DOVE NON ARRIVANO I CARRI ARMATI RUSSI, CI PENSANO LE AUTOSTRADE ITALIANE - L’ASSURDO DESTINO DI UNA RAGAZZA UCRAINA DI 32 ANNI, SCAPPATA DALLA GUERRA NEL SUO PAESE E MORTA INTRAPPOLATA TRA LE LAMIERE DI UN BUS, IERI, SULLA A14 - NEL PULLMAN DI LINEA C’ERANO 50 PROFUGHI, ARRIVAVANO DA CHMEL'NYC'KYJ E ORMAI SEMBRAVA FATTA: POI, TRA CESENA E VALLE DEL RUBICONE, L’AUTISTA HA AVUTO UN COLPO DI SONNO O UN MALORE ED È FINITO FUORI STRADA - VIDEO
Mario Ajello per “il Messaggero”
autobus pieno di rifugiati ucraini si ribalta sulla a14 5
Morire per uno schianto. Non per una bomba. Morire intrappolata nelle lamiere di un bus. Non le lamiere di un carroarmato che schiaccia un popolo. Morire non nella sua terra martoriata ma dove pensava ci fosse la vita e una vita senza il pericolo che venisse strappata da un momento all'altro.
Ora la piangono tutti, i venti compagni di fuga dall'inferno dei raid russe e i suoi due figli che erano con lei ma lei non c'è più. Questa è la storia di una giovane ucraina di 32 anni rimasta vittima sull'autostrada A 14, tra Cesena e Valle del Rubicone, sotto il pullman di linea con cui aveva lasciato il suo Paese e che per una casualità - l'autista ubriaco? No, dicono i test. Solo un maledetto colpo di sonno o forse un malore - è finito fuoristrada e si è ribaltato.
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E lunga e diritta correva la strada verso Pescara che, tappa dopo tappa, doveva essere l'approdo finale, il luogo dove provare per questa donna e per i suoi piccini a rifarsi un'esistenza. Senza le sirene degli allarmi, le corse nei bunker anti-aerei, l'ansia di vedersi arrivare addosso i mezzi militari con la Z putiniana disegnata sulla scocca.
Questi giovani che hanno percorso tanta strada - da Kiev a Cesena in condizioni normali ci vogliono 23 ore ma tra le fiamme, le paure e le code dei profughi come loro sono necessari vari giorni di viaggio - per poi finire oltre il guardrail.
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Che hanno superato indenni i missili dei nemici, e pensare che consideravano i russi fratelli fino a pochi giorni fa, per ritrovarsi di colpo scaraventati davanti al rischio della morte in un normale incidente tra casello e casello. Tre sono feriti non in maniera grave (un'anziana, Oksana, una giovane signora, Karolina, e il figlio Maksim di 11) e sono ora all'ospedale Santo Spirito di Pescara. Gli altri hanno solo qualche contusione ma sono sotto choc.
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Mentre lei, la mamma di due figli, il maschio di 10 anni e la femminuccia di 5, nel pullman sottosopra non è riuscita a sopravvivere. E i due bambini, con qualche escoriazione sul viso e lungo le braccia, ma completamente spaesati e dolenti, piangono e non parlano, sono prima andati sotto osservazione nel reparto pediatrico dell'ospedale Bufalini di Cesena, dove gli hanno assicurato il supporto psicologico, e successivamente a casa di parenti dalle parti di Pesaro.
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E poi? Una vita da orfani di guerra, perché la guerra ha colpito sia pure indirettamente la loro mamma. E pensare che questa famigliola era quasi arrivata a destinazione, perché la loro prima tappa doveva essere Pesaro, poco distante dal luogo dell'incidente, e poi giù a Pescara dove la 32enne ucraina aveva la madre pronta a ospitarli. I bambini di questa donna, appena ripresisi dalla paura e dallo schianto del bus, avevano riaperto gli occhi ma non avevano visto riaprirsi quelli della madre in questa storia di sopravvivenza da una guerra che si ribalta nella morte dove la morte non doveva starci.
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LA VIA CRUCIS
E se davvero è stato un colpo di sonno quello dell'autista, e così parrebbe visto che non c'erano altre auto o mezzi su quel tratto di autostrada in quel momento, sono la stanchezza provocata da una via crucis e lo stress da fuga dalle bombe e dal sangue di una nazione violentata quelli che hanno provocato la banalità di questa sciagura che è una goccia di dolore nel mare magnum di angoscia che sta dilagando in Europa.
La guerra uccide chi resta e logora e può annientare chi ce la fa a scappare. Come capita ai barconi dei profughi africani che affondano quando stanno quasi per toccare le coste italiane.
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E' una morale triste questa capitata al pullman degli ucraini ieri mattina all'alba. Venivano da una delle città sotto attacco - Chmel'nyc'kyj - ed erano partiti in 54, la metà dei quali sono scesi nelle tappe precedenti a quella di Cesena. Il bus aveva fatto ingresso in Italia attraverso la frontiera di Trieste. Sembrava fatta per tutti.
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Poi il ribaltamento. La morte della donna. E se c'è una canzone che parla dello scampato pericolo da un conflitto, questa canzone è «Samarcanda» di Roberto Vecchioni («Ridere, ridere, ridere ancora, / Ora la guerra paura non fa... / Fammi fuggire fuggire di qua»). Ma dietro l'angolo di questa fuga della donna ucraina è spuntato, oltre la carreggiata, quel fossato che non è il cratere di una mina eppure ha inghiottito una persona che finalmente si credeva al sicuro.