CHI È DAVVERO ANTONIO DI FAZIO? - È PASSATO QUASI UN MESE DALL’ARRESTO DELL’IMPRENDITORE, CHE CONTINUA AD AVVALERSI DELLA FACOLTÀ DI NON RISPONDERE E IL SUO LEGALE NEGA CON FORZA QUALSIASI RICHIESTA DI PERIZIA PSICHIATRICA – L’OSSESSIONE PER PAOLA TURCI, IL RACCONTO HORROR DELLA STUDENTESSA DELLA BOCCONI CHE LO HA DENUNCIATO E LA STRANA STORIA DEL “PACCHETTO” CON TRE BOSSOLI SUL VETRO DELLA SUA AUTO…
Cesare Giuzzi per www.corriere.it
«Barbablù» è in carcere da quasi un mese. Il «2» di piazza Filangieri dista poco più di un chilometro dalla sua casa con vista sul parco Sempione. Sono milleseicento passi che attraversano i palazzi della borghesia milanese.
Le dimore austere di corso Magenta, gli stabili curati di via Aurelio Saffi, le ville neorinascimentali di via XX Settembre dove stavano i Falck, i Donzelli, i Borletti e Silvio Berlusconi. Non c’è luogo, nella Milano dei dané, che sia più lontano dai muri umidi e infestati dalla muffa bianca di salnitro di San Vittore. E oggi la strada così sorprendentemente breve ma che divide mondi distantissimi sembra la metafora di questa storia.
Da una parte c’è l’imprenditore Antonio Di Fazio, per gli amici Antonello, 50 anni, partito da Cuggiono nelle campagne del Ticino e diventato manager e imprenditore farmaceutico. Ricco, anzi ricchissimo. Con una casa di 210 metri quadrati affacciata sul parco della Triennale, autista, bodyguard, yacht, tavoli riservati nei più esclusivi ristoranti e lounge bar di Milano.
Uno con «amicizie importanti», dalla politica all’imprenditoria, con agganci nei palazzi che contano e all’interno delle istituzioni. Doppiopetto d’ordinanza, cravatta regimental, bottoni d’oro. Finta pistola nella fondina portata sotto giacca. E sulla sua Maserati Ghibli il lampeggiante blu come le auto dei politici: «Diceva di avere la scorta dalla questura perché era stato minacciato e perché era una personalità in vista», racconta un amico.
Poi c’è l’altro Di Fazio, quello che il giudice Chiara Valori definisce un «moderno Barbablù», ricordando la fiaba dell’orco ricchissimo che nella stanza segreta uccideva le sue mogli. E questo è l’uomo che, stando alle accuse che gli muovono la procura e i carabinieri, è rinchiuso da 26 giorni nel carcere di San Vittore per aver narcotizzato e violentato una 21enne studentessa della Bocconi lo scorso 26 marzo.
E oggi sospettato di altri quattro casi di violenza e sequestro. Compreso quello della ex moglie americana, figlia di un avvocato di Chicago, conosciuta nel 2008, un anno dopo rimasta incinta del figlio oggi 12enne, e dalla quale s’è separato a giugno del 2009 con una turbolenta vicenda giudiziaria che ancora si trascina.
Tanto che adesso i magistrati Letizia Mannella e Alessia Menegazzo hanno riattualizzato le 12 denunce presentate dalla donna, assistita dall’avvocato Maria Teresa Zampogna, nelle quali già descriveva rituali con farmaci narcotizzanti e violenze subite. Storie alle quali, come denuncia il legale, nessuno aveva creduto.
O peggio, che nessuno aveva neanche tentato di accertare con i minimi atti d’indagine prima di archiviare tutto come «conflittualità di coppia». Ma nel lato oscuro dell’imprenditore c’è anche una vecchia storia di rapporti con uomini vicini al clan della ‘ndrangheta Valle e di affari con il capofamiglia Fortunato.
Storie che emergono dal passato (2009) e che vedono protagonista, invece, un Di Fazio sul lastrico e pieno di debiti con le aziende di famiglia in fortissima difficoltà economica. Tanto da far ipotizzare ai pm dell’Antimafia Ilda Boccassini e Paolo Storari che in realtà non sia una vittima (di un prestito ad usura da 40 mila euro) ma un imprenditore-complice. Alla fine prevale la prima linea e Di Fazio viene anche sentito al processo come testimone.
Le bugie e la doppia vita: lampeggianti, minacce, tesserini del Sisde o manager «tranquillo»
A quasi un mese dal suo arresto sappiamo poco o forse pochissimo di questa storia bifronte. Ufficialmente le uniche contestazioni mosse, come ricorda il suo legale Rocco Romellano, sono ferme al primo episodio di violenza.
Una ragazza, amica di famiglia, «agganciata» con la scusa dell’offerta di uno stage nella sua azienda e poi attirata, secondo i magistrati, in una trappola. Stordita con un caffé e un succo di frutta drogati con il Bromazepam e abusata. Una dose così forte che due giorni dopo i medici della Mangiagalli troveranno più di 900 microgrammi per litro di benzodiazepine nel suo sangue.
Tre volte la dose massima giornaliera. La ragazza viene accompagnata a casa dall’auto dell’imprenditore. Il suo smart-watch registrerà soltanto gli 86 passi necessari per raggiungere dal portone di casa la sua camera da letto. «Credo mi abbia fatto mangiare sushi. Era di fianco a me. Mi sono ripresa un attimo, ho sentito l’elastico dei pantaloni che scivolava sulle gambe. Ho visto il suo braccio, aveva un Rolex al polso. La sua mano mi toccava una coscia. Gli ho detto di riportarmi a casa».
Il resto è un lungo blackout che terminerà solo il giorno dopo (27 marzo) quando il fidanzato citofona all’appartamento che la ragazza condivide con un’amica e riesce a svegliarla. È pomeriggio quando arrivano al Policlinico e la 21enne racconta ai medici di essere stata violentata. Con il passare delle ore affiorano i ricordi. A mezzanotte e mezza, mentre la fidanzata è ancora sotto osservazione, il suo ragazzo si presenta ai carabinieri.
Dice di aver trovato la 21enne stordita, che lei ha raccontato di essere stata abusata la sera precedente dall’uomo con cui aveva fissato un appuntamento per discutere uno stage universitario in azienda. Alle 3.30 di notte la giovane viene dimessa e inizia il suo racconto davanti agli inquirenti. Verrà sentita più volte. Agli atti c’è anche un messaggio Whatsapp inviato al fidanzato alle 22.20 del giorno della violenza: «Sono da amici».
Ad accompagnarlo c’è un’immagine dove la ragazza è «ritratta con gli occhi quasi chiusi all’interno dell’appartamento dell’imprenditore Di Fazio». Quattro ore prima (alle 19.38) il ragazzo le aveva mandato un messaggio vocale. La vittima dirà ai carabinieri di essere certa di non averlo mai ascoltato. Per gli investigatori a sentire quel messaggio e ad inviare la risposta è stato Di Fazio perché la sua vittima in quel momento era incosciente.
Il giorno di Pasquetta i carabinieri della compagnia Porta Monforte perquisiscono l’appartamento dell’imprenditore e trovano in una nicchia nascosta della parete della cucina due boccettini di gocce di Bromazepam della Ratiopharm. Lo stesso farmaco usato per narcotizzare la vittima. L’imprenditore racconta che si tratta di medicine dell’anziana madre che vive con lui e con il figlio. Nel cassetto della camera da letto ci sono vecchie confezioni ormai vuote ma l’ultima prescrizione a firma del medico di famiglia risale al 2018.
È la sorella Maria Rosa, oncologa in una piccola clinica di San Marino e dalle controverse teorie in materia di tumori e chemioterapia, a mettere a verbale davanti agli inquirenti che quei farmaci li aveva prescritti personalmente, ma sempre per l’anziana madre che ne faceva un uso quotidiano. Una versione che non convince gli investigatori che infatti al momento dell’arresto del manager perquisiscono anche la casa milanese della sorella, affacciata sulla basilica di Sant’Ambrogio.
Quella della dottoressa Di Fazio, non indagata, è un’ombra che aleggia da subito sulle indagini. Perché dal suo cellulare il 22 marzo era partito il primo messaggio con cui l’imprenditore aveva cercato di «agganciare» la 21enne: «Ciao come stai? Chiama Antonio che ti fa vedere l’azienda come eravamo d’accordo, no?».
Ma questa è solo la prima parte di questa storia. Il resto, come in un film dell’orrore, emerge quando i carabinieri del Nucleo investigativo estrapolano le immagini conservate nel cellulare dell’imprenditore. Sono 54 fotografie di altre ragazze sconosciute riprese mentre vengono abusate prive di sensi.
In realtà le immagini che i tecnici dei carabinieri riescono a estrapolare dalla memoria del telefono sono molte, molte di più. Alcune erano state cancellate, altre conservate nel cloud benché vecchie di più di quattro, cinque anni. Gli investigatori non sanno nulla di quelle ragazze, non un nome, non un dettaglio che possa farle identificare.
Le fotografie sono scattate quasi sempre nella casa dell’imprenditore, apparentemente da una sola mano, tutte molto ristrette sui corpi e sulle parti intime delle vittime. Non c’è, almeno così emerge dai primi riscontri, la meticolosità del maniaco, le immagini non vengono archiviate con metodo.
Ma durante le perquisizioni i carabinieri trovano nell’appartamento vicino al parco Sempione alcuni oggetti, in particolare biancheria intima, appartenuti alle presunte vittime. Una delle ragazze sentite, e che ha confermato davanti ai pm di essere stata narcotizzata e abusata dall’imprenditore, ha raccontato di essersi risvegliata dopo la violenza senza più gli slip.
Le ragazze sono un elemento fondamentale di questa storia. Intanto perché sono le nuove vittime, fino a quel momento sconosciute, di Antonio Di Fazio che ora viene considerato dagli inquirenti uno «stupratore seriale».
Poi perché, almeno le quattro che si presentano spontaneamente in procura dopo l’appello lanciato dagli investigatori, aprono un mondo completamente sconosciuto alle indagini. Di Fazio non è più l’imprenditore farmaceutico pieno di soldi e dalle amicizie importanti. Emerge sempre di più la figura di un uomo anche violento, quantomeno a parole, e con oscuri rapporti con il mondo della malavita.
Nella famosa perquisizione di Pasquetta i militari trovano nella Maserati di Di Fazio un lampeggiante blu nascosto sotto al sedile del passeggero. Nel baule c’è invece un borsone con diversi contanti e una pistola giocattolo nera senza tappo rosso. In casa gli trovano un tesserino simile a quello dei Servizi segreti e una fondina. Cosa ci fa un imprenditore farmaceutico con quell’armamentario?
A guardare la storia giudiziaria di Di Fazio però non c’è da stupirsi. Già nel 2015 era stato denunciato dalle Fiamme gialle perché aveva un certificato di congedo con la dicitura GdF e soprattutto un tesserino del Sisde «grado di comandante». Un tesserino identico gli era già stato sequestrato un anno prima dai carabinieri he lo avevano fermato, ubriaco, durante un controllo. Vicenda per la quale è stato condannato in via definitiva.
Mentre nel 2019 sono i vigili di Milano a denunciarlo per il lampeggiante esposto abusivamente sull’auto. Questi episodi sono uno degli aspetti che gli inquirenti stanno approfondendo nella «nuova indagine» sull’imprenditore Di Fazio. Il 50enne, infatti, avrebbe «sottoposto le sue vittime a continue e ripetute minacce» tanto da «terrorizzarle» secondo i magistrati.
Motivo per il quale i pm ritengono che ancora dopo l’arresto molte vittime abbiano «fortissimo timore» a farsi avanti. Un aspetto che già è emerso nel caso della 21enne bocconiana: il fidanzato della vittima, infatti, dopo la violenza telefona a Di Fazio che però nega di aver incontrato la ragazza e finge «uno scambio di persona».
Poi il ragazzo riceve una telefonata dove un uomo «con accento del Sud» minaccia di «squarciarlo in due» e dice di lasciar stare Di Fazio. I carabinieri ricostruiscono che la chiamata è partita da uno dei due telefoni dell’imprenditore. Non è chiaro però chi abbia realmente parlato in quella telefonata.
Tra le vittime che si sono presentate in procura mettendo a verbale gli abusi subiti c’è anche l’ex fidanzata di Di Fazio. L’ultima, quella con cui aveva ancora una relazione in corso a marzo al tempo della violenza alla 21enne. Anche lei ha detto di essere stata narcotizzata e abusata. Un’altra ragazza, con cui l’imprenditore aveva avuto una relazione, s’è presentata insieme alla madre e ha denunciato anche episodi di stalking e molestie.
Poi c’è il caso di una ragazza arrivata a palazzo di Giustizia insieme alla sorella: riuscita a fuggire in extremis all’imprenditore. Una vittima ha anche raccontato di essere rimasta «in balia» del 50enne per una settimana intera, sempre stordita con psicofarmaci. Per questo si cerca la rete dei complici: persone che avrebbero aiutato l’imprenditore ad entrare in contatto con le ragazze giovanissime e in cerca di un posto di lavoro.
Gli investigatori hanno effettuato decine di perquisizioni in queste settimane. Come al comico piemontese Fabrizio Brignolo, non indagato. «Una vicenda che mette i brividi» dicono i magistrati che hanno fatto risalire i primi episodi di violenza a più di dieci anni fa. Possibile che nessuno abbia denunciato? «Le ragazze venivano minacciate di morte, gli veniva mostrata la pistola. Erano emotivamente e psicologicamente soggiogate», dicono gli inquirenti.
L’imprenditore infatti non nasconde le sue amicizie importanti, in alcuni casi si sfocia nell’assoluta millanteria come quando sostiene di essere «collaboratore dell’Alto commissariato Covid-19», figura inesistente nella realtà. La Global farma di Di Fazio aveva però partecipato ad alcune gare di forniture durante i primi mesi della pandemia, anche per la Regione Lombardia: 51 milioni di guanti in nitrile.
Il capitolo aziende è uno di quelli oggi al centro di un secondo filone dell’inchiesta affidato al pm Pasquale Addesso e ai carabinieri del Nucleo investigativo guidati dal colonnello Michele Miulli e dal tenente colonnello Antonio Coppola. Non è roba da poco, perché l’indagine vuole chiarire l’origine della «sconfinata» ricchezza dell’imprenditore e i capitali grazie ai quali nel pieno della pandemia, il 17 aprile 2020, è stata aperta la Global farma.
Socio di minoranza, con il 10%, è l’architetto Enrico Asiaghi. Una lunga esperienza nell’area manageriale di grandi aziende, Asiaghi torna a svolgere alcuni lavori come architetto e conosce Di Fazio. I due dopo qualche anno decidono di lavorare insieme, Asiaghi mette la parte organizzativa e operativa e Di Fazio i capitali, lo know how e i contatti con il mondo farmaceutico che già ha grazie alle due aziende di famiglia (Thecno farm e Thecno gest).
La Global farma ha un capitale sociale di 500 mila euro: da dove arrivano quei soldi? Nel passato di Di Fazio ci sono quei contatti con la criminalità organizzata e il clan Valle. Storia vecchia che però è importante perché in quelle vicende viene analizzata la situazione patrimoniale dell’imprenditore: è praticamente sul lastrico. Abita in via Marchionni, a Bruzzano, insieme alla famiglia. Dieci anni dopo però la fortuna ha improvvisamente baciato il 50enne.
Fin qui però si tratta solo di sospetti. Il quadro cambia quando gli investigatori ripescano una segnalazione di operazione sospetta inviata in Procura dalla Banca d’Italia. Riguarda movimenti bancari delle aziende di Di Fazio e anche una società in cui l’imprenditore formalmente neppure compare.
Si tratta della Ifai, Industria farmaceutica italiana srl, creata nel 2015 sempre con sede in via Mario Pagano 38 (dove ci sono gli uffici della Global) e amministrata da Rosa Rotondo, una 50enne residente a Corsico. La donna ha come precedenti esperienze imprenditoriali solo un’impresa di pulizie. Ora si sospetta che l’azienda sia al centro di truffe e frodi nelle forniture. «Lui diceva che era sua zia. Che lavorava per lei, ma che la società era sempre di famiglia», racconta oggi il socio Asiaghi.
Dopo l’arresto, Di Fazio è stato rimosso dalla Global farma e oggi l’azienda sta nominando un Cda e tentando di restare in piedi salvando la decina di dipendenti. Il 10 giugno Asiaghi s’è presentato in procura per parlare con il procuratore aggiunto Letizia Mannella del futuro della società. Sulla Ifai c’è un faro acceso dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano. Elemento che complica ancora di più il quadro delle indagini. Anche perché la Dda è già stata coinvolta nelle vicende di Di Fazio per un’altra storia.
Il 5 maggio Asiaghi trova tre bossoli sul vetro della sua auto parcheggiata in via Mario Pagano. Pensa a uno scherzo. Il giorno dopo ne parla con il socio che sbianca e chiama subito la polizia. Su una foto pubblicata da poco su Instagram, infatti, Di Fazio appare accanto alla vettura del socio. Capisce che quel «pacchetto» è per lui. Nella sua denuncia racconta di essere vittima di estorsione. Ma da chi? Qualcuno parla di uomini del clan Mancuso, ma lui riconduce tutto a un’altra storia.
Ed è l’inizio di questa storia. Il 24 aprile, dopo aver capito che la studentessa 21enne lo ha denunciato, Di Fazio si presenta ai carabinieri della stazione Musocco e controdenuncia la giovane per calunnia. Dice che la ragazza e la sua famiglia lo stanno ricattando perché hanno bisogno di 500 mila euro e che hanno agganci con ambienti mafiosi. Così quando ritrova i bossoli racconta alla polizia che potrebbe essere opera della giovane e della sua famiglia. Vicenda così incredibile da far ritenere agli investigatori che possa essere stato lo stesso imprenditore a organizzare il falso atto intimidatorio.
Tra gli episodi emersi, anche se non dal punto di vista penale, anche l’ossessione di Di Fazio per la cantautrice Paola Turci. La racconta l’ex titolare di una agenzia di comunicazione al quale il 50enne si rivolge per «curare la sua immagine e quella delle aziende». In realtà ha un solo scopo: conoscere la cantante che è amica dell’esperto di comunicazione.
«Abbiamo partecipato anche a quattro concerti in un solo mese. In tutta Italia. Voleva con insistenza il suo numero di telefono. Credo sia anche riuscito a procurarselo. Mi ospitava in alberghi di lusso dopo lo spettacolo, suite esclusive a sue spese e viaggi in macchina con autista». Di Fazio si fa largo tra la folla grazie a un bodyguard e si presenta sotto al palco e in camerino con un mazzo di 100 rose rosse.
Chi è davvero Antonello Di Fazio? La risposta a questa domanda tiene insieme tutti i filoni dell’indagine su Barbablù. L’avvocato Romellano non ha presentato alcuna istanza di scarcerazione, davanti al gip l’imprenditore ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere. Il legale nega con forza qualsiasi richiesta, anche futura, di perizia psichiatrica.
Ma non esclude, nelle prossime settimane, la possibilità che il 50enne venga interrogato dagli inquirenti: «Attendiamo l’evolversi della situazione e delle accuse che per ora sono ferme a un solo caso. Il resto lo abbiamo letto sui giornali». Cosa dice Di Fazio? «L’ho incontrato due volte. Ha qualche problema di salute. È provato ma è certo che le cose siano ben diverse da quelle raccontate dalle indagini. Criminalità organizzata? Lo conosco da diversi anni, non ho mai chiesto da dove arrivino i suoi capitali, ma non ho mai avuto sentore di rapporti con certi ambienti». Come finirà stavolta la fiaba di Barbablù?