "senso di responsabilità" dei cittadini, il divieto di assembramento per "più di mille persone" - quasi fosse una misura capace di evitare conseguenze catastrofiche - e poi il blocco di tutti i voli in entrata dall'Italia.

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L'8 marzo erano in programma le manifestazioni per la giornata della donna e nessuno ha fatto niente per fermarle: 100mila in piazza a Madrid, decine di migliaia in tutte le grandi città. Lo stesso giorno l'ultradestra di Vox ha riunito i suoi seguaci nella capitale, al palazzo dello sport di Vistalegre: un pienone da 9000 posti. Una settimana dopo hanno dovuto chiedere scusa, quando il leader del partito Santiago Abascal e il suo braccio destro Javier Ortega Smith sono risultati positivi al coronavirus. E il contagio ha colpito anche la prima fila della manifestazione di massa dell'8 marzo: la vicepremier Carmen Calvo, due ministre, la moglie del capo del governo, Begoña Gómez. E chissà quanti altri tra la folla. Il danno è fatto.

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Il governo interviene il 14 marzo, quando vede che nei due giorni precedenti i casi sono passati da poco più di 3000 a 5200. Arriva la dichiarazione del estado de alarma, una misura straordinaria prevista dalla Costituzione proprio per affrontare catastrofi naturali ed epidemie: con i poteri eccezionali attribuiti all'esecutivo, Sánchez ferma il Paese. Proprio sul modello di quanto già avveniva da settimane in Italia. Avverte che ci vorrà tempo per vedere i frutti del "lockdown", e lancia una facile previsione: "Il peggio deve ancora venire".

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Quello che forse neppure il premier si aspettava era l'altissimo tasso di mortalità, simile a quello che si è registrato in Italia. E di sicuro non è un caso. Le coincidenze tra i due Paesi sono evidenti. Una riguarda il dramma delle case di riposo. In Spagna ce ne sono 5400 che ospitano oltre 380mila anziani. Almeno 3600 i morti, quasi 7000 i contagiati, cifre probabilmente approssimate per difetto (sono quelle fornite dalle regioni al governo centrale). Emergono cos¡ le carenze spaventose di queste strutture, le condizioni igieniche precarie, la scarsa preparazione del personale, la mancanza di materiale di protezione. Scattano decine di inchieste della magistratura, ma il panorama è già devastante.

 

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Altro elemento comune è l'altissimo numero di contagi tra il personale sanitario, ancor più grave nel caso spagnolo con quasi 20mila tra medici e infermieri che hanno contratto il virus. Inevitabili e devastanti le conseguenze sulla trasmissione della malattia proprio in quelle strutture le garanzie ideali per la cura. Di fronte a una pandemia, nessun sistema sanitario è preparato, ma quello spagnolo paga i pesanti tagli di spesa imposti nell'ultimo decennio dai governi di centro-destra del Partito Popolare. E dalle amministrazioni regionali, in particolare da quella di Madrid, epicentro dell'emergenza coronavirus in Spagna, dove il Pp governa da un quarto di secolo con una politica che ha puntato sempre di più sulla privatizzazione della sanità. La carenza di reparti di terapia intensiva si è fatta sentire in tutto il Paese nei giorni più duri della crisi, ma la risposta del sistema è stata rapida: a Madrid si è passati in poco tempo da 600 a 1750 posti letto, a Barcellona da 600 a 1722. Restano tuttavia almeno sette regioni al limite del collasso.

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I piccoli segnali di rallentamento nella diffusione del contagio registrati negli ultimi giorni permettono comunque al governo di abbozzare una "fase due" i cui tempi sono ancora da definire. Non si parla per il momento di riaperture (lo stato d'emergenza sarà prorogato fino a maggio), ma il governo Sánchez ha già definito una linea per il contenimento del contagio: test di massa (il Ministero della Sanità ne distribuirà un milione alle regioni) a cui sottoporre tutti i lavoratori dei settori essenziali, per individuare i portatori asintomatici del virus. L'idea, poi, è quella di allestire per tutti loro centri per la quarantena seguendo in parte il modello già adottato in Cina.

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