angelo gaja

 

LEGGI, BEVI E GODI CON CRISTIANA LAURO - ANGELO GAJA, GURU DEL VINO ITALIANO NEL MONDO HA COMPIUTO 80 ANNI E PIÙ MATURA, MEGLIO È. UNA DELLE INTERVISTE PIÙ CENTRATE E INTERESSANTI CHE ABBIA MAI LETTO SULL’ENOLOGIA E SULLE FIGURE PIÙ STIMOLANTI È QUELLA DI ALDO CAZZULLO. LA MENTE DI GAJA VIAGGIA IN ANTICIPO SU TUTTO, CON UNA CAPACITÀ DI PREVISIONE DEGLI EVENTI FUTURI INDISPENSABILE PER L’INTERO SETTORE

 

1. ANGELO GAJA, ILGURU DEL VINO ITALIANO, INTERVISTATO DA ALDO CAZZULLO

Cristiana Lauro per Dagospia

 

cristiana lauro 3

Angelo Gaja, il punto di riferimento dell’enologia - il guru del vino italiano nel mondo - ha compiuto ottant’anni e più matura, meglio è. Un po’ come i vini buoni. Ma quelli buoni per davvero, però. Perché se parti male non c’è verso. Vale tanto per i vini, quanto per le persone.

 

Una delle interviste più centrate e interessanti che abbia mai letto sull’enologia e sulle figure storiche più stimolanti che la rappresentano, è quella di Aldo Cazzullo ad Angelo Gaja. Visto che ci troviamo tutti quanti in isolamento a casa, se vogliamo impiegare una porzione di questo tempo nuovo, leggiamola! Può contribuire a evitare di trasformare un tempo nuovo in tempo vuoto. 

 

Angelo Gaja, produttore nelle Langhe e distributore di vino, ha fatto da apripista alla produzione vitivinicola italiana e alla sua commercializzazione nel mondo attraverso una visione avanti anni luce rispetto al resto. La mente di Gaja viaggia in anticipo su tutto, con una capacità di previsione degli eventi futuri indispensabile per l’intero settore. I suoi  ingredienti base sono da sempre: la capacità di analisi, l’esperienza e la carità divulgativa.

 

Angelo Gaja non guarda la TV, trova ansiogeni i talk show, ma legge e si informa quotidianamente su tutti i giornali. Sul fatto di essere costretto in casa per questo flagello di pandemia da corona virus, non si scompone e accetta le restrizioni senza tanti giri di parole: “resto a casa e basta. Baci se ne davano anche troppi!” E racconta di come un tempo l’uomo salutasse levandosi il cappello e senza sbaciucchiare come in uso ovunque, fino a pochi giorni fa. Addirittura l’enologo storico della cantina - ricorda Angelo - parlava al vino in dialetto locale, dandogli del lei.

angelo gaja con moglie e figli

 

Gaja parla del segreto del successo produttivo - e del conseguente, fortunato richiamo turistico - delle Langhe. Ma anche del concetto di artigianalità, di cui sentiamo spesso parlare. “ L’artigiano è uno specializzato in niente che sa fare un po’ di tutto...sa governare l’imperfezione perché la perfezione non esiste. Un vino troppo lavorato perde l’anima”. Parole sante di Angelo Gaja che potete leggere per esteso nell’intervista di Aldo Cazzullo.

 

 

 

Aldo Cazzullo per il ''Corriere della Sera''

 

Angelo Gaja, lei ha compiuto ottant’anni in giorni drammatici per l’Italia.

«È vero. Ma non ci fermeremo. La mia famiglia e io prendiamo questo impegno: non licenzieremo nessuno dei nostri 160 dipendenti. Anzi, ne assumeremo altri».

Non teme ripercussioni per il made in Italy?

«Non credo ce ne saranno. Certo, per il turismo è una prova durissima. Sa quando ho realizzato che la situazione era davvero seria?».

 

Quando?

«Quando, per la prima volta nella mia vita, ho sentito Oscar Farinetti preoccupato. Io sono meno portato di lui all’entusiasmo».

Ha paura?

«Ho commesso un errore: ho visto qualche talk-show. Sono ansiogeni, soprattutto per me, che non guardo la tv e non vado su Internet. Leggo solo i giornali».

Quanti?

«Nove, dal Fatto quotidiano a Libero. La domenica dieci, con il Sole 24 Ore».

 

Com’è cambiata la sua vita?

«Sto più a casa, come tutti. Cerco di cogliere i lati positivi”.

Ad esempio?

angelo gaja con moglie e figli

«Basta baci. Se ne davano troppi. Due quando ti incontri, due quando ti saluti, e gli svizzeri se ne aspettano tre... Quand’ero ragazzo, in Langa, gli uomini non si baciavano. Si salutavano togliendo il cappello. E si davano del lei. Luigi Rama, il nostro storico enologo, parlava con il vino e gli dava del lei: chiel, monsù...».

 

Altri cambiamenti?

«È il momento di aspettare, non di correre. Abbiamo rinviato i viaggi all’estero. Gaia, la primogenita, ne approfitterà per fare un corso di lingue».

Di inglese?

«Di piemontese. L’inglese lo sa come l’italiano. In azienda una volta si parlava solo dialetto. Uno dei nostri lavoranti si chiamava Fiurin, che sarebbe Fiorellino: nessuno ha mai saputo il suo vero nome. Fumava come un turco ed è campato 95 anni. Con i nostri figli — dopo Gaia sono arrivati Rossana e Giovanni — non abbiamo mai parlato piemontese. Questi giorni sono l’occasione per recuperare».

 

Qual è il suo primo ricordo?

«I partigiani che vengono a chiedere il vino a mio padre Giovanni. E mia nonna Clotilde, francese della Savoia, che mi manda al forno a cuocere il pane ma poi mi vieta di toccarlo; ne avrei mangiato troppo; il pane finiva in tavola solo quando era raffermo. La nonna era saggia e non rideva mai. Guai a scartare le croste della fontina».

In Langa non ci sono gli Antinori e i Frescobaldi, il vino lo fanno i contadini.

«Anche qui la terra apparteneva alle grandi famiglie aristocratiche. Sull’etichetta delle loro bottiglie avevano lo stemma nobiliare, mentre noi “principi della sterminata famiglia dei Della Zolla”, come diceva Brera, avevamo una foglia o un grappolo d’uva. Poi i nobili hanno venduto i terreni per investire nell’industria a Torino. E hanno lasciato spazio a noi artigiani. Avvezzi al lavoro ben fatto, anche a quello fatto con le mani».

 

angelo gaja

Chi è un artigiano?

«Uno specializzato in niente che sa fare un po’ di tutto: il coltivatore, l’enologo, l’amministratore, l’esperto di marketing. E sa governare l’imperfezione; perché la perfezione non esiste. Un vino troppo lavorato perde l’anima».

Ha conosciuto Brera?

«Me lo fece incontrare mio padre, con Gino Veronelli, al ristorante della Certosa di Pavia. Mi rimproverò perché sputavo le ossa delle rane: bisognava mangiare anche quelle, infatti il suo piatto era vuoto. A mio figlio ho fatto conoscere Giorgio Bocca, che era un accanito consumatore dei nostri vini».

 

Pavese e Fenoglio, Ferrero e Miroglio, Slowfood e Eataly, il vino e il tartufo bianco: qual è il segreto delle Langhe?

«La politica. Abbiamo avuto i due padri del liberalismo. Camillo Cavour, che a ventidue anni era già sindaco di Grinzane, ed è il padre del barolo oltre che dell’Italia. E Luigi Einaudi, che a Dogliani dopo la messa teneva una lezione di agraria ai contadini, un’omelia laica sul sagrato, fino a quando donna Ida non lo trascinava via. Ci hanno insegnato che il denaro pubblico è più importante del nostro. Che i doveri vengono prima dei diritti. Che non puoi solo chiedere, ma prima di tutto dare».

 

Però i langaroli sono diversi dai torinesi. I torinesi sono, o meglio erano, inquadrati: militari, preti sociali, operai, comunisti. I langaroli sono irregolari: vignaioli, trifulau, scrittori, suicidi...

«E giocatori d’azzardo. Sia Pavese sia Fenoglio hanno scritto pagine rivelatrici sui “giugarela”, gli scommettitori che si giocavano tutto; e quando avevano perduto la cascina puntavano pure la moglie e la figlia. Dopo la guerra, questo desiderio di rischio, questa energia un po’ disperata l’abbiamo messa nel lavoro. E abbiamo imparato a tenere sempre un po’ di fieno in cascina, per i tempi magri. Come questi che si annunciano».

 

Fenoglio se lo ricorda?

«Veniva a giocare a biliardo all’hotel Savona, e noi ragazzi dovevamo cedere il tavolo agli adulti. Sigaretta sempre in bocca, gran naso, molto rispettato. Parlava sottovoce, e gli amici pendevano dalle sue labbra».

Tra gli amici di Fenoglio c’era Pinot Gallizio, il pittore che fondò l’Internazionale situazionista.

gaja

«Era il mio insegnante di erboristeria all’enologica. Inventò la pittura a metro. Andò da Franco Miroglio a chiedergli quintali di colore per affrescare la Torino-Savona; dovette accontentarsi di dipingere le stoffe Miroglio. Ora è nei grandi musei di arte contemporanea».

 

Era una Langa che parlava piemontese ma pensava in termini globali. I tartufi migliori non venivano regalati a De Gasperi e Togliatti, ma a Eisenhower e Krusciov.

«E si chiamavano tartufi d’Alba solo quelli del basso Piemonte, l’arco che va da Mondovì a Tortona. Dovremmo essere più rigorosi su questo. Proprio per tutelare i nostri prodotti, la nostra identità. E dovremmo evitare effetti speciali, tipo Collisioni, il festival che porta centomila persone a Barolo. In Borgogna non lo farebbero mai, perché tutelano ferocemente il loro territorio».

In quanti Paesi lei esporta il suo barbaresco?

«Centodue. L’85 per cento della produzione finisce all’estero: Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna, Svizzera, Giappone, Russia, Cina... In America sono stato per la prima volta nel 1974: mi spiegarono che il vino italiano doveva costare meno del vino francese più economico. Non potevo accettarlo».

 

Si racconta che Sylvester Stallone al ristorante abbia mandato indietro tre bottiglie Gaja perché sapevano di tappo.

«Voleva far colpo su una signora. Preferisco Robert De Niro, che un mattino è arrivato qui in cantina per una rapida visita ed è rimasto tutto il giorno».

Il cambio climatico ha inciso anche sul suo lavoro?

«Si vendemmia venti giorni prima, talora un mese. D’estate il suolo tende a diventare duro come il cemento, e dobbiamo prenderci cura del lombrico, che è l’architetto della terra: la smuove, la ossigena, la rende viva. Le aree del barolo e del barbaresco restano limitate; ma si piantano vigneti meno pregiati in alta Langa, dove prima attecchiva solo il nocciolo. La terra cambia. Ci parla. E anche noi dobbiamo cambiare».

 

Come?

«Abbiamo un geologo, due botanici, due entomologi».

Cosa fa tutto il giorno l’entomologo?

gaja

«Nelle vigne ci sono parassiti nuovi: alcuni non li abbiamo mai avuti, altri non sopravvivevano agli inverni, che erano più rigidi. Siccome non vogliamo usare pesticidi, fitofarmaci, antiparassitari, agrofarmaci, insomma veleni, li combattiamo creando parassiti dei parassiti. Si chiama lotta biologica: contro la cimice asiatica c’è la vespa giapponese. Ci sono aziende che fanno insetti, come la Biolab di Cesena, che ci fornisce l’anagyrus e il cryptolaemus, i due antagonisti naturali della cocciniglia, che buca le foglie e sporca l’uva. Il professor Andrea Lucchi dell’università di Pisa ci ha insegnato la confusione sessuale».

 

Come funziona?

«Il peggior nemico del nebbiolo, con cui si fanno sia il barolo sia il barbaresco, è la tignola dell’uva: una farfallina che deposita sulla buccia le uova, da cui esce un piccolo verme voracissimo che svuota l’acino. Con la pioggia, l’acino si riempie d’acqua, e si crea una muffa che si trasmette all’intero grappolo».

Il rimedio?

«I giapponesi hanno scoperto che quando la femmina è pronta per essere fecondata libera feromone. Così abbiamo messo nelle vigne diffusori di feromone, che fanno impazzire il maschio e bloccano la proliferazione».

 

Una volta si dava il verderame.

«O l’arseniato di piombo. Era una delle mie mansioni, nei sette anni che mio padre mi fece passare tra i filari, prima di darmi un ruolo in azienda».

Sette anni. Pare una punizione biblica.

«Fu bellissimo. Studiavo economia e commercio all’università, all’inizio non sapevo fare niente. Papà mi affidò al nostro capo-uomo, Gino Cavallo, che per spronarmi mi diceva: “Se il pane avesse due dita di gambe, moriresti di fame”. Mi insegnò a innestare, concimare, zappare. Zappare bene è difficilissimo».

 

Davvero?

«Gino Cavallo pretendeva che si eliminassero tutte le erbacce senza strapparle con le mani e senza sfiorare la pianta. Allora dicevano: se non vai a scuola ti mando a zappare. Oggi, se vuoi zappare, devi andare a scuola».

angelo gaja

Cosa votava nella Prima Repubblica?

«Pannella».

E adesso?

«Conte non mi dispiace. Mattarella è straordinario. Renzi non ha avuto solo demeriti».

E Salvini?

«I pieni poteri in Italia non portano bene».

 

Lei crede in Dio?

«Chi lavora sotto il cielo, e ha come socio il clima, non può non credere a qualcosa di soprannaturale che ci protegge. Sono cresciuto ai tempi delle processioni: per la pioggia, contro la grandine...».

E l’aldilà?

«Anche qui: chi è a contatto con la natura sa che la vita è un ciclo: scompare e riappare. Credo che ci possa essere un domani. Non so come sia. Ma non mi spaventa».

 

Ultimi Dagoreport

bergoglio papa francesco salma

DAGOREPORT - QUANDO È MORTO DAVVERO PAPA FRANCESCO? ALL’ALBA DI LUNEDÌ, COME DA VERSIONE UFFICIALE, O NEL POMERIGGIO DI DOMENICA? - NELLA FOTO DELLA SALMA, SI NOTA SUL VOLTO UNA MACCHIA SCURA CHE POTREBBE ESSERE UNA RACCOLTA DI SANGUE IPOSTATICA, COME ACCADE NELLE PERSONE MORTE GIÀ DA ALCUNE ORE - I VERTICI DELLA CHIESA POTREBBERO AVER DECISO DI “POSTICIPARE” LA DATA DELLA MORTE DEL SANTO PADRE, PER EVITARE DI CONNOTARE LA PASQUA, CHE CELEBRA IL PASSAGGIO DA MORTE A VITA DI GESÙ, CON UN EVENTO LUTTUOSO - UN PICCOLO SLITTAMENTO TEMPORALE CHE NULLA TOGLIE ALLA FORZA DEL MAGISTERO DI FRANCESCO, TERMINATO COME LUI VOLEVA: RIABBRACCIANDO NEL GIORNO DELLA RESURREZIONE PASQUALE IL SUO GREGGE IN PIAZZA SAN PIETRO. A QUEL PUNTO, LA MISSIONE DEL “PASTORE VENUTO DALLA FINE DEL MONDO” ERA GIUNTA AL TERMINE...

andrea orcel castagna fazzolari meloni milleri caltagirone giuseppe giovanbattista giorgia giancarlo giorgetti

DAGOREPORT – MA ‘STI “GENI” ALLA FIAMMA DI PALAZZO CHIGI PENSANO DAVVERO DI GOVERNARE IL PAESE DEI CAMPANELLI? E COME SI FA A NON SCRIVERE CHE DIETRO L’APPLICAZIONE DEL GOLDEN POWER ALL’UNICREDIT, C’È SOLO L’ESPLICITA VOLONTÀ DEL GOVERNO DEI MELONI MARCI DI MANGANELLARE ANDREA ORCEL, IL BANCHIERE CHE HA OSATO METTERSI DI TRAVERSO AL LORO PIANO “A NOI LE GENERALI!”? - UNA PROVA DELL’ATTO ‘’DOLOSO’’? IL GOLDEN POWER, UNO STRUMENTO CHE NASCE PER PROTEGGERE GLI INTERESSI NAZIONALI DALLE MIRE ESTERE, È STATO APPLICATO ALL’OPERAZIONE ITALIANISSIMA UNICREDIT-BPM, EVITANDO DI UTILIZZARLO ALLE ALTRE OPERAZIONI BANCARIE IN CORSO: MPS-MEDIOBANCA, BPM-ANIMA E BPER-SONDRIO - ORA UNICREDIT PUÒ ANCHE AVERE TUTTE LE RAGIONI DEL MONDO. MA NON SERVE A UN CAZZO AVERE RAGIONE QUANDO IL TUO CEO ORCEL STA SEDUTO DALLA PARTE SBAGLIATA DEL POTERE…

jd vance papa francesco bergoglio

PAPA FRANCESCO NON VOLEVA INCONTRARE JD VANCE E HA MANDATO AVANTI PAROLIN – BERGOGLIO HA CAMBIATO IDEA SOLO DOPO L’INCONTRO DEL NUMERO DUE DI TRUMP CON IL SEGRETARIO DI STATO: VANCE SI È MOSTRATO RICETTIVO DI FRONTE AL LUNGO ELENCO DI DOSSIER SU CUI LA CHIESA È AGLI ANTIPODI DELL’AMMINISTRAZIONE AMERICANA, E HA PROMESSO DI COINVOLGERE IL TYCOON. A QUEL PUNTO IL PONTEFICE SI È CONVINTO E HA ACCONSENTITO AL BREVE FACCIA A FACCIA – SUI SOCIAL SI SPRECANO POST E MEME SULLA COINCIDENZA TRA LA VISITA E LA MORTE DEL PAPA: “È SOPRAVVISSUTO A UNA POLMONITE BILATERALE, MA NON È RIUSCITO A SOPRAVVIVERE AL FETORE DELL’AUTORITARISMO TEOCRATICO” – I MEME

jd vance roma giorgia meloni

DAGOREPORT – LA VISITA DEL SUPER CAFONE VANCE A ROMA HA VISTO UN SISTEMA DI SICUREZZA CHE IN CITTÀ NON VENIVA ATTUATO DAI TEMPI DEL RAPIMENTO MORO. MOLTO PIÙ STRINGENTE DI QUANTO È ACCADUTO PER LE VISITE DI BUSH, OBAMA O BIDEN. CON EPISODI AL LIMITE DELLA LEGGE (O OLTRE), COME QUELLO DEGLI ABITANTI DI VIA DELLE TRE MADONNE (ATTACCATA A VILLA TAVERNA, DOVE HA SOGGIORNATO IL BUZZURRO), DOVE VIVONO DA CALTAGIRONE AD ALFANO FINO AD ABETE, LETTERALMENTE “SEQUESTRATI” PER QUATTRO GIORNI – MA PERCHÉ TUTTO QUESTO? FORSE LA SORA “GEORGIA” VOLEVA FAR VEDERE AGLI AMICI AMERICANI QUANTO È TOSTA? AH, SAPERLO...

giovanbattista fazzolari giorgia meloni donald trump emmanuel macron pedro sanz merz tusk ursula von der leyen

SE LA DIPLOMAZIA DEGLI STATI UNITI, DALL’UCRAINA ALL’IRAN, TRUMP L’HA AFFIDATA NELLE MANI DI UN AMICO IMMOBILIARISTA, STEVE WITKOFF, DALL’ALTRA PARTE DELL’OCEANO, MELONI AVEVA GIÀ ANTICIPATO IL CALIGOLA DAZISTA CON LA NOMINA DI FAZZOLARI: L’EX DIRIGENTE DI SECONDA FASCIA DELLA REGIONE LAZIO (2018) CHE GESTISCE A PALAZZO CHIGI SUPERPOTERI MA SEMPRE LONTANO DALLA VANITÀ MEDIATICA. FINO A IERI: RINGALLUZZITO DAL FATTO CHE LA “GABBIANELLA” DI COLLE OPPIO SIA RITORNATA DA WASHINGTON SENZA GLI OCCHI NERI (COME ZELENSKY) E UN DITO AL CULO (COME NETANYAHU), L’EMINENZA NERA DELLA FIAMMA È ARRIVATO A PRENDERE IL POSTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, L’IMBELLE ANTONIO TAJANI: “IL VERTICE UE-USA POTREBBE TENERSI A ROMA, A MAGGIO, CHE DOVREBBE ESSERE ALLARGATO ANCHE AGLI ALTRI 27 LEADER DEGLI STATI UE’’ – PURTROPPO, UN VERTICE A ROMA CONVINCE DAVVERO POCO FRANCIA, GERMANIA, POLONIA E SPAGNA. PER DI PIÙ L’IDEA CHE SIA LA MELONI, OSSIA LA PIÙ TRUMPIANA DEI LEADER EUROPEI, A GESTIRE L’EVENTO NON LI PERSUADE AFFATTO…

patrizia scurti giorgia meloni giuseppe napoli emilio scalfarotto giovanbattista fazzolari

QUANDO C’È LA FIAMMA, LA COMPETENZA NON SERVE NÉ APPARECCHIA. ET VOILÀ!, CHI SBUCA CONSIGLIERE NEL CDA DI FINCANTIERI? EMILIO SCALFAROTTO! L’EX “GABBIANO” DI COLLE OPPIO VOLATO NEL 2018 A FIUMICINO COME ASSESSORE ALLA GIOVENTÙ, NON VI DIRÀ NULLA. MA DAL 2022 SCALFAROTTO HA FATTO IL BOTTO, DIVENTANDO CAPO SEGRETERIA DI FAZZOLARI. “È L’UNICO DI CUI SI FIDA” NELLA GESTIONE DI DOSSIER E NOMINE IL DOMINUS DI PALAZZO CHIGI CHE RISOLVE (“ME LA VEDO IO!”) PROBLEMI E INSIDIE DELLA DUCETTA - IL POTERE ALLA FIAMMA SI TIENE TUTTO IN FAMIGLIA: OLTRE A SCALFAROTTO, LAVORA PER FAZZO COME SEGRETARIA PARTICOLARE, LA NIPOTE DI PATRIZIA SCURTI, MENTRE IL MARITO DELLA POTENTISSIMA SEGRETARIA-OMBRA, GIUSEPPE NAPOLI, È UN AGENTE AISI CHE PRESIEDE ALLA SCORTA DELLA PREMIER…