TUTTO P-ASSAD - LA GENTE DEI QUARTIERI OCCIDENTALI DI ALEPPO HA FESTEGGIATO TUTTA LA NOTTE LA RICONQUISTA DELLA CITTA’ DA PARTE DELLE TRUPPE DI ASSAD - CAROSELLI DI AUTO, RAFFICHE IN ARIA DI KALASHNIKOV, BALLI PER STRADA: E’ LA FINE DI UN INCUBO INIZIATO NEL LUGLIO DEL 2012 - MA RESTANO SOLO MACERIE E DISPERATI
Alberto Stabile per “la Repubblica”
ALEPPO COMBATTENTI PRO ASSAD FESTEGGIANO
La gente dei quartieri occidentali di Aleppo ha festeggiato fino a notte alta. Caroselli di auto a clacson spiegato, raffiche in aria di Kalashnikov, balli per strada illuminati dalle luci delle televisioni e dalle luminarie di Natale. Si festeggia la fine di un incubo iniziato nel luglio del 2012.
Un incubo iniziato con l’arrivo delle colonne ribelli dalla campagna e dal confine con la Turchia; la divisione arbitraria della città; l’ondata di rifugiati in fuga da Est; le famiglie spaccate; i sevizi collassati; la vita ridotta a lotta quotidiana per il minimo. A sera il loro entusiasmo si materializza nelle parole dell’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vitaly Churkin, secondo il quale l’operazione contro i ribelli è finita e «le forze del presidente Assad hanno il pieno controllo della zona orientale» della città.
Nelle ultime ore della battaglia i gruppi armati, tra i quali, in posizione dominante, la succursale di Al Qaeda in Siria, Jabhat al Nusra, alias Jabhat Fatah al Sham, l’Armata islamica, Jaish al Islam, e le diverse sigle scaturite da quello che era una volta il Libero esercito siriano, appoggiato e armato dagli Usa, si sono dovuti asserragliare in una striscia di territorio di pochissimi chilometri quadrati, in pratica tre borgate, Sukkari, Seif al Dawla e Tel al Zarazir.
L’avanzata finale delle forze governative, appoggiate dall’aviazione russa e dalle milizie filo-iraniane libanesi, irachene e afgane, più una formazione palestinese, le Brigate al Quds (Gerusalemme), sui quartieri controllati dagli insorti, è stata accompagnata da denunce di massacri e violenze sui civili, fatte proprie dal Comitato Diritti Umani dell’Onu. Il portavoce dell’organismo internazionale, Rupert Colville, ha citato non meglio precisati “rapporti” provenienti da Aleppo Est, secondo i quali 82 persone, tra cui donne e bambini, sarebbero state uccise a sangue freddo in quattro diverse località. Senza tuttavia offrire riscontri e ulteriori dettagli.
Davanti alla prospettiva di una sconfitta irrimediabile, i ribelli hanno ribadito al richiesta alla nazioni che hanno appoggiato la rivolta, vale a dire gli Stati Uniti e a Turchia, l’Arabia Saudita e il Qatar, innanzitutto di imporre un immediato cessate il fuoco per poter consentire l’evacuazione di centomila civili intrappolati.
Ma questa stima appare discutibile, se è vero che ormai la zona sotto il controllo delle organizzazioni armate e ridotta ad uno stretto corridoio. In ogni caso, la Russia, e tanto meno Assad sono favorevoli a concedere una tregua che darebbe ai miliziani il tempo di raggrupparsi e riorganizzarsi. Inoltre il ministro degli Esteri russo, Lavrov, ha condizionato la possibilità di concedere una tregua all’apertura da parte dei ribelli di corridoi umanitari per far defluire i civili verso la zona occidentale ed evitare che vengano usati come scudi umani.
In effetti, il flusso di civili in fuga dai quartieri un tempo controllati dai ribelli è cominciato da giorni ed è cresciuto parallelamente al progressivo indebolimento dei miliziani. Un fenomeno che i ribelli armati hanno cercato di ostacolare. Fino a quando non è prevalsa la determinazione della gente.
«Siamo scappati così come ci vede, giusto il tempo di indossare qualcosa sopra il pigiama, appena abbiamo capito che i miliziani ci avrebbero lasciato andare. Eppure, nonostante da due giorni sembrasse che stessero soltanto aspettando l’ordine di ritirarsi dal quartiere, hanno osato minacciarci e a qualcuno lo hanno anche ferito: andate pure — ci dicevano — tanto vi troveremo e spareremo a voi e a loro».
Nura, una energica signora di mezza età, racconta la sua fuga, insieme alla figlia Yasmina, una ragazza bella ed elegante nel suo niqab viola e nero, dall’ultima trincea dei ribelli nella Città Vecchia, il quartiere residenziale di Ferdus, dove sarebbero state commesse alcune delle “atrocità”, denunciate dalle Nazioni Unite.
I rifugiati di Aleppo Est, vengono accolti e identificati nella ex fabbrica di cotone di Jibrine a una ventina di chilometri dalla città, una grande area di capannoni e depositi danneggiati dalla guerra, al confine con l’aeroporto. Soltanto ieri, ne sono arrivati ottomila. Poi un forte temporale ha rallentato l’esodo.
Arrivano nei famosi autobus verdi dei trasporti pubblici affollati all’inverosimile, oppure ammassati su mezzi di fortuna come il rimorchio di un tir o il cassone di un trattore stimati all’inverosimile. Uomini donne, bambini e bagagli. C’è chi parla apertamente dell’arroganza dei miliziani e di come hanno cercato di impedire alla gente di partire. Fuhad Mohhamed Abu Nubaz, 50 anni, sposato con Umm Nasser, e padre di tre figli maschi faceva l’elettricista a Ferdus e quando, nell’estate del 2012, sono arrivati i ribelli non si è mosso.
«Non avevo niente da temere dopo una vita di lavoro, Avevo la mia casa a Ferdus, una discreta posizione». Fuhad mette le mani quasi a proteggerlo sulle spalle di Nabil, il figlio di tredici anni che si è preso una scarica di pallini, i cosiddetti bird shot usati come munizioni antisommossa, sulla gamba sinistra. «Sì, è ferito, per fortuna niente di grave — dice Fuhad -. È successo ieri quando ci siamo avvicinati al posto di blocco e Nabil è corso un po’ troppo avanti da solo. Gli hanno sparato senza preavviso».
Due giovani donne, avvolte nel velo nero che lascia scoperto il viso tengono a bada una nidiata di bambini. Una si chiama Nasrine, l’altra Najakh, hanno entrambe trent’anni e sei figli ciascuno. Vengono da Tareq el Bab, uno dei quartieri confinanti con Hanano dove, fino a giovedì sera, si sparava. «In questi anni, non abbiamo visto né ricevuto niente, né aiuti, né cibo, mentre loro (gli jihadisti,n. d. r.) mangiavano e bevevano. Ora siamo così come ci vede, senza soldi per l’affitto, senza sostegno e senza speranza », dice Najakh scuotendo a riprova la veste nera, sdrucita.
Chiedo dove sono i mariti. «Ieri sera siamo usciti tutti insieme da Tareq el Bab quando abbiamo capito che non c’erano più controlli. Ma al posto di blocco di Mahadi li hanno fermati e se li sono presi ». Chi li ha presi? «La polizia siriana, ma non hanno fatto niente». Ci ascolta un’altra giovane donna con alle spalle una altra storia drammatica. Si chiama Rania Khalu e ha tre bambini, il più piccolo di 4 anni e la più grande di 13. Rania è, o meglio, si considera, vedova.
«Dopo che i ribelli sono arrivati a Ferdus hanno cominciato a cercare uomini del quartiere per arruolarli. Una sera mio marito, Ahmed, è uscito per andare a parlare con loro e non è più tornato. Lo aspetto da allora». Che fine potrebbe aver fatto? Cosa immagina? «Penso che si sia rifiutato di arruolarsi perché non ne aveva nessuna intenzione, lo so, me l’aveva detto, ne avevamo parlato, e allora l’hanno ammazzato».