NESSUNA CONCORDIA - TRA DE FALCO E SCHETTINO È SEMPRE RISSA, TRA LE DENUNCE DI NON AVER FATTO NULLA E GLI SFOTTÒ "DE FALCO BRAVO A PONTIFICARE"

Grazia Longo per "La Stampa"

C'è poco da fare. I loro destini si incrociano per la seconda volta e per la seconda volta rimangono distanti anni luce. La notte del naufragio della Costa Concordia, il 13 gennaio 2012 davanti all'isola del Giglio, il comandante della nave Francesco Schettino e il comandante operativo della capitaneria di Livorno, Gregorio De Falco, si incontrarono, o meglio, si scontrarono solo per telefono. E fecero scintille: quell'ordine impartito da De Falco a Schettino, «salga a bordo c...», fece il giro del mondo. Ma soprattutto rivelò due diversi modi di affrontare l'emergenza e la tragedia che costò la vita a 32 persone.

Una distanza di vedute e di stile replicata ieri nel primo faccia a faccia, all'udienza del processo che vede Schettino imputato, tra le altre cose, per omicidio colposo plurimo e abbandono della nave. Da una parte lui, l'accusato, il salernitano guascone di 53 anni che non si smentisce mai e mai rinuncia al piacere della battuta: «Ancora con sta' storia che sono scappato! Sono scivolato, con la nave inclinata come facevo a restare in piedi? Sono mica l'Uomo Ragno io!».

Dall'altra, il capitano di fregata napoletano, 48 anni, aplomb inglese - a parte lo scivolone della parolaccia, ma quella fu una notte sconvolgente - che in aula rievoca tutte le «inadempienze del comandante, nonostante io gli abbia spiegato che un ravvedimento operoso avrebbe migliorato la sua posizione».

Ma niente, Schettino non lo ascoltò quella notte e non gli dà retta neppure ora. «Quello lì parla così perché in vita sua non ha mai comandato una nave - sbotta al bar, mentre addenta un panino mozzarella e pomodoro - Quella notte pontificava su tutto, non mi faceva neppure parlare e adesso fa il bis. Io però ho la coscienza a posto. E poi sentirete in aula, sentirete: il mio difensore smonterà tutte le accuse spezzettando le telefonate frase su frase».

E in effetti l'avvocato Patrizio Le Piane proverà a cambiare le carte in tavola, ma l'unico risultato sarà l'esasperazione dei tre sostituti procuratori Pizza, Leopizzi e Navarro, oltre quella del presidente della Corte. Il giudice Giovanni Puliatti è costretto a intervenire più volte per zittire le supposizioni dell'avvocato.

Le domande di quest'ultimo puntano il dito contro De Falco, quasi come se fosse sua la responsabilità dei ritardi dei soccorsi dopo il naufragio. Alla faccia di quello che si sente nelle registrazioni telefoniche - alle 00.28, alle 00.42 e all'1,46 - con il comandante Schettino che non vuole risalire sulla nave e che parla «di una decina, una cinquantina di persone ancora sulla nave» mentre ce n'erano ancora 400 da salvare.

De Falco ricorda positivamente la serietà dell'ufficiale Elena Serra «bloccata sul ponte 4 con 4 francesi, alcuni dei quali con handicap: telefonò direttamente al Comando generale delle capitanerie di porto per chiedere aiuto. Roma informò l'elicottero che io avevo inviato sulla Concordia e quel gruppo venne salvato».

A nulla vale, invece, la giustificazione di Schettino, fornita dal suo avvocato, sull'impossibilità di risalire la biscaggina come gli era stato ordinato dalla capitaneria di Livorno. «Una era caduta in acqua e l'altra era irraggiungibile perché il comandante Schettino ha dovuto restituire il gommoncino prestato da un privato».

Chissà come reagiranno i superstiti del naufragio che per il 13 gennaio prossimo hanno organizzato un sit-in a Grosseto. Intanto, a tarda sera, Schettino reclama la scena e fa dichiarazioni spontanee davanti ai giudici. Tanto per cambiare, il suo obiettivo è il nemico De Falco: «Mi diede ordini perentori con toni sprezzanti e mi stupì la sua perdita di controllo. Io ho fatto il possibile per non cadere in inutili provocazioni.

Avevo organizzato e predisposto tutto per il bene dei passeggeri e la telefonata di De Falco non ha cambiato il corso degli eventi». Infine il colpo di grazia: «Quella telefonata ha fatto fare una brutta figura a me, alla capitaneria di porto e all'Italia intera». Amen.

 

 

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