A BOLOGNA UNA RAGAZZA DI 25 ANNI INCINTA, JENNI GALLONI, MUORE IN CIRCOSTANZA DA CHIARIRE E LA MADRE PUBBLICA SU FACEBOOK LA FOTO DEL CADAVERE IN SALA SETTORIA - IL SUO SFOGO E' UN'ACCUSA AGLI AMICI DELLA RAGAZZA: "ORA NON POTETE PIÙ TOCCARLA CON LE VOSTRE SPORCHE MANI, CON I VOSTRI PLAGI..."
1 - LA FOTO CHOC DELLA FIGLIA MORTA POSTATA SU FACEBOOK DALLA MADRE
Franco Giubilei per “la Stampa”
Nella tristissima vicenda di una ragazza di 25 anni incinta, morta nell' appartamento di amici che la ospitavano da qualche settimana, spiccano l' assenza del ragazzo con cui ha concepito il figlio e l'attivismo su Facebook della madre, che l' altro giorno ha postato la foto della figlia ripresa sul tavolo dell'obitorio, a pancia scoperta. Immagine cruda e spietata accompagnata da frasi di fuoco, come «ora non potete più toccarla con le vostre sporche mani, con le vostre false parole, con i vostri plagi. Non la potete più invitare a far festa ai rave, non potrete più rubarle i soldi che non avevate intenzione di restituirle mai. Se n'è andata sapendo che eravate persone di m… e di m… resterete per sempre».
Nel palazzo di sei piani in zona Barca dove Jenni Galloni ha vissuto negli ultimi tempi, lo studente che lunedì mattina, volendo svegliarla, si è reso conto subito della gravità della situazione - «è fredda, sembra morta», ha raccontato al caposcala del condominio appena l'ha visto -, ha ancora l'aria molto turbata: «Non dico nulla, non voglio che la sua famiglia possa querelarmi. Sono al quinto anno di università e ho 25 anni, cercate di capirmi».
Poi entra nell'appartamento e si chiude in casa. Intanto le indagini, aperte dal pm Stefano Orsi per morte in conseguenza di altro reato, proseguono in attesa dell' esito degli esami istologici e tossicologici, mentre l'autopsia non sembra aver evidenziato alcunché di significativo. Si cerca di capire, anche in relazione ai pesanti riferimenti contenuti nel messaggio della madre, che ruolo possano aver giocato i rave party, dove girano sostanze pericolose, nel malore che avrebbe provocato la morte di Jenni.
Che una segnalazione per consumo di stupefacenti ce l'aveva, e fra le sue cose personali teneva un grammo di marijuana ritrovato poi dalla polizia. E che già domenica sera si era sentita male, tanto che i suoi amici dell' appartamento - il 25enne e altre due studentesse -, le avevano consigliato di farsi visitare al pronto soccorso, temendo per la gravidanza.
Poi ha bevuto un tè o una tisana, è sembrata stare meglio e, come faceva sempre, è andata a dormire nella stanza di una delle due ragazze, che l'indomani ha creduto fosse tutto a posto ed è uscita. Solo qualche ora più tardi lo studente, cercando di svegliarla, si è accorto che c'era un problema e ha chiesto aiuto: «Mi è venuto incontro nel corridoio tutto agitato, parlandomi di questa ragazza che non gli rispondeva, che era morta. Siamo entrati insieme nella stanza e lei era a letto piegata in due, ghiacciata, allora abbiamo chiamato il 118», dice Giancarlo Collina, il caposcala.
L'aveva incontrata casualmente un paio di giorni prima, Jenni, mentre lei portava a spasso il cagnolino, un Carlino di nome Castagna che compare anche fra le foto di Facebook e che la madre sarebbe venuta a prendersi dopo la tragedia. La ragazza era originaria di Bari ma risiedeva da anni a Bologna così come, a quanto pare, la madre. Colpisce che la figlia non vivesse con lei, soprattutto se si considera che era ospite di amici e che fra di loro sembra non ci fosse il padre del bambino che aspettava, circostanza che potrebbe far pensare a rapporti non facili con la mamma.
Tornando nel condominio di via Brodolini, il teatro di questa brutta storia, i residenti sono concordi nel definire Jenni una ragazza almeno apparentemente tranquilla. Quanto ai suoi ospiti, sono tutti studenti di fuori Bologna (il ragazzo è di Ragusa e una delle due è marchigiana) che non hanno mai provocato mezzo problema ai vicini: abitano lì da qualche mese e pensano soprattutto a studiare, conducendo la classica vita da fuori sede.
Niente a che vedere, almeno apparentemente, con le feste rave evocate dalla madre. Tratti un po' più alternativi affiorano invece nelle foto del profilo Facebook della ragazza, fra piercing e treccine. Il profilo è intitolato «in memoria di Jenni Galloni» ed è aperto tuttora dall' immagine sinistra del cadavere della giovane sul tavolo mortuario.
2 - QUEL DOLORE CHE SI SFOGA SU INTERNET
Gianluca Nicoletti per “la Stampa”
La madre di Jenni Galloni voleva arrivare dritta alle persone che riteneva responsabili morali della morte della figlia. Nessuna via per lei sarebbe stata più breve che andarseli a cercare su Facebook, per colpirli con la foto del cadavere che rappresentava il suo strazio.
Ha voluto far male a quelle persone che per lei sono solo «merde», per farlo l'ha fotografata quando ancora non era stata nemmeno composta, così come probabilmente l'ha vista con i suoi occhi su quello che lei ritiene essere il teatro di un delitto. Non è fondamentale ora sapere il motivo profondo per cui quella donna l'abbia fatto.
A torto o ragione è sin troppo chiaro che alla base del gesto ci sia un profondo rancore, il suo post ha il sapore di un anatema antico, non lascia margine a dubbi su cosa pensasse delle frequentazioni di Jenni. Il gesto merita comunque di non essere liquidato solo con una valutazione etica, ritenendolo folle o una grave offesa alla sacralità della morte.
È invece significativo. Segna lo sconfinamento anagrafico di chi percepisce come spazio di reale relazione quello del social network. È sintomatico di evoluzione digitale che una persona adulta, madre di una ragazza di 25 anni, abbia pensato che il suo strazio potesse trovare in Facebook un naturale spazio di espressione.
È un gesto non indifferente, proprio perché finora non comune nelle abitudini della sua generazione, per elaborare lutto, dolore, rabbia. L'invettiva ricorda il rito arcaico che precede una vendetta, o ancora più suggella la chiamata in causa di una giustizia superiore su quello che si ritiene un sopruso insopportabile.
Nelle iconografie classiche un genitore avrebbe preso in braccio quel cadavere e lo avrebbe mostrato in piazza invocando il castigo. La mamma di Jenni per invocare la «sua» giustizia ha scelto, d'istinto, la piazza che in quel momento sapeva più frequentata da tutti quelli con cui condivideva sua figlia da viva.
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