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FEGATO SPAPPOLATO - DIVENTA "GRASSO" CON STILI DI VITA SBAGLIATI E REGIMI ALIMENTARI SCORRETTI (ECCESSO DI CARNI ROSSE E INSACCATI, UTILIZZO DI ZUCCHERI INDUSTRIALI…) - IL RISCHIO È QUELLO DI MALATTIE A CATENA - FARMACI CON CUI BLOCCARE QUESTO PROCESSO DEGENERATIVO NON ESISTONO. L' UNICA SOLUZIONE È LA…

Daniele Banfi per “la Stampa”

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Di mezza età, in leggero sovrappeso, poco incline a fare sport e con un' alimentazione non sempre salutare. Una descrizione nella quale molti si riconosceranno. E, anche se all' apparenza non c' è alcun sintomo, molto probabilmente chi si ritrova in questa condizione presenta un «fegato grasso».

 

Si calcola che in Italia sia il 25% della popolazione a soffrire di questa condizione. Di per sé non è pericolosa, ma, in presenza di alcuni fattori scatenanti, può evolvere in quella che gli addetti ai lavori chiamano «Nash», vale a dire la steatoepatite non alcolica, un disturbo che negli Usa rappresenterà nel prossimo futuro la prima causa di trapianto di fegato. Un' epidemia silenziosa che a detta di «Easl» e «Aasld» - le principali società scientifiche mondiali che si dedicano allo studio delle malattie epatiche - rappresenterà la vera sfida del prossimo decennio per la salute del fegato.

 

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Evoluzione negativa «Il fegato grasso -spiega Alessio Aghemo, responsabile dell' Unità operativa di epatologia all' Humanitas Research Hospital di Rozzano - è una condizione caratterizzata dall' accumulo di grassi a livello epatico. Spia di una possibile sindrome metabolica, la "Nafld" (acronimo inglese per indicare la steatosi epatica non alcolica) in sé non è dannosa, in quanto, in assenza di altre caratteristiche, l' organo assolve regolarmente alla sua funzione». Il vero problema si innesca quando questa condizione evolve, appunto, in «Nash». Il fegato grasso, quindi, rappresenta l' anticamera di un problema più grande, una vera e propria bomba ad orologeria.

 

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«Quando ciò accade - continua Aghemo - assistiamo a un cambiamento del tessuto epatico. Mentre nella steatosi si ha parte del fegato costituito da accumuli di grasso, nella "Nash" si hanno spesso delle vere e proprie formazioni di tessuto fibroso. Questo, sostituendo il tessuto originale, compromette in modo progressivo la funzionalità dell' organo, portandolo alla cirrosi e allo sviluppo del carcinoma epatico». Al momento le cause di questo passaggio - fatta eccezione per il diabete, dato che chi ne soffre va incontro più facilmente alla «Nash» - non sono ancora molto chiare. Se da un lato diversi studi indicano una predisposizione genetica, dall' altro il ruolo della dieta comincia a farsi sempre più chiaro: «Eccesso di carni rosse e insaccati, utilizzo di zuccheri industriali, di grassi trans e grassi polinsaturi sono alcuni dei fattori alimentari implicati nella transizione dal fegato grasso a quella della steatoepatite non alcolica», spiega lo specialista.

 

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Diagnosi difficile Asintomatica fino a quando il fegato non arriva alla cirrosi, la «Nash» è di difficile diagnosi. Se in passato per averne una certa si doveva procedere alla biopsia epatica, così da valutare il grado di infiammazione, oggi il metodo più utilizzato è l' esame fibroscan che permette la valutazione della presenza della fibrosi epatica.

 

Oggi farmaci con cui bloccare questo processo degenerativo non esistono. L' unica soluzione, di conseguenza, è la prevenzione. «Cambiare alimentazione, evitare il consumo di alcolici e fare attività fisica - spiega Aghemo - rappresentano i fattori chiave per ridurre al minimo le possibilità che il fegato grasso evolva in "Nash"». Accanto alla prevenzione, fattore imprescindibile, la ricerca, comunque, non è rimasta con le mani in mano e oggi sono diverse le sperimentazioni in atto nel tentativo di sviluppare molecole in grado di bloccare il processo degenerativo.

 

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«Il filone di ricerca più promettente è quello che riguarda lo sviluppo di farmaci antinfiammatori specifici in grado di bloccare la progressione della malattia. Sono diversi i "trial" clinici in atto, ma prima di un paio di anni queste molecole non saranno disponibili.

Accanto a questo approccio, intanto, si punta a sviluppare sia farmaci antifibrotici sia farmaci in grado di limitare l' accumulo di grasso. In questi casi - conclude Aghemo - il traguardo resta comunque ancora lontano».

La speranza è che la ricerca cominci a dare i propri frutti, perché i numeri, a partire dall' infanzia, sono tutt' altro che confortanti: secondo il registro pediatrico europeo per il fegato grasso, coordinato dall' Ospedale Bambino Gesù di Roma, nel nostro Paese il 15% dei bambini presenta già la steatosi epatica non alcolica.

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