taki daryabi e nematullah naqdi, i giornalisti picchiati dai talebani

PER NOI È L'ECLISSI DELL'ERA DELLA LIBERTÀ DI STAMPA” – LE FOTO CHOC DI DUE GIORNALISTI AFGHANI SEQUESTRATI E MASSACRATI DI BOTTE DAI TALEBANI: I DUE REPORTER STAVANO SEGUENDO UNA MANIFESTAZIONE DI PROTESTA QUANDO SONO STATI PORTATI IN UNA STAZIONE DI POLIZIA. LÌ SONO STATI TORTURATI PER QUATTRO ORE E PICCHIATI FINO A SVENIRE – IL RACCONTO: “UNO DI LORO MI AVEVA LEGATO MANI E PIEDI, PREMEVA LA SUOLA DI UNA SCARPA SUL COLLO MENTRE GLI ALTRI…”

Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”

 

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I loro corpi parlano da soli delle violenze subite. Spalle, schiena, braccia, glutei, fianchi, retro delle cosce, polpacci sono coperti di ecchimosi ed ematomi. Hanno i volti gonfi. Taki Daryabi, che ha 22 anni, mostra anche larghe lacerazioni sotto il mento. È stato colpito agli zigomi, pochi millimetri dagli occhi. Il suo collega Nematullah Naqdi, 28 anni, ha un'ampia garza incerottata sulla guancia destra. Picchiati a sangue, frustati, colpiti con i fucili, presi a calci per una decina di minuti da una quindicina di talebani infuriati.

 

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Non per la strada, ma nel chiuso di una stazione di polizia, dove poi sono rimasti prigionieri per quattro ore, prima di poter tornare al loro giornale e da lì medicati quindi in ospedale. Li incontriamo negli uffici di Etilaat Roz (Informazioni Quotidiane), il giornale per cui lavorano: Taki come fotografo, Nematullah da reporter. Ancora si muovono a fatica, per fare le scale devono essere aiutati.

 

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«Se non fosse per gli antidolorifici dovremmo rimanere stesi a letto», ammettono. Sono anche frastornati dall'improvvisa pubblicità. Noi giornalisti stranieri siamo venuti numerosi per intervistarli. E loro si tolgono i vestiti quasi in automatico per mostrare i segni delle botte. Incarnano con le loro ferite la smentita più clamorosa delle promesse talebane sulla «futura libertà di stampa» nell'Emirato dei mullah.

 

«È avvenuto ieri mattina (due giorni fa per chi legge ndr ), dai social avevamo saputo che ci sarebbe stata una nuova manifestazione di donne nel Distretto numero tre della capitale. Siamo arrivati presto, abbiamo incontrato una trentina di loro che stavano preparando cartelli e volantini. Quando hanno iniziato a sfilare sono arrivati i talebani armati. Mi hanno catturato una prima volta. Sono riuscito a divincolarmi.

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Le donne si sono messe attorno per proteggermi. E questo perché i talebani picchiano e persino minacciano di uccidere gli uomini che li contestano. Con le donne sono relativamente più leggeri. Poi però mi hanno preso una seconda volta e non c'è stato scampo», spiega Taki. Lo trascinano nella vicina stazione di polizia.

 

S' illude che si limiteranno a registrare le sue credenziali. Ma subito lo chiudono in una piccola stanza per imbottirlo di botte. «Sono svenuto una prima volta. Mi hanno buttato in faccia un secchio d'acqua e hanno ripreso. Ho perso di nuovo i sensi. Uno di loro mi aveva legato mani e piedi, premeva la suola di una scarpa sul collo mentre gli altri bastonavano. Poi ho visto che picchiavano anche Nematullah», continua.

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Il direttore del giornale, Zaki Daryabi, 33 anni, sottolinea che almeno 5 dei suoi 45 giornalisti sono stati arrestati negli ultimi giorni. «Per noi è l'eclissi dell'era della libertà di stampa in cui siamo cresciuti negli ultimi vent' anni. Siamo tutti minacciati, non ci resta che denunciare pubblicamente gli abusi nella speranza che la comunità internazionale possa aiutarci», spiega. Ma è ben consapevole del fatto che le pressioni delle democrazie possono ben poco contro la brutalità dei nuovi padroni dell'Afghanistan.

 

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«Temo che dei nostri e vostri appelli a loro importi molto poco. Sono un regime allo stesso tempo teologico e politico. I loro poliziotti e militari si presentano come custodi della vera fede. Criticarli è come criticare Allah», dice sconsolato. Nei locali di Tolo Tv, la più importante televisione nazionale nota per i reportage graffianti e il coraggio nel denunciare scandali e corruzione, impera già un nuovo clima di remissiva sottomissione. Una volta le porte erano aperte ad ogni ora del giorno. Ieri abbiamo dovuto attendere a lungo davanti al cancello, quindi siamo arrivati alla redazione grazie a vecchie conoscenze.

 

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Tutte le sedi regionali sono chiuse. Almeno una decina dei reporter più coraggiosi sono scappati all'estero. Tanti altri non vengono a lavorare. «Abbiamo dovuto assumere una decina di giornalisti, ma sono tutti giovani senza esperienza. Inevitabilmente i programmi ne soffrono», ammette Ismatullah Niazi, uno dei nuovi dirigenti che non nasconde l'imbarazzo. Le reporter donne sono quasi sparite. I notiziari spesso si limitano a leggere i comunicati dei capi talebani. «Mandiamo meno troupe a lavorare sul campo.

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La pubblicità è caduta ai minimi storici, mancano i fondi per viaggiare. Non è neppure chiaro che regole sulla stampa imporranno i talebani. Non ci resta che sperare e attendere», ci dice ancora. Un loro fotografo, Wahid Ahmadi, non si tira indietro però nel condannare i talebani. «Tre giorni fa mi hanno arrestato per sei ore. Un talebano mi ha detto: "Noi abbiamo sofferto vent' anni per combattere la jihad. Ora tocca a voi soffrire e se fosse necessario saremmo anche pronti a uccidere tutti i giornalisti". Con me era stato arrestato anche un giornalista norvegese. Ho sentito due talebani dire che volevano ucciderlo perché infedele».

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