EUTANASIA DELLA MORALE (MA QUALE)? - IL SUICIDIO DI CARLO LIZZANI RIAPRE IL DIBATTITO: SE LA VITA E’ UN DONO, PERCHE’ LA MORTE NO?

1-DIBATTITO SULL'EUTANASIA
«Avrebbe scelto l'eutanasia», così ha detto il figlio di Carlo Lizzani accorso in Via dei Gracchi a Roma sabato per il riconoscimento del padre, che si è tolto la vita gettandosi dal balcone del suo appartamento al terzo piano. l regista, intellettuale e cineasta dal Neorealismo alla commedia, aveva 91 anni. Si è gettato dal balcone di casa a Roma con un gesto che ha ricordato quello di Mario Monicelli nel 2010.

«In un Paese civile ognuno dovrebbe poter scegliere come morire», ha aggiunto il figlio. La sua frase riapre un antico, doloroso dibattito sull'opportunità di poter scegliere come e quando morire e sul ruolo dello Stato in una simile scelta. Qui sotto, pubblichiamo, a riguardo, due posizioni opposte.

2-IL CATTOLICO - L'UOMO NON PUÃ’ DISPORRE DELLA VITA
Maurizio Caverzan per "Il Giornale"

Non ho voglia di buttarla in politica. Di ingaggiare un match dialettico su eutanasia sì, eutanasia no. La sinistra e i libertari favorevoli, i conservatori cattolici contrari, queste cose qui. No, troppo importante la vita. Troppo vitale tutta la questione. E persino il gesto estremo di Carlo Lizzani. Come chiamarlo? Disperato, lo chiamerei così, senza voler giudicare. Senza mettermi a pontificare. Non so se arriverò a novanta e più anni, come Lizzani e Monicelli (o agli 82 di Franco Lucentini che, malato di tumore ai polmoni, si gettò dalla tromba delle scale del suo appartamento a Torino). Né so come ci arriverò. Potrei essere altrettanto se non più fragile.

Potrei perdere tante mie certezze, lancinato da chissà quale malattia. La certezza maggiore è che a quell'età si viva male e malinconicamente come vedo vivere mia madre ultranovantenne, un tempo indistruttibile, ora non più autosufficiente e piegata dalle traversie dell'esistenza, eppure resistente. Non starò ad affermare principi assoluti, cioè slegati, come dice papa Francesco. La verità si afferma sempre dentro una relazione, dentro un rapporto. Ma proprio questo rapporto è ciò che inappellabilmente ha tagliato l'azione del grande regista di Banditi a Milano.

«Stacco la chiave», ha lasciato scritto ai suoi familiari. E il figlio Francesco non ha temporeggiato un momento prima di rivendicare la battaglia da combattere: «In un Paese civile mio padre avrebbe potuto scegliere come andarsene». Di un regalo si dice che, una volta ricevuto, si può fare ciò che si vuole. Riciclarlo, buttarlo, metterlo in bellavista. Anche la vita che abbiamo è un regalo, un dono totalmente gratuito. Ma questo dono siamo noi stessi, non è un oggetto.

A me pare che il fatto di trovarci a un certo punto in vita, per alcuni casualmente per altri secondo un disegno, stabilisca una legge intrinseca dell'essere. Se la nascita avviene in modo gratuito, se c'è qualcosa che, creandoci, precede la nostra volontà, questo svela il segreto dell'esistenza. Se non ne scriviamo la parola inizio, credo non ci competa nemmeno vergare la parola fine. Perciò, credo che il suicidio sia ultimamente un atto di egocentrismo, forse anche di superbia. Un gesto a suo modo rispettabile.

Come un gesto che bestemmia il mistero della vita che ci viene data e che si rinnova in ogni istante senza che lo decidiamo. E ciò avviene in ogni istante, anche ora che il respiro sale e scende nei polmoni e il sangue scorre nelle vene indipendentemente dal nostro agire. Tutto questo è troppo importante, troppo prezioso e troppo necessario di stupore per buttarlo solo in politica come si sta già facendo quando il corpo di Lizzani è ancora caldo.

«Uno dei più grandi registi italiani si è tolto la vita», ha twittato Ferzan Ozpetek. «L'unica eutanasia che concede l'Italia agli anziani. Gettarsi nel vuoto». Così ora il cinema italiano può vantare degli eroi sull'altare dei diritti civili. Commentando la morte di Monicelli, Lizzani ne aveva parlato come di un gesto «di giovane lucidità». Che cos'è se non l'espressione di quella ultima, affascinante, superbia?

3-IL LAICO - POTER SCEGLIERE È SEGNO DI LIBERTÀ
Vittorio Feltri per "Il Giornale"

Franco Lucentini, scrittore, morto suicida. Mario Monicelli, regista cinematografico, morto suicida. Carlo Lizzani, regista cinematografico, recentemente morto suicida. E cito solo gli ultimi personaggi famosi che si sono tolti la vita. L'elenco sarebbe molto più lungo: da Pavese a Lucio Magri.

Ma suppongo che bastino questi nomi a sollevare il problema: perché accade che qualcuno, della cui intelligenza non è lecito discutere, spesso decida di farla finita? Non esiste una risposta unica che spieghi ogni caso. Ma è certo che gli uomini e le donne che compiono il gran passo per darsi la morte sono mossi dalla sofferenza. Della quale bisogna avere rispetto e soprattutto comprensione.

Quelli che criticano i suicidi perché in contrasto colla loro morale, a mio modesto giudizio, sono privi di morale considerando la propria al di sopra di ogni altra. Chi l'ha detto? Chi stabilisce quale sia l'etica che meriti il primato? I cristiani sono fermamente convinti che la vita sia un dono di Dio e che soltanto Lui possa riprendersela. Costoro non hanno dubbi e non desideriamo fargliene venire. Sono credenti ed è assolutamente legittimo che abbiano una fede incrollabile.

Ciò che invece è incomprensibile è la loro pretesa di imporre a tutti, anche agli atei e agli agnostici, i principi ai quali si ispirano, tra cui l'idea che nessuno possa scegliere di tirare le cuoia volontariamente quando e come vuole e per i motivi che ritiene validi. Negare la libertà di vivere e di morire nei modi che preferisce un individuo, significa negargli il libero arbitrio, che pure è contemplato nei testi cosiddetti sacri. E qui c'è una contraddizione evidente.

Quando Lizzani, uscito di scena due giorni fa, sosteneva la necessità di introdurre nella nostra legislazione il diritto all'eutanasia non diceva una sciocchezza. Infatti, non gli passava neanche per la testa di affermare che a un certo punto si debbano eliminare per decreto i vecchi, notoriamente ingombranti: semplicemente intendeva dire che se uno è stanco di stare su questa terra, non lo si deve costringere a gettarsi dalla finestra o a spararsi, ma sarebbe opportuno che le strutture sanitarie lo aiutassero, in forma civile e non cruenta, a troncare le proprie tribolazioni (insindacabili).

L'eutanasia non è un obbligo, ma una facoltà che in altri Paesi, in cui lo Stato etico è superato dallo Stato liberale, è permessa e non ostacolata dalla religione. Un cristiano gradisce patire fino all'estremo, donando al Signore, in espiazione dei propri peccati, il sacrificio di sopportare il dolore? Chi glielo vieta? Non c'è laico che abbia la presunzione di deviarlo del suo proposito.

Per par condicio, il miscredente esige di andare all'inferno o in paradiso o dove sarà con l'ausilio di un medico. Al quale non si chiede di uccidere, ma di fornire al morituro l'indispensabile per «transitare». Un calmante e un bicchiere di liquido letale da ingerire sono sempre meglio di un salto nel vuoto o di un colpo di pistola. Almeno questo, cari credenti, concedetelo ai nostri simili che non ce la fanno più. Amen.

 

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