L'ODIO BRITISH PER I CRUCCHI - IN "MOONRAKER", IL TERZO LIBRO DELLA SAGA 007, IAN FLEMING DÀ FONDO A TUTTO IL SUO ASTIO VERSO LA GERMANIA (COSA CHE E’ STATA CANCELLATA NEL FILM)

Nicoletta Tiliacos per "il Foglio"

Per spiegare la sua decisione di accogliere nel catalogo Adelphi i romanzi di Ian Fleming dedicati all'agente segreto 007 - a lungo considerati poco meno che spazzatura, buona al massimo per costruirci film di cassetta - l'editore Roberto Calasso non ha parlato solo di meriti letterari da riconoscere. Ha anche detto - l'ultima volta poche settimane fa, intervistato dal Venerdì di Repubblica - che quei romanzi sono capaci di raccontare l'atmosfera e le logiche della Guerra fredda molto meglio di molti saggi di storia. Provare per credere.

Ma anche chi non volesse fare di Fleming un uso così serioso, può approfittare per motivi meno nobili dell'uscita di "Moonraker" (270 pagine, 18 euro), terzo titolo della serie 007 dopo "Casinò Royale" e "Vivi e lascia morire" (pubblicato nel 1955, nel 1979 divenne un film che non gli rende minimamente giustizia). L'ostilità antitedesca riversata a piene mani in quel libro da Fleming - comprensibilmente cancellata nella versione cinematografica - può ancora oggi rallegrare malignamente chi si senta animato da analoga antipatia. Il sentimento è irragionevole, certo.

Ma abbiamo visto e vediamo ogni giorno che la posizione strapotente tedesca in Europa, in campo economico e politico, si presta (magari a torto) a essere interpretata come una vendetta dalle caratteristiche altrettanto irragionevoli: una rivincita consumata dopo due guerre perse, sotto forma di dominio soft che nemmeno a Fleming, ne siamo sicuri, sarebbe piaciuto. La sua inimicizia verso la Germania era comunque comprensibile, se non giustificata.

"Moonraker" è il manifesto della sempiterna diffidenza britannica verso quelli che all'epoca erano già fedeli alleati, almeno nella parte ovest governata dall'atlantista Adenauer. Bisogna ricordare che quando Fleming lavorava a "Moonraker" non erano trascorsi che dieci, brevi anni dalla fine del conflitto mondiale. L'Inghilterra portava ancora i segni - nella grande povertà della popolazione, soprattutto - di uno scontro che l'aveva, in tutti i sensi, dissanguata. E poi - lo annotò lo stesso Fleming sulla sua copia personale di "Moonraker" - c'era la strada di Dover, che lo scrittore percorreva quotidianamente quando abitava a St Margaret's Bay.

Quella strada lo riconduceva in continuazione su un "luogo del delitto" storico e simbolico, lungo la scogliera che probabilmente non smise mai di rappresentare la trincea di difesa della madrepatria, ai suoi occhi di ex ufficiale della Royal Navy, attivamente impegnato nell'intelligence durante la Seconda guerra mondiale (come sarebbe nato, altrimenti, il suo 007?).

Il romanzo, presentato dall'editore come "la storia più complessa e autentica (oltre che più ferocemente inglese) di Fleming", è anche l'unico della serie in cui Bond appare in versione "domestica", chiamato eccezionalmente a operare in patria. Il suo nemico, di cui 007 saggia la determinazione durante una memorabile partita a bridge, è un tedesco che si spaccia per britannico.

Ricchissimo e misterioso (per questo i servizi segreti di Sua Maestà vogliono capirci qualcosa in più), dice di voler offrire alla Gran Bretagna un'arma difensiva totale, il Moonraker. In realtà, sta organizzando un attacco nucleare contro Londra, aiutato da svariati ex commilitoni della Wehrmacht, dipinti in modo quasi più macchiettistico che malevolo. Non ci saremmo mai permessi di raccontarlo se la cosa non fosse già spiegata nella bandella del libro. E comunque il romanzo è strepitoso, anche se sappiamo già come andrà a finire. E autorizza quei cinque minuti di "germanofobia" che, di questi tempi, non si negano a nessuno.

 

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