IL CORANO TI PRENDE LA MANO - IN BELGIO LE CHIAMANO “ISLAM-GANG”: GRUPPI DI SBANDATI CHE, INTORTATI DA QUALCHE PREDICATORE D’ODIO, PASSANO DALLA MICROCRIMINALITÀ ALLA GUERRA SANTA - ALTRO CHE MOSCHEA: SI RECLUTA IN DISCOTECA
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Francesca Paci per “la Stampa”
Ad Anversa sono note come islam-gang, seconde e terze generazioni allo sbando tra spaccio di droga e protesta sociale al ritmo di rap che si sono trasformate in potenziali cellule qaediste grazie al lavaggio del cervello di predicatori come quelli troppo tardivamente messi al bando di Sharia4Belgium.
A ottobre, mentre la capitale fiamminga dei diamanti celebrava il primo processo ai neojihadisti locali e ai loro reclutatori, gli 007 snocciolavano cifre da capogiro: 400 volontari belgi arruolatisi con il Califfato dopo il 2012 (su una popolazione di 11 milioni), 90 ragazzi iper-radicalizzati dalla guerra già rientrati in patria, mille muri invisibili eretti da un giorno all’altro nel Paese delle diversità dove solo ad Anversa si contano 43 moschee, 30 sinagoghe, 179 nazionalità.
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Il Belgio si sveglia per la seconda volta nel buio della paura. Dopo Medhi Nemmouche, il killer della sinagoga di Bruxelles, gli investigatori si concentrarono sui potenziali emuli, i rischi, sulla necessità di dare una risposta esemplare fino al punto d’istituire un processo «politico», poco risolutivo perché basato su presupposti giudiziari deboli (come tenere in cella qualcuno reo di aver combattuto in Siria ma non ancora macchiatosi di crimini in patria?). Sono passati pochi mesi e all’orizzonte si stagliano le nubi delle peggiori previsioni.
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Criminali comuni
«Le nuove leve dello jihadismo, tra cui quelli che tornano dalla Siria, sono solo criminali ma se i qaedisti della prima generazione minacciano maggiormente i loro Paesi arabi di provenienza questi giovani sono un pericolo diretto per noi» osserva una fonte dell’intelligence di Bruxelles responsabile degli ex detenuti di Guantanamo belgi rientrati in patria.
Soldi, moglie e tempo libero
Le nuove leve sono ragazzi come Brian da Mulder, 22 anni, secondogenito di una brasiliana e di un belga non credente che nel 2012 è passato all'islam per colmare il vuoto d’una periferia squallida e di un padre poco fiducioso in lui e che oggi dalla Siria manda a dire alla madre di essere felice, di avere un ruolo nell’esercito del Califfo, uno stipendio, una moglie, tempo libero per nuotare.
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Ma oltre a Brian, figlio di uno dei mille ghetti di Anversa come Bourgerout, dove gli immigrati sono l’80% e la disoccupazione raggiunge il 40% (la media nazionale è 9%), ci sono casi non spiegabili con frustrazione e marginalità come il rapper ricco e di ricca famiglia Feisal Yamoun o il 26enne convertito Michael Delefortie, di cui la sorella lesbica e middleclass spiega il ritorno dalla trincea siriana con la delusione per una guerra santa che non risparmia i musulmani. Ragazzi con background diversi, ma accomunati dalla rabbia per un mondo giudicato ingiusto perché, racconta un 22enne che dice di essere cresciuto nella diffidenza post 11 settembre, «in discoteca fanno entrare i neri ma lasciano fuori me perché mi chiamo Mohammed e sono arabo».
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Distanti dalle moschee
Le moschee assistono ammutolite alla deriva dei loro figli. «C’è una distanza crescente tra i giovani e le figure religiose di riferimento, imam troppo vecchi che parlano solo in arabo e di teologia astratta» ragiona il consigliere comunale Hicham El Mzairh, punto di riferimento della comunità marocchina di Anversa.
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I reclutatori si appostano all’uscita dalle scuole, nei vicoli dove si spaccia, su Internet, non hanno quasi mai più di 40 anni, conoscono la cultura urbana con cui è cresciuto chi fino a prima di scoprire un islam basico declinato a divieti vendeva droga, beveva alcol, sognava ragazze reali e non trascendenti vergini paradisiache. La loro lingua è musica per ragazzi come quelli di Verviers.
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