
IL NEMICO DELLA MOSCHEA ACCANTO - GLI AUTORI DELLA STRAGE DI TUNISI, JABEUR KHACHNAOUI E YASSINE LAABIDI, ERANO TUNISINI, RIENTRATI DA UN PERIODO DI ADDESTRAMENTO IN IRAQ - E COME LORO CE NE SONO ALTRI 500
Alberto Stabile per “la Repubblica”
JABEUR KHACHNAOUI E YASSINE LAABIDI
S’aspettava soltanto una rivendicazione chiara, o l’identificazione certa dei terroristi. A sera ogni dubbio è stato sciolto. I due assalitori che hanno massacrato 17 turisti e due agenti della sicurezza al Museo del Pardo sono giovani tunisini di ritorno da un periodo di militanza nelle terre della jihad: Jabeur Khachnaoui, originario della città di Kasserine e Yassine Laabidi, di Ibn Khaldun.
Ma è stato il primo, Khachnaoui, ad offrire inconsapevolmente un chiave per capire le ragioni di quest’attacco: tre mesi fa era scomparso nel nulla, poi, preso forse dalla nostalgia o dai sensi di colpa, aveva chiamato al telefono la famiglia adoperando una scheda irachena.
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Che il retroterra dei due terroristi di Tunisi fosse in quella galassia jihadista che, oltre a espandersi in tutto il Nordafrica, ha fatto della Tunisia uno dei maggiori fornitori di combattenti votati al martirio in Siria ed Iraq, è apparso chiaro sin dall’inizio. Se mai ce ne fosse stato bisogno è stato lo Stato Islamico, l’organizzazione che si ripromette di riportare il mondo musulmano ai tempi e agli usi del Califfato del Settimo Secolo, a confermare i sospetti iniziali, elogiando i due “martiri”, plaudendo all’attacco e invitando i tunisini a seguire l’esempio “dei loro fratelli”.
Una minaccia peggiore non si può immaginare per il paese che, dopo avere dato il via alla Primavera araba, aveva saputo avviarsi sulla nuova strada della democrazia parlamentare e delle libertà fondamentali. Ma, nonostante i risultati ottenuti sul piano politico, oggi la Tunisia appare stretta dalla tenaglia delle bande islamiste che operano ai confini con la Libia e l’Algeria, e corrosa al suo interno dalla presenza di gruppi radicali pronti a sovvertire il nuovo ordine faticosamente conquistato.
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Non è una novità, questa presenza. Al pari di molti altri paesi arabi, la Tunisia è stata da anni un serbatoio di jihadisti pronti a imbarcarsi come combattenti ovunque, secondo la loro ideologia, il dettame religioso della “guerra santa” potesse assumere la concretezza di una sfida armata quotidiana, contro l’Occidente, contro i “crociati” e contro gli ebrei”.
Un’immagine, a riprova.
Marzo 2003, vigilia dell’invasione americana dell’Iraq, posto di confine di al Tanaf, tra Siria e Iraq. Un autobus con le tendine allargate per cercare di nascondere l’interno. E’ pieno di giovani che si preparano a combattere contro gli americani. In appoggio a Saddam? No, vanno a compiere la loro jihad dicono alcuni, con quelle quattro parole d’italiano che molti tunisini conoscono.
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Dieci anni dopo, Settembre 2013, in un grande albergo di Damasco, il regime di Assad ospita le madri, i padri, le sorelle di un centinaio di giovani tunisini presi prigionieri mentre combattevano in Siria a fianco dei ribelli. Assad ha promesso ad una Ong guidata da un avvocato amico del regime di liberarne alcuni, rimandandoli in patria. E’ un dono avvelenato perché si teme già allora che i “foreign fighter”, i combattenti stranieri che affollano i ranghi della rivolta armata, una volta tornati nei loro paesi saranno un problema per la sicurezza.
Le storie si somigliano tutte. Famiglie niente affatto povere, giovani che hanno studiato, tutti molto religiosi. Poi, un giorno, la bugia: «Parto, vado a lavorare all’estero » chi in Libia, chi in Algeria. Inutili le proteste dei genitori. Un ragazzo di 20 anni deciso ad agire non lo si può fermare. Silenzio per mesi, poi una telefonata dalla Turchia: «Sto andando in Siria». «Sto andando in Iraq». Un mese per l’addestramento in Libia. Poi sul campo di battaglia.
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In questo modo la Tunisia è diventata, dicono gli esperti il principale fornitore di combattenti jihadisti nei campi di battaglia iracheno e siriani, circa tremila giovani, molti dei quali, ovviamente, hanno salutato la nascita del Califfato come una manna dal cielo, la motivazione che tutti aspettavano. E non importa se in altri tempi si sarebbe parlato di “carne da cannone”. Naturalmente, tornare a casa è una cosa, tornare per compiere un attentato efferato come quello di Tunisi è un’altra.
Ci vogliono basi logistiche, appoggi, armi, complici, che gli inquirenti tunisini stanno cercando. Ma nel Nordafrica ormai in preda ala dissoluzione, alla guerra per bande, non è un problema. Sono almeno cinquecento i jihadisti tornati In Tunisia e a questi bisogna aggiungere quelli che sarebbero stati infiltrati dalla Libia.
Poi ci sono le due maggiori formazioni islamiste radicali: la falange, o brigata Okba Ibn Nafaa, legata ad Al Qaeda, attiva alla frontiera con l’Algeria e l’Ansar al Sharia, i sostenitori della Sharia (la legge islamica) legata all’omonimo ramo libico e la cui roccaforte e nel massiccio del Djebel Chambi, nel governatorato di Kasserine al confine con l’Algeria. E da Kasserine proveniva uno dei due terroristi del museo del Bardo.