IL PADRINO SONO ANCORA IO – TOTO’ RIINA INTERCETTATO IN CARCERE: “NON MI PENTO E NON MI PIEGHERANNO” – IL RUOLO DI NINETTA BAGARELLA (SORELLA DI LEOLUCA): PIU’ COMPLICE CHE MOGLIE, DA MAESTRINA DI CORLEONE A CONTABILE DELLA FAMIGLIA. SI SFOGA CON IL FIGLIO: “NON CI PORTANO PIU’ I SOLDI DI PRIMA”
1. RIINA INTERCETTATO PARLA DA BOSS: NON MI PENTO, MI DIANO 3.000 ANNI
Giovanni Bianconi per il Corriere della Sera
Mentre parla del direttore del carcere in cui è detenuto, Totò Riina si tocca il petto indicando se stesso, e dice: «Un capo uguale a lui». Subito dopo aggiunge: «In ogni famiglia, in ogni istituto un capo ci deve essere». Lui come il direttore della prigione, quindi. Queste frasi, intercettate nel febbraio scorso durante un colloquio con sua moglie Ninetta Bagarella, per i giudici del Tribunale di sorveglianza di Bologna sono la conferma del «ruolo apicale» che il boss corleonese conserva all' interno di Cosa nostra. E sono il motivo per cui lo hanno lasciato in galera, sebbene nel reparto ospedaliero che lo ospita da tempo, e ai rigori del «41 bis».
Nello stesso incontro di sei mesi fa, Riina sembra rivendicare non soltanto lo status di capomafia, ma anche la sua integrità di uomo d' onore: «Io non mi pento a me non mi piegheranno Io non voglio chiedere niente a nessuno, mi posso fare anche tremila anni, no trent' anni». In un altro passaggio, rispetto a un' ipotetica collaborazione, spiega che non vuole dare nemmeno l' impressione di voler scendere a patti con le istituzioni: «Farmi avere dei permessi mi disse di farmi portare in un altro posto con la porta chiusa, con la porta aperta, ma che mi devono controllare Cosa vogliono da me? Io sono Salvatore Riina e resterò nella storia di Salvatore Riina questo è».
Sono frammenti di conversazione che per i giudici dimostrano non solo la capacità di intendere e di volere del detenuto, ma soprattutto di comandare; mantenendo quella carica che gli stessi mafiosi gli riconoscono. Del resto risale al gennaio 2015 l' intercettazione tra alcuni personaggi importanti di Cosa nostra che riferendosi a Riina e Provenzano dicevano: «Se non muoiono tutti e due, luce non ne vede nessuno».
Provenzano è morto un anno fa, mentre Riina continua la sua vita da recluso, nonostante gli 86 anni e le gravi condizioni di salute, curato come meglio non si potrebbe: «Al detenuto vengono somministrate - sottolinea il Tribunale di sorveglianza - non solo cure e terapie di altissimo livello con estrema tempestività di intervento, ma anche, e soprattutto, viene prestata assistenza di tipo geriatrico con cadenza quotidiana ed estrema attenzione e rispetto della sua volontà». La sua situazione, dunque, non viola il «diritto di morire dignitosamente», laddove questo significa «morire in condizione di rispettabilità e decoro», quando questo dovesse accadere.
Nell' incontro con la moglie, Riina discute sul ruolo dei pentiti, in particolare di Giovanni Brusca, il killer che un tempo fu al suo servizio, e Ninetta gli dice: «Ma tu lo sai che quelli prendono soldi quando dicono queste cose?». Riina risponde «certo», e lei insiste: «Più se ne inventano e più sono pagati perciò ci vivono tutti». Poi parlano delle situazioni personali e processuali di Leoluca Bagarella (fratello di Ninetta) e di Gaetano Riina (fratello di Totò), e secondo i giudici «tutto il colloquio è caratterizzato da un continuo alternarsi di interventi volti a temperare le affermazioni appena rese da uno dei due, oppure a introdurre argomenti nuovi trancianti la discussione, o a ridimensionare la situazione». Quasi fossero complici, oltre che marito e moglie.
Per i magistrati la pericolosità del «capo dei capi» che «appare ancora in grado di intervenire nelle logiche di Cosa nostra» è provata dalla «inequivoca circostanza che è una persona lucida e vigile, palesemente informata sulle vicende che riguardano l' associazione e i collaboratori di giustizia coinvolti, interessata ai rapporti tra i propri congiunti e i rispettivi difensori, nonché ancora ferma nell' atteggiamento di disprezzo e delegittimazione dei collaboratori di giustizia».
giovanni falcone paolo borsellino
La conferma del «carcere duro» per Totò Riina è arrivata nel venticinquesimo anniversario della strage di via D' Amelio in cui il capomafia fece saltare in aria - due mesi dopo Falcone - Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta. Un provvedimento che oggi assume il sapore di una celebrazione parallela dell' eccidio, da parte dei giudici, e del venticinquennale del «41 bis», che fu applicato per la prima volta poche ore dopo l' attentato del 19 luglio 1992.
L' ordine di trasferimento immediato dei boss detenuti dall' Ucciardone sulle isole di Pianosa e dell' Asinara, dove in passato erano stati rinchiusi i terroristi irriducibili, fu firmato nottetempo, all' aeroporto di Punta Raisi, dall' allora ministro della Giustizia Claudio Martelli, che aveva appena reso omaggio alla salma di Borsellino. Riina era ancora in libertà, fu arrestato sei mesi più tardi, e subito scattò anche per lui la segregazione speciale. Che ancora continua.
2. E A CORLEONE LA MOGLIE GESTISCE IL TESORO DI FAMIGLIA
Felice Cavallaro per il Corriere della Sera
Negli anni Settanta, quando sposò in segreto Totò Riina, per i giornali era solo «la maestrina di Corleone». Poi sparì con il capo dei capi per una dorata latitanza fra Mazara del Vallo e Palermo ricomparendo solo dopo l' arresto nel paesino da dove era partita, in via Scorsone. Ma, al contrario di quanto ha lasciato credere, Ninetta Bagarella, 14 anni meno del suo uomo, sorella di un altro boss da 41 bis, non s' è dedicata solo alla crescita dei suoi quattro rampolli, due maschi perduti via via, in carcere o «in esilio» a Padova.
Perché ha conservato un ruolo strategico nella gestione di un consistente patrimonio pur eroso da controlli, sequestri e confische. Proprio ieri mattina il Ros del generale Giuseppe Governale ha messo le mani su un tesoretto da 1,5 milioni di euro che lei governava. Con sigilli a tre società, alla villa di Mazara del Vallo, a 38 rapporti bancari e, soprattutto, su 84 ettari di terreni ufficialmente intestati alla Mensa arcivescovile di Monreale e alla parrocchia Santa Maria del Rosario.
Toto Riina e Ninetta Bagarella
Con sorpresa di monsignor Michele Pennisi, il vescovo di Monreale totalmente estraneo alla vicenda, nominato da papa Francesco nella commissione per la scomunica di mafiosi e corrotti dopo che l' anno scorso aveva impedito le processioni con «inchino» davanti alla casa di Ninetta Bagarella. Ma senza potere immaginare che sui terreni della chiesa, quando i boss locali litigavano sul pascolo delle greggi, per l' ultima parola si rivolgevano proprio alla signora Ninetta.
Le indagini hanno messo in luce la «sperequazione tra i redditi dichiarati negli anni dai Riina e i beni di loro proprietà». Con una sorta di «cabina di regia» affidata proprio alla signora che, pur risultando nullatenente, tra il 2007 e il 2013 ha firmato assegni per oltre 42 mila euro in favore del marito e dei figli detenuti. Nonostante i patrimoni a disposizione, anche attraverso i parenti, la «maestrina» si era lamentata in carcere con il figlio Salvatore: «Soldi non ce ne portano come prima...».
Bacchettando qualche anno fa il cugino Giuseppe Grizzafi: «Ha fatto tutte cose all' insaputa nostra... p' ammuccarisi (per prendersi tutto)». Cronaca di una, diciamo così, appropriazione indebita contestata dalla cabina di regia e commentata sprezzante: «Sono vastasaggini (comportamenti «vastasi», incivili)». Un affronto subìto dalla signora, costretta ora a ridimensionare il suo ruolo nel giorno in cui ha capito che in via Scorsone il marito, da malato, non tornerà.