“LA VICINANZA DELLA MORTE CHIAMA ANCORA PIÙ VITA” – LA LOTTA DI PIER PAOLO PASOLINI CONTRO LA SOLITUDINE E LA “NIENTITÀ” DELLA MORTE NEL PIANTO DI GIOVANNI TESTORI, PUBBLICATO SU “L’ESPRESSO IL 9 NOVEMBRE 1975: “LA DISTANZA DAL PUNTO IN CUI L'UNITÀ PERDUTA È DIVENTATA COSCIENZA SI FA SEMPRE MAGGIORE, MENTRE SEMPRE MINORE DIVENTA QUELLA CHE CI SEPARA DAL REINGRESSO FINALE NELLA “NIENTITÀ” DELLA MORTE. COSÌ CHI HA VOLUTO VERAMENTE E TOTALMENTE LA VITA PUÒ TROVARSI PIÙ PRESTO DEGLI ALTRI DENTRO…”
Per gentile concessione dell’Associazione Giovanni Testori (associazionetestori.it), pubblichiamo lo straordinario articolo scritto per L’Espresso il 9 novembre 1975 da Giovanni Testori (1923- 1993) in occasione della tragica morte di Pier Paolo Pasolini (1922-1975). Allo scrittore ucciso il 2 novembre sul lido di Ostia è dedicata una delle mostre («Io, Pier Paolo Pasolini») ospitate dall’edizione del Meeting di Rimini che apre domani in Romagna.
Il programma completo dell’appuntamento di Comunione e Liberazione è disponibile sul sito meetingrimini.org: la rassegna torna quest’anno in presenza, previa registrazione e con green pass, dopo l’edizione 2020, caratterizzata da forti restrizioni legate al Covid. Il titolo di quest’anno è «Il coraggio di dire io»: la manifestazione che inaugura domani chiuderà mercoledì 25. Il testo su Pasolini, qui proposto ai lettori, verrà letto in un video, all’interno della citata esposizione, dall’attore teatrale e scrittore Sandro Lombardi.
Testo di Giovanni Testori
Sull'atroce morte di Pasolini s' è scritto tutto; ma sulle ragioni per cui egli non ha potuto non andarle incontro, penso quasi nulla. Cosa lo spingeva, la sera o la notte, a volere e a cercare quegli incontri? La risposta è complessa, ma può agglomerarsi, credo, in un solo nodo e in un solo nome: la coscienza e l'angoscia dell'essere diviso, dell'essere soltanto una parte di un'unità che, dal momento del concepimento, non è più esistita; insomma, la coscienza e l'angoscia dell'essere nati e della solitudine che fatalmente ne deriva. La solitudine, questa cagna orrenda e famelica che ci portiamo addosso da quando diventiamo cellula individua e vivente e che pare privilegiare coloro che, con un aggettivo turpe e razzista, si ha l'abitudine di chiamare «diversi».
Allora, quando il lavoro è finito (e, magari, sembra averci ammazzati per non lasciarci più spazio altro che per il sonno e magari neppure per quello); quando ci si alza dai tavoli delle cene perché gli amici non bastano più; quando non basta più nemmeno la figura della madre (con cui, magari, s' è ingaggiata, scientemente o incoscientemente, una silenziosa lotta o intrico d'odio e d'amore) e si resta lì, soli, prigionieri senza scampo, dentro la notte che è negra come il grembo da cui veniamo e come il nulla verso cui andiamo, comincia a crescere dentro di noi un bisogno infinito e disperante di trovare un appoggio, un riscontro; di trovare un «qualcuno»; quel «qualcuno» che ci illuda, fosse pure per un solo momento, di poter distruggere e annientare quella solitudine; di poter ricomporre quell'unità lacerata e perduta.
Gli occhi, quegli occhi; la bocca, quella bocca; i capelli, quei capelli; il corpo, quel corpo; e l'inesprimibile ardore che ogni essere giovane sprigiona da sé, come se in esso la coscienza di quella divisione non fosse ancora avvenuta, come se lui, proprio lui, fosse l'altra parte che da sempre ci è mancata e ci manca. Mettere di fronte a queste disperate possibilità e a queste disperate speranze il pericolo, fosse pure quello della morte, non ha senso. Io penso che non s' abbia neppure il tempo per fare di questi miseri calcoli; tanto violento è il bisogno di riempire quel vuoto e di saldare o almeno fasciare quella ferita.
foto di pasolini dal libro massacro di un poeta di simona zecchi 9
Del resto, chi potrebbe segnalarci che dentro quegli occhi, dentro quella bocca, quei capelli e quel corpo, si nasconde un assassino? Nella mutezza del cosmo queste segnalazioni non arrivano; e anche se arrivassero, torno a ripetere che il bisogno di vincere quell'angoscia risulterebbe ancora più forte e ci vieterebbe d'intendere. Si parte; e non si sa dove s' arriva. Per sere e sere, una volta avvenuto l'incontro, l'illusione riprecipita in sé stessa. Ma nella liberazione fisica s' è ottenuta una sorta di momentanea requie; o pausa; o riposo. La sera seguente tutto riprende; giusto come riprende il buio della notte. E così gli anni passano.
La distanza dal punto in cui l'unità perduta è diventata coscienza si fa sempre maggiore, mentre sempre minore diventa quella che ci separa dal reingresso finale nella «nientità» della morte; e dalle sue implacabili interrogazioni. Le ombre, allora, s' allungano; più difficile si rende la possibilità che quell'incontro infinite volte cercato, finalmente si verifichi; più difficile, ma non meno febbricitante e divorante. La vicinanza della morte chiama ancora più vita; e questo più o troppo di vita che cerchiamo fuori di noi, in quegli incontri, in quegli occhi, in quelle labbra, non fa altro che avvicinare ulteriormente la fine.
pier paolo pasolini ph becchetti
Così chi ha voluto veramente e totalmente la vita può trovarsi più presto degli altri dentro le mani stesse della morte che ne farà strazio e ludibrio. A meno che il dolore non insegni la «via crucis» della pazienza. Ma è una cosa che il nostro tempo concede? E a prezzo di quali sacrifici, di quali attese o di quali terribili e sanguinanti trasformazioni o assunzione di quegli occhi e di quelle labbra?
GIOVANNI TESTORIpier paolo pasoliniPasoliniPASOLINIPASOLINI 8pasolini decameronPASOLINIPIER PAOLO PASOLINIpier paolo pasolini sulla spiaggia del cinquale, in versilia - foto paolo di paoloPASOLINIPASOLINI 3giovanni testoripasolini