
LA LEGGE NON È UGUALE PER CUCCHI - LA SORELLA DI STEFANO ALL’ATTACCO DI PIGNATONE: SE IL PROCURATORE DIFENDE I PM ABBIAMO PERSO TUTTI TEMPO - ANCHE JOVANOTTI E CELENTANO CONTRO LA SENTENZA
Fulvio Fiano per “il Corriere della Sera”
Da un lato il riconoscimento dell’«egregio lavoro» fatto dai pm titolari dell’inchiesta. Dall’altro, la promessa di rileggerne personalmente, con «serenità e senza pregiudizio», tutti gli atti per verificare se c’è margine di approfondimento su persone finora estranee alle indagini. Non ufficializza la riapertura dell’inchiesta (né potrebbe farlo in questo momento), l’impegno preso dal procuratore Giuseppe Pignatone dopo un breve incontro con la famiglia di Stefano Cucchi.
«Dopo cinque anni abbiamo almeno una speranza», commenta però all’uscita da piazzale Clodio il padre del 31enne morto nel 2009, Giovanni. «Se il procuratore difende i pm forse oggi abbiamo perso tutti del tempo», è invece l’amara osservazione della sorella Ilaria. Che però grida vittoria per il clamore suscitato sui social network dall’assoluzione di tutti gli imputati in Appello: «Noi abbiamo vinto, i pm hanno perso».
Su twitter ha grande successo l’hashtag #sonoStatoio che raccoglie moltissime foto di persone con un cartello in mano che chiedono «verità e giustizia». E a sostegno della battaglia della famiglia romana sono arrivati, insieme a tanti altri, anche Adriano Celentano che sul suo blog ha scritto «dove sei ora c’è luce vera, non quella flebile e malata di quei giudici ignavi» e Jovanotti che posta su Facebook: «Quando lo Stato prende in consegna un cittadino, quella persona deve potersi sentire totalmente al sicuro».
I tempi per riesaminare gli atti saranno lunghi. Se il processo va avanti su una strada propria (dopo la sentenza di secondo grado, venerdì, spetterà alle parti civili e al pg della Corte d’Assise fare eventualmente ricorso in Cassazione), Pignatone vuole comunque aspettare le motivazioni della sentenza, che arriveranno fra tre mesi, per avere un quadro completo.
Il ventaglio di persone mai finite sotto indagine è ampio. Per il pestaggio ipotizzato anche dai giudici in primo grado si va dai carabinieri dell’Appio Claudio che arrestarono Cucchi a quelli della caserma di Tor Sapienza, dove il 31enne venne spostato per mancanza di posti letto.
E per le possibili negligenze c’è anche la convalida del fermo e il passaggio a Regina Coeli, dove non vennero riscontrati traumi fisici, e quello all’ospedale Fatebenefratelli, dove Cucchi transitò prima di finire nella struttura protetta del Pertini. «Del pestaggio non mi disse nulla ma ad una mia collega Stefano disse “Mi hanno picchiato i carabinieri”», ha raccontato ieri Giuseppe Flauto, uno degli infermieri a processo.
Va detto che sia i pm Maria Francesca Loy e Vincenzo Barba, sia il pg d’appello avevano chiesto la condanna di tutti gli imputati. Sempre assolti i tre infermieri e i tre agenti; condannati per omicidio colposo e poi assolti i sei medici (la famiglia chiedeva l’abbandono di incapace).
Ilaria Cucchi e i genitori Giovanni e Rita Calore si sono presentati a piazzale Clodio con il corredo di gigantografie che raccontano le condizioni del 31enne già mostrare nell’ultima udienza dall’avvocato Fabio Anselmo (atteso in procura nei prossimi giorni):
«Questa è l’insufficienza di prove, lo Stato non ha saputo garantire i diritti di mio fratello da vivo, e ora non è in grado di dire chi l’ha ridotto così», ha detto la sorella di Stefano, che è stata querelata dal sindacato Sappe per le accuse alla polizia penitenziaria. «Non getto io fango sulla categoria», ha replicato riferendosi anche al Sap, che aveva parlato di «morte per vita dissoluta».
2. IL REBUS DEL RUOLO DEI CARABINIERI E LE “CONGETTURE” SULLE PERCOSSE
Grazia Longo per “la Stampa”
Solidarietà da record. Oltre 3 milioni di persone sono vicine ai genitori e alla sorella di Stefano Cucchi e lo hanno scritto chiaro e tondo sul sito Facebook ufficiale di Ilaria Cucchi. Oltre al popolo di twitter - #sonoStatoio è l’hastag che sta spopolando - anche quello di Fb si mobilita contro la sentenza di assoluzione della Corte d’appello per tutti gli imputati del processo.
Studenti, operai, liberi professionisti di tutte le età, a cui si aggiungono stelle del mondo dello spettacolo come Adriano Celentano e Jovanotti. Dal punto di vista giudiziario ci sono ancora tanti punti oscuri sul pestaggio e la morte di Stefano geometra tossicodipendente, il 22 ottobre 2009 a soli 31 anni, 7 giorni dopo l’arresto per spaccio.
E in tanti, tantissimi, invocano chiarezza, verità e giustizia. Celentano scrive sul suo blog: «Ciao Stefano! Hai capito adesso in che mondo vivevi? Certo dove sei ora è tutta un’altra cosa». Il cantante poi definisce «ignavi» i giudici «che, come diceva Dante, sono anime senza lode e senza infamia e proprio perché non si schierano né dalla parte del bene e né da quella del male sono i più pericolosi».
Per Jovanotti «il caso come quello di Stefano Cucchi fanno paura, perché sono squarci che si aprono verso l’inferno vero, quello della violenza protetta da una divisa o da un camice. La vita è una tombola ma le Istituzioni dello Stato non possono e non devono esserlo».
Per quanto concerne l’inchiesta, invece, i pm Barba e Loy che hanno condotto l’istruttoria non vogliono e non possono fare dichiarazioni ma l’irritazione è evidente. Basta andarsi a leggere l’atto di appello con cui hanno impugnato l’assoluzione in primo grado dei tre agenti di polizia penitenziaria e la condanna a pene piuttosto miti dei medici e infermieri dell’ospedale Pertini dove è morto Cucchi.
Dal dibattimento in assise - si fa notare - «non sono emersi fatti o responsabilità diverse da quelle già configurate. Nessun giudice ha mai segnalato lacune nell’operato della procura né ha mai trasmesso gli atti all’ufficio per approfondire questa o quella posizione».
Viene inoltre precisato che l’errore sulla «mancanza di fissa dimora» del primo verbale dei carabinieri - dovuto all’utilizzo di un modulo prestampato riferito probabilmente a un albanese arrestato qualche ora prima di Cucchi - è stato ininfluente nell’evoluzione della vicenda.
Nel certificato del casellario e in quello anagrafico, nel verbale di sequestro dello stupefacente e in quello di perquisizione domiciliare, utilizzati per formare il fascicolo da dare al giudice del dibattimento, è riportato il dato corretto. E lo stesso Cucchi, sentito nell’interrogatorio di convalida dell’arresto, ha fornito correttamente al giudice le sue generalità e il suo indirizzo.
I pm, sempre nell’atto di impugnazione, se la sono presa con la corte di assise quando «in via del tutto congetturale» ha ipotizzato che Cucchi possa essere stato picchiato da alcuni operanti (carabinieri) al momento di rientrare dalla perquisizione domiciliare. Una congettura che resta tale soprattutto quando la corte non ha ritenuto di trasmettere alcun atto alla procura né spunti diversi sono arrivati dalla parte civile (famiglia Cucchi) o dalle difese degli agenti di polizia penitenziaria.