O MIA BELA MADUNINA CHE TE BRILLET SOPRA IL BAR – A CACCIA DI SOLDI, LA FABBRICA DEL DUOMO DI MILANO VENDE L’ANIMA A PANINI E BIRRETTE (BERGOGLIO FAI QUALCOSA! CACCIA I BARISTI DAL TEMPIO)

Armando Stella per il "Corriere della Sera"

Pausa caffè, di grazia. Nella suggestiva cornice delle guglie monumentali, sotto lo sguardo protettivo della Madonnina, il chiosco dei panini e delle bibite dovrebbe allietare le visite alle terrazze del Duomo. Versione aggiornata delle opere di misericordia: la cocacola ai turisti assetati, il tramezzino agli affamati. Alla lettera. La Veneranda Fabbrica ha ricavato 9 metri quadri di tetto per un baretto, ha scelto il gestore, progettato il «punto ristoro» e consegnato il plico alla Sovrintendenza: «L'iniziativa risponde a un'esigenza del pubblico e consente di finanziare i restauri della cattedrale».

Se caffetteria sarà, lo stabiliranno i giudici del Tar. L'ufficio dei Beni culturali ha rispedito indietro la richiesta, il parere è negativo; il chiringuito banalizza la storia e intacca il profilo delle architetture gotiche: «È inopportuno e incompatibile con la funzione del luogo». Ma aldilà del ricorso legale, il problema sta proprio qui, a 70 metri d'altezza, nella definizione di luogo: il Duomo è chiesa e museo, tempio e cartolina, meta di pellegrinaggi e prima tappa nelle vacanze degli stranieri, massima espressione della cristianità e modernissima macchina culturale. Chi decide cosa?

Turista di Expo non avrai il tuo desco. La questione è molto più seria del coprifuoco al gelato di mezzanotte, divieto ordinato e ritirato in 48 ore dal sindaco Pisapia. La disfida del Duomo divide una delle istituzioni più antiche di Milano - la Veneranda Fabbrica che ha costruito, cura e custodisce la cattedrale - e l'autorità garante dell'arte e del paesaggio.

L'azienda che ha avuto l'appalto dal Duomo e doveva (e siccome non s'arrende, ha fatto ricorso: ancora vuole) aprire il chiosco è stata costituita un anno fa e ha preso il nome di «Desco ambrosiano»: su Internet, un'unica paginetta immobile, pubblicizza «una sorprendente location (sic) per eventi davvero speciali».

Sbucando dall'ascensore (dodici euro il biglietto intero, sette il ridotto), a destra, la terza campata, stiamo attraversando la balconata principale, la caffetteria mariana dovrebbe essere sistemata su un piedistallo, a un metro e mezzo dalle falconature. Dettagli tecnici: un gazebo di tre metri per tre, tipo un ponteggio di tubolari da cantiere, poche seggiole sul perimetro e una strepitosa vista sulla piazza.

Dicono dalla Veneranda Fabbrica: «Abbiamo un milione di visitatori l'anno sulle terrazze, un punto di ristoro ci starebbe bene. Non sarebbe la prima volta, per altro: un bar c'era già nel Dopoguerra e negli anni 60 e 70». Obietta il soprintendente Alberto Artioli: «Beh, evitiamo di ripetere l'errore. Gli ammiccanti "eventi speciali", poi, lasciano intendere qualcosa di più invasivo di uno spaccio di bibite...». Controreplicano dalla cattedrale: «Ma i turisti bevono e mangiano comunque, le temperature estive sono torride».

E Artioli: «Sì, ma il chiosco richiede anche locali per frigoriferi e rifiuti, oltre a un "binario" per trasportare le merci; onestamente, è troppo». La Veneranda Fabbrica vorrebbe aprire il baretto quest'anno e smontarlo dopo l'Expo 2015 (che porterà 30 milioni di stranieri e incassi): «Il progetto non offende la sensibilità dei pellegrini né nuoce alla sacralità del Duomo».

Fece discutere, anni fa, il progetto di una caffetteria sul cupolone di San Pietro. La storia si ripete a Milano, ma sono altri tempi. Il Duomo ha «necessità e urgenza» di recuperare soldi per i restauri, gli storici canali di finanziamento si sono inariditi, lo Stato s'è sfilato e il Comune non può più permettersi donazioni stabili e generose. Solo per riaprire il Museo a Palazzo Reale sono serviti 12 milioni di euro (inaugurazione il 4 novembre). La Veneranda Fabbrica fa quel che può: presta le facciate agli sponsor, s'appella all'antica generosità della borghesia milanese, ha messo in adozione le guglie, fa mostre e concerti. Il chiosco garantirebbe un'altra e consistente rendita fissa: oltre mezzo milione di euro l'anno, per tre anni. Una benedizione.

 

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