IL CORONAVIRUS PUÒ RESISTERE SULLE SUPERFICI COME METALLO, VETRO O PLASTICA FINO A 9 GIORNI MA LA CARICA VIRALE DIMINUISCE NEL TEMPO - LA SOPRAVVIVENZA DEL VIRUS DIPENDE DALL'UMIDITÀ (PIÙ CE N'È E PIÙ RESISTONO), E DALLE TIPOLOGIE DI SUBSTRATO (SE C'È DEL MATERIALE ORGANICO PROLIFERA) - LA PRINCIPALE VIA DI TRASMISSIONE RIMANE QUELLA DEL CONTATTO…
Graziella Melina per “il Messaggero”
Il coronavirus può resistere sulle superfici come metallo, vetro o plastica fino a 9 giorni. La scoperta di quattro ricercatori, Günter Kampf, Daniel Todt, Stephanie Pfaender, Eiker Steinmann, pubblicata quattro giorni fa sulla rivista scientifica The journal hospital infection, pone nuovi interrogativi sulle modalità di diffusione del virus. Fabrizio Pregliasco, virologo e ricercatore di igiene dell'Università degli Studi di Milano, però, tranquillizza: «La carica virale si abbassa nell'arco delle ore e successivamente dei giorni».
Si tratta di uno studio che però può allarmare.
«In realtà, è stata pubblicata una revisione di 22 studi che sono realizzati sui coronavirus umani e animali, ossia la Mers (middle east respiratory syndrome), la Sars (severe acute respiratory syndrome) e l'Hcov (endemic human coronaviruses). Sostanzialmente si evidenzia, come già sapevamo, che i coronavirus possono resistere sino a 9 giorni, ma possono essere disinfettati con alcol, perossido di idrogeno, ipoclorito di sodio».
Ma in questi nove giorni possono infettare?
«Si tenga presente che la carica virale si abbassa nell'arco delle ore e successivamente dei giorni. Questi studi, inoltre, sono stati condotti in condizioni sperimentali. Noi sappiamo che la sopravvivenza dipende poi dall'umidità, se ce n'è di più resistono di più e dalle tipologie di substrato: se c'è del materiale organico questi virus si salvano; il materiale proteico infatti fa da schermo e li difende, come biofilm. La cosa certa è che con il lavaggio noi asportiamo questo materiale e conseguentemente i batteri e il virus».
La trasmissione avviene dunque esclusivamente attraverso le vie respiratorie?
«Per il coronavirus cinese l'occasione di contatto principale sono le goccioline più grosse di quelle che emettiamo, e devono essere assorbite in grande quantità. Per cui, per esempio, la piccola quantità che si può prendere attraverso il dito di una mano su una superficie che ha una ridottissima quantità di virus non determina una infezione efficace.
Infatti, non tutte le infezioni ovvero i contatti avvenuti con il virus possono in qualche modo determinare la malattia. Per fare un paragone con altre patologie, si sa che addirittura i malati positivi per hiv hanno nella loro saliva una quantità così esigua di virus che l'efficacia di trasmissione non avviene. La cosa importante è che le prove mostrano che i più semplici e più disponibili disinfettanti agiscono in meno di un minuto».
E per quanto riguarda i cibi che potrebbero arrivare dalla Cina, si può stare tranquilli?
«Con i viaggi, con l'esposizione a temperature bassissime, come nei cargo dove non c'è riscaldamento, è assolutamente incongruo pensare che questa capacità di sopravvivere del virus possa determinare un rischio».
È comunque un aspetto che andrebbe approfondito?
«Finora non sono disponibili dati sulla trasmissione con la superficie contaminata. Dipenderà da ulteriori studi. A mio avviso, comunque, la principale via di trasmissione rimane quella del contatto. I due cinesi risultati infetti erano stati in giro per l'Italia, quindi se ci fosse stata una concreta possibilità di questa trasmissione forse avremmo avuto molti casi secondari».