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IL MISTERO SULLA MORTE DI VITTORIO CARITÀ, RE DEI DANDY NAPOLETANI - ACCANTO AL CORPO TRACCE DI SOSTANZE STUPEFACENTI - PARTE DELLA GIOVINEZZA L’HA PASSATA A SAN PATRIGNANO, AL CENTRALINO - CON VINCENZO MUCCIOLI AVEVA UN RAPPORTO ASPRO: TROPPO SENSIBILE LUI, TROPPO DURO IL PATRON DELLA COMUNITÀ - ERA DIVENTATO UNA BANDIERA DEI MOVIMENTI GAY PRIDE E PAOLO SORRENTINO AVREBBE VOLUTO COINVOLGERLO NEL CAST DE “LA GRANDE BELLEZZA” - “ANCHE SE DA GIOVANE MI HAN FATTO MALE, MI HAN STUPRATO, BRUTALIZZATO E VENDUTO IO RESTO UN UOMO”

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COME È MORTO IL RE DEI DANDY DI NAPOLI? - IL 59ENNE VITTORIO CARITÀ È STATO TROVATO RIVERSO IN UN LAGO DI SANGUE NELLA SUA CASA AI QUARTIERI SPAGNOLI: IL SUO CORPO È STATO POSTO SOTTO SEQUESTRO E LA PROCURA HA DISPOSTO L’AUTOPSIA, SI PARLA DI ARRESTO CARDIACO MA ANCHE DI UN'IPOTETICA AGGRESSIONE - INCREDULITÀ E DOLORE A CHIAIA E A POSILLIPO, DOVE L'ECCENTRICO PERSONAGGIO SI MUOVEVA RACCONTANDO SUI SOCIAL IL SUO MALE DI VIVERE...

https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/come-morto-re-dandy-napoli-nbsp-59enne-vittorio-278260.htm

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Anna Paola Merone per il “Corriere della Sera”

 

Sulla morte di Vittorio Carità, a soli 59 anni, restano in sospeso molte domande. Niente è davvero come sembra in questa sua improvvisa fine e di certo c'è solo che quando i Vigili del fuoco hanno sfondato la porta della sua casa lo hanno trovato senza vita con molto sangue intorno. La morte sarebbe stata determinata da un arresto cardiaco, ma accanto al corpo del dandy napoletano sono state trovate anche tracce di sostanze stupefacenti.

 

Le ipotesi investigative restano tante - anche se l'idea di una aggressione sembrerebbe accantonata - e nei prossimi giorni saranno eseguiti rilievi nella casa e sul suo cellulare, posti sotto sequestro. La Procura ha disposto intanto per oggi l'autopsia e l'esame tossicologico. Una scomparsa ammantata dunque di mistero, come i pensieri più profondi di un personaggio complesso che ha trascorso parte della sua giovinezza a San Patrignano.

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Era al centralino, per la sua capacità comunicativa, e con Vincenzo Muccioli aveva un rapporto aspro. Troppo sensibile lui, troppo duro il patron della comunità dove Vittorio era arrivato da un nobile appartamento della collina di Posillipo con il suo guardaroba di abiti impeccabili, le sue sciarpe di seta, i gioielli e una fragilità palpabile. Era un uomo bellissimo, cui piaceva cedere a vezzi femminili: lo smalto nero Chanel sulle unghie, a enfatizzare le mani lunghe e nervose, e i tacchi alti sotto lo smoking di sartoria.

 

Vittorio si muoveva fra i quartieri più chic di Napoli con nonchalance. Ma era a suo agio anche a Scampia e alla Sanità. E ai Quartieri Spagnoli, dove più di recente si era trasferito, richiamando simpatie e sguardi curiosi. L'eleganza insolente e decisa, lo sguardo ironico dietro gli occhiali: aveva una immagine da dandy sfacciato e capriccioso, era l'anima delle feste più belle.

 

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Ma dentro aveva demoni che lo divoravano: un passato di dipendenze affrontate in comunità per quasi cinque anni, sopraffazioni, violenze, battaglie per affermarsi. A Napoli, quando era ragazzino, era difficilissimo rivendicare e vivere una sessualità personale e non omologata. E le cose nel tempo non erano cambiate. Era diventato una bandiera dei movimenti gay pride ma era rimasto se stesso, avvolto in un grumo di solida infelicità. Che cercava di stemperare fra albe, tramonti, un lungo percorso di analisi e la pratica del buddismo. Vittorio amava Stromboli. Sulla spiaggia nera Paolo Sorrentino lo aveva notato e avrebbe voluto coinvolgerlo nel cast de La grande bellezza .

 

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Ma lui, paralizzato dalla sua fragilità, a Roma aveva preferito non presentarsi. Abbigliato come una diva d'altri tempi o un impeccabile gentiluomo, si concedeva giornate in spiaggia e serate fra party e locali. Era presentissimo anche sui social e in ogni luogo, reale o virtuale, lasciava una impronta forte. Nei suoi commenti al vetriolo, o entusiastici, mescolava italiano, dialetto e un turpiloquio, declinato dalla sua voce roca, che era uno schiaffo e una carezza insieme.

 

Su Facebook raccontava in post irriverenti e graffianti il male di vivere, le sue avventure, i brividi di un erotismo mediterraneo e trasversale. Era una bandiera che sventolava anche per chi non aveva il suo coraggio. Un riferimento oltre le generazioni e gli stereotipi. «Io son restato un Uomo buono - scriveva su Facebook - e non ho vergogna di dire che piango perché ancora credo nell'Amore... anche se da giovane mi han fatto male, mi han stuprato, brutalizzato e venduto... Io resto un Uomo, aggrappato a quel che voglio Essere, a prescindere da quello che fanno gli altri».

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