made in bangladesh fast fashion

DI TUTTA L’ERBA UN FASHION – A 6 ANNI DALLA STRAGE DEL RANA PLAZA, DOVE MORIRONO PIÙ DI MILLE PERSONE, L’INDUSTRIA DELLA MODA CONTINUA AD AFFIDARSI A MANODOPERA A BASSO COSTO PER SODDISFARE LA DOMANDA DI ABITI ECONOMICI E, AL DI LÀ DEGLI SPOT LACRIMEVOLI, SE NE FOTTE DEI DIRITTI UMANI – UN ESEMPIO? LE PERSONE CHE PRODUCONO LE NOSTRE MAGLIETTE IN BANGLADESH PER RAGGIUNGERE LA SUSSISTENZA AVREBBERO BISOGNO DI UN AUMENTO DELL’80%...

 

 

crollo del rana plaza 3

Marianna Tognini per https://it.businessinsider.com

 

Dalla tragedia del Rana Plaza avvenuta il 23 aprile 2013 in Bangladesh, in cui morirono più di mille persone, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. Il crollo dell’edificio commerciale di otto piani è a oggi considerato il più grave incidente mortale avvenuto in una fabbrica tessile nella storia, così come il più letale cedimento strutturale accidentale nella storia umana moderna.

 

made in bangladesh 3

L’unico – piccolissimo – risvolto positivo della catastrofe fu che allora molti brand si sentirono in dovere di mettere questioni come il trattamento equo dei lavoratori al centro della propria conversazione col pubblico, ma a sei anni di distanza le pratiche di determinazione dei salari rimangono opache, ostacolando gli sforzi per valutare le retribuzioni o per verificare se i marchi stiano effettivamente mantenendo le promesse di aumentarli.

i costi di una maglietta

 

In generale, l’industria nel suo complesso rimane divisa su questioni chiave, come la definizione di un salario di sussistenza e delle figure responsabili di garantire che tale standard venga rispettato. Lo scenario attuale resta purtroppo scoraggiante: sebbene ci sia stato un incremento graduale degli stipendi in molti Paesi manifatturieri, l’industria è ancora alimentata dal lavoro di milioni di lavoratori, per lo più giovani e donne, non pagati abbastanza per provvedere a se stessi e alle loro famiglie.

made in bangladesh 2

 

Una ricerca condotta nel 2018 dalla Fair Labor Association ha rilevato che un lavoratore medio in Bangladesh avrebbe bisogno di un aumento dell’80% per iniziare a guadagnare uno stipendio vicino al compenso in grado di garantire la sussistenza. Il recente aumento del salario minimo del Paese per i lavoratori del settore tessile a 8mila taka al mese (circa 95 dollari) non ha affatto colmato il divario, soprattutto se si considera che il più basso indice di riferimento salariale considerato dalla Fair Labor Association era di 13.620 taka al mese.

made in bangladesh 1

 

«L’industria della moda parla tanto, ma a fatti dimostra di non essere seriamente intenzionata ad attuare politiche che prevedano un salario dignitoso», ha dichiarato Dominique Muller, direttore di Labour Behind the Label a Business of Fashion. Semplificando al massimo la questione, occorrono soldi per risolvere il problema, ma in un mondo dominato dal fast fashion l’ipotesi non risulta per niente stimolante.

made in bangladesh 4

 

Durante a sua rapida ascesa avvenuta negli ultimi vent’anni, il fast fashion si è affidato a manodopera a basso costo per soddisfare la crescente domanda di abiti economici e di tendenza: secondo un rapporto di McKinsey & Company, tra il 2000 e il 2014 la produzione globale di abbigliamento è raddoppiata, e il numero di capi acquistati ogni anno dal consumatore medio è aumentato del 60% circa. Allo stesso tempo, il proliferare degli online store ha frenato i profitti di molti rivenditori tradizionali, determinando così la famigerata apocalisse del retail.

crollo del rana plaza 2

 

La concorrenza tra i brand è più che mai agguerrita, una concorrenza che li vede tutti affannatissimi nel tentativo di soddisfare la domanda dei consumatori che pretendono un accesso istantaneo ed economico all’ultima tendenza vista su Instagram. Il risultato? I lavoratori che stanno alla base della catena produttiva subiscono una pressione maggiore per realizzare abiti a un ritmo più veloce e a costi inferiori.

 

crollo del rana plaza 1

In un panorama dominato da prezzi bassi e dalla logica del profitto, alcune aziende hanno comunque raddoppiato il proprio impegno per cambiare lo status quo. Diciannove importanti brand hanno collaborato con IndustriALL Global Union – federazione sindacale globale – per creare ACT, Action, Collaboration, Transformation, un accordo condiviso che mira a ottenere salari di sussistenza nel settore dell’abbigliamento, tessile e calzaturiero attraverso la contrattazione collettiva legata alle pratiche di acquisto del marchio. Aziende come H&M, Zara, Calvin Klein e Tommy Hilfiger si sono così impegnate a utilizzare il loro potere d’acquisto per migliorare le condizioni di lavoro e promuovere accordi salariali a livello industriale: l’iniziativa però non è che agli albori, e c’è sicuramente bisogno che altri salgano a bordo affinché un netto miglioramento risulti visibile.

l'industria della moda e i diritti umani

 

Dall’esterno la situazione rimane quella del cane che si morde la coda: i marchi non possono aumentare unilateralmente gli stipendi perché di solito non possiedono le fabbriche che producono i loro vestiti, e anche i brand più grandi rappresentano spesso solo una piccola parte della base clienti di un produttore. Infine, nessuno è intenzionato a pagare di più per poi finire fagocitato da una concorrenza con meno scrupoli. Tradotto, non si tratta di un’azione che la singola azienda può decidere o impostare da sola, ma di una decisione che l’industria della moda in toto deve prendere, anche a livello nazionale.

crollo del rana plaza 6

 

Pure in Paesi con regole e regolamentazioni in merito ai salari apparentemente più solide, si verificano abusi. I recenti scandali che hanno avuto luogo nel Regno Unito e in Italia – dove le lavoratrici pugliesi cucivano a casa abiti e accessori per alcuni dei nomi più noti nel settore del lusso a un euro all’ora – hanno messo in evidenza un’oscura economia di lavoratori dell’abbigliamento mal pagati che continua a operare sotto i radar.

Stando a un rapporto parlamentare del Regno Unito pubblicato all’inizio di quest’anno, circa ventiquattro brand – tra cui Valentino, Versace e Salvatore Ferragamo – non erano conformi al Modern Slavery Act in vigore nel Paese.

made in bangladesh 2

 

Il gruppo di legislatori interpartitico ha inoltre criticato le pratiche di sfruttamento dei retailer del fast fashion, rei di non aver intrapreso iniziative per migliorare i diritti dei lavoratori, richiamando società come Boohoo Group e Amazon UK. Mentre sia i big del lusso che Amazon UK non hanno commentato la cosa, Boohoo ha affermato di stare rivedendo la propria posizione sull’adesione alla Ethical Trading Initiative e sul riconoscimento dei sindacati, salvo poi ritrattare tutto lo scorso maggio.

 

made in bangladesh 3

Per poter trovare un punto d’incontro tra il sistema-moda e i diritti dei lavoratori, i marchi dovrebbero necessariamente ripensare le modalità con cui avvengono le negoziazioni con le fabbriche produttrici e la gestione delle catene di approvvigionamento; a governi e produttori toccherebbe convincersi del fatto che il settore sarà ancora in grado di competere a livello globale anche se i salari saranno aumentati e – va da sé – ai consumatori spetterebbe accettare prezzi più alti. Senza girarci troppo intorno, sarebbe necessario riplasmare un modello globale che da un lato ha garantito a parecchie persone ingenti guadagni e dall’altro ha ‘democratizzato’ la moda per una grossa fetta di consumatori.

 

crollo del rana plaza 4

Vero è che i brand stanno affrontando una crescente pressione per comprendere e mappare correttamente le loro catene di approvvigionamento, e un numero sempre crescente di figure interne è specializzato nel cercare pratiche di acquisto migliori. Marchi direct-to-consumer come Everlane hanno dimostrato che perseguire la trasparenza lungo tutta la supply chain – fino a farla diventare un valore identitario – aiuta a conquistare clienti, ma l’esempio del retailer californiano resta sfortunatamente un caso isolato.

made in bangladesh 1

 

La catena d’approvvigionamento della moda è estesa e complessa, e stabilire con esattezza dove vengono fatti in concreto i vestiti può rivelarsi complicato. I dati sulle retribuzioni dei lavoratori richiedono inoltre di scavare attraverso un altro strato di opacità, e per i brand è difficile capire in che misura stanno influenzando i salari quando negoziano i prezzi. Se si guarda al Fashion Transparency Index di Fashion Revolution, che classifica le aziende in base alla loro divulgazione pubblica, meno del 20% dei duecento marchi recensiti rivela le proprie strategie per raggiungere salari di sussistenza lungo la catena di approvvigionamento, e solo otto di questi segnalano gli annuali progressi per conquistare l’agognato obiettivo.

 

I dati confermano che il grosso problema del settore è la mancanza di trasparenza, che rende impossibile nella pratica – tanto per il pubblico quanto per i brand – conoscere quale esatta parte del prezzo pagato per un abito è attribuibile al lavoro di chi lo confeziona.

crollo del rana plaza 5

 

Nonostante alcune aziende promuovano lodevoli campagne di sensibilizzazione, la macchina messa in moto dal fast fashion non perdona e continua a esigere costi sempre più bassi: non di rado i produttori hanno sottolineato l’avversione dei brand verso un incremento dei prezzi per coprire l’aumento dei salari minimi, avversione che porta sovente gli stessi produttori ad accettare prezzi incapaci di coprire i costi di produzione.

 

made in bangladesh

Come mostra una ricerca del Center for Global Workers’ Rights della Pennsylvania State University, nel 2013 il prezzo pagato dalle aziende leader alle fabbriche di fornitori in Bangladesh è diminuito del 13% circa dopo disastro del Rana Plaza, sebbene nel medesimo anno il Paese avesse aumentato il livello minimo dei salari.

 

Occorre considerare pure un ulteriore capitolo, relativo ai brand che hanno riconosciuto il problema e si sono impegnati a cambiare le pratiche d’acquisto, ma che poi non hanno rispettato tali impegni. H&M aveva promosso l’iniziativa Fair Living Wage dal 2013 al 2018, promettendo salari dignitosi e facendo concretamente piccoli passi avanti, ma fallendo rispetto agli intenti prefissati e suscitando non poche polemiche. Una revisione dei progressi dell’azienda pubblicata dalla Ethical Trading Initiative lo scorso anno ha rilevato che, anche negli stabilimenti dei fornitori più efficienti del gigante del fast fashion, i livelli salariali dei lavoratori erano troppo bassi per coprire il costo della vita. H&M ha replicato riconoscendo che c’è moltissimo lavoro da fare ed evidenziando come la sua  adesione ad ACT sia un segno dell’impegno costante verso una soluzione sistematica a lungo termine.

made in bangladesh 1

I membri di ACT hanno firmato un memorandum d’intesa, assumendosi la responsabilità di mutare le pratiche d’acquisto per elevare le condizioni di lavoro e usare il loro potere d’acquisto come leva per incentivare gli accordi salariali collettivi a livello di settore nei Paesi di provenienza.

 

Anche qui però il progresso è incerto, ostacolato dalla politica e dal numero limitato di aziende attualmente aderenti all’iniziativa: solo lo scorso aprile i sindacati cambogiani si sono fatti sentire con brand come Gap, Adidas e Nike, avvertendoli circa il loro mancato impegno nei confronti di ACT, che sta mettendo a repentaglio i negoziati per aumentare i salari e migliorare le condizioni di lavoro.

protesta delle donne bengalesi

Adidas e Nike hanno dichiarato di sostenere gli sforzi per garantire che i lavoratori ricevano un salario di sussistenza e di collaborare attivamente con fornitori e partner industriali per migliorare i compensi; Gap non ha invece rilasciato commenti in merito.

 

Che i brand abbiano un’enorme responsabilità all’interno dell’equazione è indubbio, ma tralasciare o limitare quella del consumatore finale rischia di essere un errore fatale. Cosa accadrebbe se ci riuscissimo a svincolare dalla logica ‘lo vedo-lo compro’ a cui ci hanno abituati Instagram e il suo plotone di influencer? Come reagirebbero gli esponenti del fast fashion se le persone preferissero investire su meno capi ma di miglior fattura, duraturi e prodotti nel pieno rispetto del lavoro altrui, nonché dell’ambiente?

 

rana plaza ground

Il boom del mercato second hand – che negli Stati Uniti oggi vale 24 miliardi di dollari, ma nel 2023 toccherà i 51 miliardi – costituisce già di per sé una risposta più che valida all’insostenibilità dell’attuale industria della moda, ma si è ancora troppo lontani dallo sviluppo di una maggiore coscienza collettiva capace di guidare le scelte di acquisto e di consumo.

Il punto di partenza passa innegabilmente dalla facoltà di porsi domande giuste e dalla volontà di trovare risposte oggettive, anche se scomode e spiacevoli, in qualsiasi situazione. Pure – e soprattutto – davanti a una maglietta di cotone venduta a cinque euro.

Ultimi Dagoreport

bergoglio papa francesco salma

DAGOREPORT - QUANDO È MORTO DAVVERO PAPA FRANCESCO? ALL’ALBA DI LUNEDÌ, COME DA VERSIONE UFFICIALE, O NEL POMERIGGIO DI DOMENICA? - NELLA FOTO DELLA SALMA, SI NOTA SUL VOLTO UNA MACCHIA SCURA CHE POTREBBE ESSERE UNA RACCOLTA DI SANGUE IPOSTATICA, COME ACCADE NELLE PERSONE MORTE GIÀ DA ALCUNE ORE - I VERTICI DELLA CHIESA POTREBBERO AVER DECISO DI “POSTICIPARE” LA DATA DELLA MORTE DEL SANTO PADRE, PER EVITARE DI CONNOTARE LA PASQUA, CHE CELEBRA IL PASSAGGIO DA MORTE A VITA DI GESÙ, CON UN EVENTO LUTTUOSO - UN PICCOLO SLITTAMENTO TEMPORALE CHE NULLA TOGLIE ALLA FORZA DEL MAGISTERO DI FRANCESCO, TERMINATO COME LUI VOLEVA: RIABBRACCIANDO NEL GIORNO DELLA RESURREZIONE PASQUALE IL SUO GREGGE IN PIAZZA SAN PIETRO. A QUEL PUNTO, LA MISSIONE DEL “PASTORE VENUTO DALLA FINE DEL MONDO” ERA GIUNTA AL TERMINE...

andrea orcel castagna fazzolari meloni milleri caltagirone giuseppe giovanbattista giorgia giancarlo giorgetti

DAGOREPORT – MA ‘STI “GENI” ALLA FIAMMA DI PALAZZO CHIGI PENSANO DAVVERO DI GOVERNARE IL PAESE DEI CAMPANELLI? E COME SI FA A NON SCRIVERE CHE DIETRO L’APPLICAZIONE DEL GOLDEN POWER ALL’UNICREDIT, C’È SOLO L’ESPLICITA VOLONTÀ DEL GOVERNO DEI MELONI MARCI DI MANGANELLARE ANDREA ORCEL, IL BANCHIERE CHE HA OSATO METTERSI DI TRAVERSO AL LORO PIANO “A NOI LE GENERALI!”? - UNA PROVA DELL’ATTO ‘’DOLOSO’’? IL GOLDEN POWER, UNO STRUMENTO CHE NASCE PER PROTEGGERE GLI INTERESSI NAZIONALI DALLE MIRE ESTERE, È STATO APPLICATO ALL’OPERAZIONE ITALIANISSIMA UNICREDIT-BPM, EVITANDO DI UTILIZZARLO ALLE ALTRE OPERAZIONI BANCARIE IN CORSO: MPS-MEDIOBANCA, BPM-ANIMA E BPER-SONDRIO - ORA UNICREDIT PUÒ ANCHE AVERE TUTTE LE RAGIONI DEL MONDO. MA NON SERVE A UN CAZZO AVERE RAGIONE QUANDO IL TUO CEO ORCEL STA SEDUTO DALLA PARTE SBAGLIATA DEL POTERE…

jd vance papa francesco bergoglio

PAPA FRANCESCO NON VOLEVA INCONTRARE JD VANCE E HA MANDATO AVANTI PAROLIN – BERGOGLIO HA CAMBIATO IDEA SOLO DOPO L’INCONTRO DEL NUMERO DUE DI TRUMP CON IL SEGRETARIO DI STATO: VANCE SI È MOSTRATO RICETTIVO DI FRONTE AL LUNGO ELENCO DI DOSSIER SU CUI LA CHIESA È AGLI ANTIPODI DELL’AMMINISTRAZIONE AMERICANA, E HA PROMESSO DI COINVOLGERE IL TYCOON. A QUEL PUNTO IL PONTEFICE SI È CONVINTO E HA ACCONSENTITO AL BREVE FACCIA A FACCIA – SUI SOCIAL SI SPRECANO POST E MEME SULLA COINCIDENZA TRA LA VISITA E LA MORTE DEL PAPA: “È SOPRAVVISSUTO A UNA POLMONITE BILATERALE, MA NON È RIUSCITO A SOPRAVVIVERE AL FETORE DELL’AUTORITARISMO TEOCRATICO” – I MEME

jd vance roma giorgia meloni

DAGOREPORT – LA VISITA DEL SUPER CAFONE VANCE A ROMA HA VISTO UN SISTEMA DI SICUREZZA CHE IN CITTÀ NON VENIVA ATTUATO DAI TEMPI DEL RAPIMENTO MORO. MOLTO PIÙ STRINGENTE DI QUANTO È ACCADUTO PER LE VISITE DI BUSH, OBAMA O BIDEN. CON EPISODI AL LIMITE DELLA LEGGE (O OLTRE), COME QUELLO DEGLI ABITANTI DI VIA DELLE TRE MADONNE (ATTACCATA A VILLA TAVERNA, DOVE HA SOGGIORNATO IL BUZZURRO), DOVE VIVONO DA CALTAGIRONE AD ALFANO FINO AD ABETE, LETTERALMENTE “SEQUESTRATI” PER QUATTRO GIORNI – MA PERCHÉ TUTTO QUESTO? FORSE LA SORA “GEORGIA” VOLEVA FAR VEDERE AGLI AMICI AMERICANI QUANTO È TOSTA? AH, SAPERLO...

giovanbattista fazzolari giorgia meloni donald trump emmanuel macron pedro sanz merz tusk ursula von der leyen

SE LA DIPLOMAZIA DEGLI STATI UNITI, DALL’UCRAINA ALL’IRAN, TRUMP L’HA AFFIDATA NELLE MANI DI UN AMICO IMMOBILIARISTA, STEVE WITKOFF, DALL’ALTRA PARTE DELL’OCEANO, MELONI AVEVA GIÀ ANTICIPATO IL CALIGOLA DAZISTA CON LA NOMINA DI FAZZOLARI: L’EX DIRIGENTE DI SECONDA FASCIA DELLA REGIONE LAZIO (2018) CHE GESTISCE A PALAZZO CHIGI SUPERPOTERI MA SEMPRE LONTANO DALLA VANITÀ MEDIATICA. FINO A IERI: RINGALLUZZITO DAL FATTO CHE LA “GABBIANELLA” DI COLLE OPPIO SIA RITORNATA DA WASHINGTON SENZA GLI OCCHI NERI (COME ZELENSKY) E UN DITO AL CULO (COME NETANYAHU), L’EMINENZA NERA DELLA FIAMMA È ARRIVATO A PRENDERE IL POSTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, L’IMBELLE ANTONIO TAJANI: “IL VERTICE UE-USA POTREBBE TENERSI A ROMA, A MAGGIO, CHE DOVREBBE ESSERE ALLARGATO ANCHE AGLI ALTRI 27 LEADER DEGLI STATI UE’’ – PURTROPPO, UN VERTICE A ROMA CONVINCE DAVVERO POCO FRANCIA, GERMANIA, POLONIA E SPAGNA. PER DI PIÙ L’IDEA CHE SIA LA MELONI, OSSIA LA PIÙ TRUMPIANA DEI LEADER EUROPEI, A GESTIRE L’EVENTO NON LI PERSUADE AFFATTO…

patrizia scurti giorgia meloni giuseppe napoli emilio scalfarotto giovanbattista fazzolari

QUANDO C’È LA FIAMMA, LA COMPETENZA NON SERVE NÉ APPARECCHIA. ET VOILÀ!, CHI SBUCA CONSIGLIERE NEL CDA DI FINCANTIERI? EMILIO SCALFAROTTO! L’EX “GABBIANO” DI COLLE OPPIO VOLATO NEL 2018 A FIUMICINO COME ASSESSORE ALLA GIOVENTÙ, NON VI DIRÀ NULLA. MA DAL 2022 SCALFAROTTO HA FATTO IL BOTTO, DIVENTANDO CAPO SEGRETERIA DI FAZZOLARI. “È L’UNICO DI CUI SI FIDA” NELLA GESTIONE DI DOSSIER E NOMINE IL DOMINUS DI PALAZZO CHIGI CHE RISOLVE (“ME LA VEDO IO!”) PROBLEMI E INSIDIE DELLA DUCETTA - IL POTERE ALLA FIAMMA SI TIENE TUTTO IN FAMIGLIA: OLTRE A SCALFAROTTO, LAVORA PER FAZZO COME SEGRETARIA PARTICOLARE, LA NIPOTE DI PATRIZIA SCURTI, MENTRE IL MARITO DELLA POTENTISSIMA SEGRETARIA-OMBRA, GIUSEPPE NAPOLI, È UN AGENTE AISI CHE PRESIEDE ALLA SCORTA DELLA PREMIER…