FACCIAMO I CONTI IN TASCA AL CALIFFO - DUE TERZI DEI 900 MILIONI DI DOLLARI DI ENTRATE VANNO AI SOLDATI - NEGLI OSPEDALI SI TROVANO MEDICINE GRATIS SOLO PER I MILITANTI - ECCO, VOCE PER VOCE, LE SPESE DELLO STATO ISLAMICO
Articolo di Simeon Kerr pubblicato da “l’Espresso”
Nella sua raffinata propaganda on line, lo Stato islamico talvolta chiama il suo settore sanitario Servizio Sanitario dello Stato Islamico, Islamic State Health Service, ISHS. Logo e veste tipografica sono ripresi dall' NHS, fornitore di assistenza sanitaria gratuita nel Regno Unito. Le immagini patinate di medici tra le sterpaglie e in ambulatori ben attrezzati che compaiono sui manifesti dell' ISH potrebbero esserlo anch' esse.
È soltanto apparenza. Agendo in conformità alla sua ambizione e alla sua voglia di essere uno Stato, l' Is rastrella soldi a palate, decine di milioni di dollari al mese, attingendo alle risorse dei territori sui quali ha controllo in metà della Siria e in un terzo del vicino Iraq.
Anche se ormai possiede più territorio di alcuni Paesi, anche se impone tributi e fornisce alcuni servizi ai suoi "cittadini", il budget del sedicente califfato dimostra che le sue priorità sono ancora quelle di un' organizzazione militante.
L' Is ha costruito una macchina da guerra molto efficiente, che distribuisce soldi ai suoi affiliati più fedeli estorcendoli agli altri. Quando si è unito allo Stato islamico come combattente, ad Abu Qitada, sedicenne originario della Siria, è stato garantito che avrebbe ricevuto assistenza medica. «Pagano loro qualsiasi cosa», racconta dopo aver disertato. Come tutti coloro che scappano dall' Is, ha chiesto di non essere identificato col suo vero nome per emotivi di sicurezza e per timore di rivalsa sui familiari.
Al contrario, i civili di Mosul, la città irachena che l' Is ha conquistato nel giugno del 2014, sono trattati come cittadini di seconda categoria. Um Eyyad, per esempio, ha smesso di rivolgersi agli ospedali pubblici, anche se a stento può permettersi di curare privatamente il figlio malato: «Quando sono entrata in ospedale mi sono spaventata», dice questa massaia scappata a giugno nella zona di Ebil sotto il controllo dei curdi. «All' interno dell' ospedale facevano tutti parte dell' Is. I pazienti che non sono organici all' organizzazione devono procurarsi le medicine da soli».
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Un' inchiesta basata su interviste a iracheni e siriani in trappola sotto il regime dell' Is, a diplomatici di alto grado e a fonti dell' intelligence facenti parte della coalizione contro il sedicente califfo Abu Bakr al-Baghdadi, contraddice le affermazioni del gruppo sulla loro governance. Un diplomatico di alto grado racchiude la sua idea in questa formula: «Sono un' organizzazione terroristica molto ricca, ma un pessimo Stato».
IL LIBRO CONTABILE
Nei conti dello Stato islamico lo sforzo bellico costituisce la voce più importante. Da quando hanno espanso il territorio sotto il loro controllo, i jihadisti hanno intascato utili netti per almeno 900 milioni di dollari provenienti da petrolio, imposte e confische. Queste entrate, tuttavia, sono un bersaglio mobile: la coalizione internazionale ha intensificato i bombardamenti contro i pozzi di petrolio dell' Is per frenare il flusso del greggio - e dei soldi - che vanno a finire nei forzieri di guerra del gruppo.
Ricostruire il quadro completo delle spese dell' Is è complesso. Se i leader ai massimi vertici esercitano un rigido controllo su quanto affluisce nelle loro casse da risorse chiave come il petrolio, la struttura decentralizzata dell' organizzazione non permette un controllo altrettanto minuzioso su come siano poi spesi i soldi rastrellati in loco.
Il gruppo può contare su un budget centralizzato, amministrato da Mosul, e su decine di budget regionali gestiti da vari walis, o governatori. Imposte e ammende sono raccolte e messe in circolazione all' interno di ciascuna provincia (wilaya). Alcuni ex affiliati dicono che i soldi in seguito sono distribuiti alle varie filiali del governo locale, come le unità combattenti o le autorità del settore istruzione. Quindi entrate e uscite variano a seconda delle risorse e delle forze combattenti di ogni singola provincia.
Il Financial Times ha raccolto di prima mano e da documenti vari informazioni dettagliate relative ai pagamenti dei combattenti, dei civili e dei progetti, e poi ha ricontrollato nei territori sotto il controllo dell' Is le varie voci, per creare un elenco quanto più preciso possibile delle spese. L' analisi ha dimostrato che più o meno i due terzi delle entrate annuali del gruppo - 600 milioni di dollari circa - sono investiti nelle forze combattenti.
Ogni mese occorrono 20 milioni di dollari circa per retribuire l' unità principale del gruppo, composta per lo più da militanti stranieri (muhajireen). Altri 15-20 milioni di dollari servono a retribuire i combattenti locali e gli ausiliari.
Le cifre sull' esercito note alle fonti delle intelligence della coalizione variano parecchio, ma per lo più tutti concordano sul fatto che il nucleo centrale delle forze combattenti conta almeno 30mila effettivi e che gli affiliati locali e i militanti part-time siano altri 50-70mila. Altre decine di milioni di dollari servono a comprare munizioni ed esplosivi: un' offensiva di una settimana può costare in sole munizioni almeno un milione di dollari. Svariati milioni di dollari sono poi spesi per l' acquisto di altri asset militari. Poiché l' Is estrae decine di migliaia di barili di petrolio al giorno, il carburante che utilizza è gratis.
QUANTO COSTA L'INTELLIGENCE
L' apparato di sicurezza dell' Is costa dai 10 ai 15 milioni di dollari al mese, secondo una fonte della coalizione: tale cifra copre le spese della polizia, dell' hisba, la polizia addetta al controllo della moralità, delle forze d' intelligence note con il termine di amniyat, e degli ausiliari che raccolgono le imposte e le multe. Le spese dell' Is sono aumentate in proporzione alle maggiori preoccupazioni legate alla sicurezza interna. Gli agenti dell' amniyat operano fuori dal califfato, come in Turchia e in Giordania. Il gruppo spende anche per rafforzare il sistema interno di intercettazione e microspie.
Pare che ospedali, strutture sanitarie e istituti scolastici ricevano meno di 10 milioni di dollari al mese. Deir Ezzor è una delle province più grandi e meglio amministrate, eppure i jihadisti hanno appena nove ospedali, ciascuno dei quali conta non più di una cinquantina di medici e infermieri che al massimo ricevono un salario di 300 dollari al mese.
Anche le spese per i lavori nei comuni sono limitate, e complessivamente sono quantificabili nell' ordine dei 10-15 milioni di dollari al mese, meno di un quinto di tutte le entrate, anche tenendo conto di importanti progetti edilizi: lo afferma una fonte dell' intelligence della coalizione, corroborata da documenti.
«Stanno cercando di dare un contenuto al concetto di califfato. Vogliono avere il controllo su tutto ciò che accade nelle scuole. Vogliono controllare gli ospedali, le moschee, ciò che indossa la popolazione, come si comportano le persone e, naturalmente, controllare come opera il sistema giudiziario. Tutto questo, però, non vuol dire che abbiano dato concretezza al concetto di Stato», dice Sir John Sawers, ex capo dell' MI6, il servizio segreto britannico.
50 DOLLARI PER OGNI MOGLIE
In tutto il territorio in mano all' Is, la munificenza dell' organizzazione va per lo più a totale beneficio dei combattenti. Sebbene i documenti o le testimonianze relative a una regione non necessariamente costituiscano un parametro di riferimento per tutto il califfato nel suo complesso, da essi emerge il quadro di un sistema ben organizzato che mantiene in funzione l' apparato combattente. Il "Financial Times" è riuscito a ottenere la busta paga di un soldato che mostra gli scatti degli stipendi dei militanti, e la sua autenticità è stata confermata da otto disertori dello Stato islamico.
I combattenti regolari rientrano in due categorie: i locali e gli stranieri (foreign fighter). Tutti ricevono uno stipendio base mensile di 50-150 dollari al mese. La media del salario dei combattenti locali si aggira sui 200-300 dollari al mese, mentre in media i foreign fighter raggiungono i 600 dollari, comprendenti anche 200 dollari circa di bonus per l' indennità di trasferimento. Dalla busta paga visionata risulta che oltre alla paga base un combattente riceve altri 50 dollari per ogni moglie e sabaya (schiava) a suo carico e altri 35 dollari per figlio.
Alcuni disertori dello Stato islamico hanno testimoniato che ogni comandante riceve un piccolo fondo cassa che parte dai 50 dollari al mese e può raggiungere i mille circa, a seconda del suo grado. I combattenti dicono che i capi utilizzano questi soldi per ricevere ospiti, comprare da mangiare o noleggiare auto.
SALARI IN RITARDO
Malgrado la struttura ben organizzata, il sistema presenta molte pecche. Non esiste un sistema elettronico per la contabilità, e una rendicontazione precisa c' è solo a macchia di leopardo. Ex combattenti dell' Is affermano che i salari sono stati loro pagati in ritardo, spesso anche di dieci o dodici mesi. Un comandante ribelle siriano, che ha combattuto con l' Is per oltre un anno, ricorda che più volte il sovrintendente finanziario della sua zona arrivava nell' ufficio del wali e scopriva che i soldi per i salari non c' erano.
A quel punto andava a prelevarli dallo zakat, il dipartimento per l' agricoltura. «Hanno questa specie di alone che li circonda e dal di fuori si crede che siano ben organizzati e strutturati, mentre dentro non hanno alcuna pianificazione reale. Non è uno Stato, è una buffonata», ha detto.
Nei primi tempi della campagna internazionale contro l' Is, iniziata nel settembre 2014, la coalizione calcolò ottimisticamente che all' Is sarebbe occorso un anno prima di raggiungere il "punto critico" finanziario, dopo il quale le spese del suo progetto avrebbero travolto il gruppo e avrebbero finalmente prevalso quanti combattono i jihadisti.
Nell' ottobre 2014, quando era sottosegretario del Tesoro Usa per l' intelligence antiterrorismo e le finanze, David Cohen ha detto: «L' Is non riuscirà a soddisfare le necessità di base della popolazione che vuole governare». Malgrado tutto, però, l' Is continua a essere molto ben radicata in queste comunità. Una delle spiegazioni del fenomeno è che le comunità locali erano state trascurate a lungo prima che arrivassero i jihadisti.
Consultando le cifre ufficiali del bilancio statale di prima del conflitto, il ricercatore siriano Aziz Hallj, studioso di economia di guerra in Siria, ha calcolato che nella città orientale di Deir Ezzor la spesa del regime per residente sia stata un quarto di quella destinata ai residenti della capitale Damasco. Nelle aree rurali della Siria, invece, era appena un ottavo.
Alcuni dei servizi che oggi l' Is assicura alla popolazione costano davvero poco: parte dell' elettricità è prodotta grazie ad accordi di scambio con Damasco. Nel nord dell' Iraq, la coalizione guidata dagli Usa ha autorizzato i lavori alla diga di Mosul per continuare a rifornire di elettricità le aree amministrate dall' Is.
Dai rapporti delle intelligence di Washington e tutta Europa risulta che alla metà del 2015 i combattenti erano pagati in ritardo o non erano pagati proprio, e i numerosi tagli ai servizi di assistenza sono stati quindi i primi segnali concreti dei guai finanziari dei jihadisti. A mano a mano però che si vengono a sapere più cose riguardo a come sono controllate le aree in mano all' Is, fonti occidentali dicono che il modo di spendere del gruppo rivela cinismo e flessibilità.
«In un primo tempo abbiamo considerato alcuni episodi, come il congelamento dei pagamenti dei salari, come altrettanti segnali del fatto che il gruppo era sotto pressione finanziaria, mentre ora li riteniamo un mezzo per restare aggrappati a tutto quello che possono», riferisce una fonte dell' intelligence europea. «Sanno di poter sparare un colpo alla nuca di chiunque abbia intenzione di scappare. Perché versare gli stipendi, quindi?».
RISORSE PER TRE ANNI
La conclusione è in ogni caso lugubre: le fonti affermano che per le finanze dell' Is c' è un margine sufficiente a garantire che il gruppo possa uscire indenne da un drastico calo delle sue entrate. «Con ogni probabilità, potrebbero andare avanti per altri tre anni», dice Benjamin Bahney, che studia la sostenibilità dell' Is alla Rand Corporation, un think-tank situato degli Stati Uniti.
Più che una debolezza intrinseca, quindi, i tagli alle spese secondo le fonti della coalizione starebbero a indicare che l' Is si sta orientando e adeguando a una posizione più mercenaria, più focalizzata sulla guerra. «Dirotteranno i finanziamenti per le operazioni civili? Ne dubito proprio. Temo, anzi, che diventeranno ancora più feroci e spietati nella loro oppressione», conclude un' altra fonte della coalizione.