NELLE CARTE DELL’ACCUSA PER L’AMIANTO ALLA OLIVETTI UNA LUNGA SERIE DI NEGLIGENZE – “I PERICOLI DELLO STABILIMENTO SCOPERTI GIÀ NELL'81. MA SINO ALL'87 NESSUNA PRECAUZIONE” - C’ERA AMIANTO PERFINO IN SALA MENSA

1. “ALL’OLIVETTI 13 MORTI PER L’AMIANTO INDAGATA LA FAMIGLIA DE BENEDETTI”

Giacomo Amadori per "Libero Quotidiano"

 

CARLO DE BENEDETTI CARLO DE BENEDETTI

Ieri mattina gli uomini della Guardia di Finanza della Compagnia di Ivrea hanno bussato alla porta dell’ingegnere Carlo De Benedetti nella sua magione immersa tra i vigneti di Dogliani (Cuneo) per consegnargli un annunciatissimo avviso di chiusura indagini. Si tratta del procedimento avviato dalla procura eporediese nel 2012 per i reati di omicidio e lesioni colpose legate alla presenza dell’amianto all’Olivetti negli anni in cui De Benedetti è stato prima amministratore delegato e poi presidente.

 

La tessera numero 1 del Partito democratico era preparato alla visita, anche perché il 24 luglio scorso proprio Libero aveva annunciato questo epilogo per le indagini. Ma quello che forse De Benedetti non si aspettava è che nell’inchiesta finisse quasi tutta la sua famiglia: infatti tra gli indagati c’è suo fratello Franco, ma anche i due figli Rodolfo e Marco.

 

franco debenedettifranco debenedetti

Per semplificare il lavoro delle notifiche a casa De Benedetti sarebbe bastato attendere una festa comandata. Nelle 33 pagine dell’atto consegnato a 39 indagati è certificato come dagli anni ’60 agli anni ’90, in Olivetti, nessuno dei responsabili, si sia preoccupato di tutelare per davvero la salute dei lavoratori, minacciata dalle fibre d’amianto. Nel loro avviso gli inquirenti accusano la dirigenza di «negligenza, imprudenza e imperizia» o comunque di «omessa adozione della necessaria vigilanza».

 

Il procuratore Giuseppe Ferrando e i suoi sostituti contestano 13 presunti omicidi colposi (morti avvenute tra il 2004 e il 2012) e due casi di lesioni, un uomo e una donna a cui è stato diagnosticato il mesotelioma pleurico rispettivamente nel 2012 e nel 2011. Gli accusati adesso avranno venti giorni di tempo per presentare le loro memorie difensive o chiedere di essere ascoltati dai pm. Passate queste tre settimane il giudice per l'udienza preliminare dovrà decidere se rinviare a giudizio gli indagati. A ottobre sapremo se e chi andrà a processo. Ma entriamo nel merito delle accuse.

 

MARCO DE BENEDETTI E ELISABETTA GREGORACI - FOTO TWITTATA DA PAOLA FERRARIMARCO DE BENEDETTI E ELISABETTA GREGORACI - FOTO TWITTATA DA PAOLA FERRARI

Carlo De Benedetti e suo fratello Franco sono sotto indagine per undici episodi a testa. Il primo in qualità di amministratore delegato e presidente del consiglio di amministrazione dal 1978 al 1996; il secondo in quanto amministratore delegato dal 1978 al 1989, vicepresidente dal 1989 al 1992 e infine consigliere sino al 1993. L’ex ministro del governo Monti e aspirante leader del centro-destra Corrado Passera deve rispondere per due casi più recenti, essendo stato nel consiglio di amministrazione dal 1990 al 1996 (dal ’92 al ’96 come amministratore delegato).

 

Per un solo caso di lesioni colpose, quello di B.P., un’impiegata ammalatasi nel 2011 nel cuore pulsante dell’azienda, Palazzo uffici, sono stati chiamati in causa anche i figli di De Benedetti Rodolfo (nel cda dal ’90 al ’97) e Marco (consigliere dal ’95 al ’96 e presidente sino al ’97). Per lo stesso episodio è indagato pure Roberto Colaninno, ad a partire dal 1996. Per i magistrati tutti questi dirigenti non avrebbero vegliato sulla salute dei lavoratori neppure dopo la messa al bando dell’amianto in Italia, avvenuta ufficialmente nel 1991.

RODOLFO DE BENEDETTI jpegRODOLFO DE BENEDETTI jpeg

 

Ma le contestazioni più gravi riguardano gli anni ’80, «sebbene già nel 1974 in azienda fosse stata istituita la Commissione permanete ecologia e nel 1977 fosse stato elaborato un documento sull’uso dell’amianto in azienda». I dirigenti, per l’accusa, «non rendevano edotti i lavoratori del rischio specifico di inalazione di fibre-polveri d’amianto», soprattutto quelli a contatto con i micidiali talchi industriali a base di tremolite. Inoltre «contravvenivano all’obbligo di fornire ai lavoratori i necessari mezzi di protezione e omettevano di adottare provvedimenti necessari a impedire o ridurre la formazione di polveri».

 

Dunque negli stabilimenti piemontesi di Scarmagno, Agliè e San Bernardo oltre che nei centralissimi uffici della Ico agli operai non venivano fornite mascherine e in molti locali i responsabili dell'azienda «omettevano di prevedere sistemi di aspirazione». Anche le strutture non sarebbero state messe in sicurezza per tempo. Per l'accusa questa genìa di capitani coraggiosi, sbandierato modello di padroni illuminati, avrebbe evitato di «assicurare che gli edifici, le opere, destinate ad ambienti o posti di lavoro fossero costruiti e mantenuti in buono stato».

Corrado Passera e Giovanna SalzaCorrado Passera e Giovanna Salza

 

Per esempio in diversi capannoni sino al 1987 «non venne effettuata alcuna ispezione visiva per verificare lo stato di manutenzione dei manufatti» e le giuste procedure da seguire «furono adottate solo nel 1989». Persino la mensa, secondo i pm, sarebbe divenuta un luogo di morte, non essendo state approntate le necessarie «misure igieniche che consentissero ai lavoratori di mangiare, bere e sostare senza rischio di contaminazione».

 

Il «ristorante» di via Jervis non sarebbe stato controllato sino al 1987 e le cose non sarebbero migliorate una volta effettuati i dovuti monitoraggi. Infatti gli esami evidenziarono «una concentrazione di fibre all’interno dei locali superiore al doppio rispetto a quella esterna» e nonostante questo non vennero intrapresi «immediati programmi di bonifica» né «gli opportuni provvedimenti» per prevenire la diffusione nell’aria delle fibre di asbesto.

ROBERTO COLANINNO IN MOTO ROBERTO COLANINNO IN MOTO

 

Nel caso dell'impiegata B. P. i magistrati contestano anche la violazione delle più recenti leggi sul minerale assassino, compreso un decreto ministeriale del 1994. Un periodo in cui l’allarme amianto era già scattato da diversi anni. In ogni caso i grattacapi per De Benedetti & Co. non finiscono qui. I magistrati hanno infatti già aperto un fascicolo bis con un altro lungo elenco di morti bianche all'Olivetti.

 

 

2. “I PERICOLI DELLO STABILIMENTO SCOPERTI GIÀ NELL'81. MA SINO ALL'87 NESSUNA PRECAUZIONE”

Luca Fazzo per "il Giornale"

 

«Esercitando in modo significativo e continuativo i poteri tipici del datore di lavoro e funzioni dirigenziali nell'ambito della prevenzione infortuni e malattie professionali, cagionavano, ovvero non impedivano che fosse cagionata la morte di Bretto Maria Giuditta, intervenuta il 24 febbraio 2013 per mesotelioma peritoneale». E di Marcello Costanzo, di Emilio Ganio, di tutti gli altri dipendenti dell'Olivetti morti di una morte terribile per avere lavorato in fabbrica. È questa, nelle carte dell'inchiesta, l'accusa che i pm di Ivrea muovono ai 39 imputati dell'inchiesta sui tumori all'Olivetti, tra cui Carlo De Benedetti.

 

Una indagine durata quattro anni, e arrivata alla stessa conclusione cui in altre parti d'Italia la magistratura è giunta analizzando i morti per amianto: per decenni l'amianto è stato un killer sconosciuto, ma almeno dagli anni Settanta il suo pericolo era noto. Ma si è fatto finta di niente.

 

adriano olivetti il visionario di ivrea e la L m sHVM jpegadriano olivetti il visionario di ivrea e la L m sHVM jpeg

Per capire come la Procura si sia convinta che i piani alti «non potevano non sapere» basta leggere quello che i pm scrivono su uno dei morti, Emilio Ganio: «Come addetto ai torni automatici e dal 1970 come capo squadra nei vari reparti di produzione all'interno del capannone sud del comprensorio di San Bernardo di Ivrea veniva esposto all'inalazione di fibre di amianto disperse dall'intonaco di rivestimento del soffitto che era costituito di amianto in matrice friabile».

 

A De Benedetti e agli altri indagati la Procura contesta «negligenza, imprudenza, imperizia e comunque l'omessa adozione delle misure e della necessaria vigilanza che sarebbero state necessarie a tutelare la integrità fisica di Ganio Emilio, rilevando tardivamente e solo nel 1987 la presenza di amianto nella struttura del capannone sud».

 

Ancora più esplicite le conclusioni cui i pm sono arrivati sulla morte di Antonio Merlo, stroncato dal tumore nel 2011 per l'amianto respirato non solo in reparto ma anche in mensa: amministratori e dirigenti «omettevano di rilevare tempestivamente la presenza dell'amianto in matrice friabile all'interno del piano terra delle officine H e del locale mensa del comprensorio di via Jervis, non adottando misure igieniche che consentissero ai lavoratori di mangiare, bere e sostare senza rischio di contaminazione da polvere di amianto».

ADRIANO OLIVETTI A IVREA ADRIANO OLIVETTI A IVREA

 

Fino al 1987 non viene fatto un campionamento dei locali, ma ancora peggio per i pm è quanto accade dopo: «Sebbene i valori riscontrati dai monitoraggi ambientali evidenziassero una concentrazione di fibre all'interno dei locali superiore del doppio rispetto a quella esterna non effettuavano alcuna valutazione del rischio per i lavoratori esposti, non effettuavano alcuna analisi mineralogica delle fibre, non effettuavano alcuna ispezione visiva».

 

E non è tutto. Sulla consapevolezza da parte del management Olivetti dei rischi da amianto, i pm hanno acquisito documenti e perizie. Tra i primi, una missiva di Maria Laura Ravera, direttrice del servizio ecologia dell'azienda, che il 16 febbraio 1981 (in piena era De Benedetti) invia due campioni all'università di Torino chiedendo di «voler esaminare i due campioni di talco per verificare se in essi è presente dell'amianto». È un talco particolare, che proviene da una valle svizzera, e contiene tremolite, un tipo particolare di amianto.

 

Carlo De Benedetti Carlo De Benedetti

Le analisi di Torino rivelano che nel talco usato all'Olivetti c'è una concentrazione di 500mila unità per microgramma, cinquecento volte il tetto ammesso negli Stati Uniti. In una perizia affidata dalla Procura all'epidemiologo Massimiliano Buggiani si legge: «Dagli anni Settanta era già nota la presenza nei talchi utilizzati nell'industria di altri minerali, tra cui l'amianto sotto forma di tremolite», che però venne usato in Olivetti fino al 1981. Dagli elementi e dalle testimonianze raccolte risulta che tra il 1968 e il 1980 non sono state adottate idonee misure preventive a tutela dei lavoratori.

 

Un altro consulente della Procura, Luigi Tirrito, scrive: «Il rischio poteva essere azzerato». Sarebbe stata sufficiente una «analisi al microscopio del talco prima dell'inserimento nel ciclo produttivo». Ma «nessuna misura di sicurezza, come risulta dagli atti, è stata mai adottata».

 

Nel giugno 1977 una nota riservata del Laboratorio chimico aziendale della Olivetti individua tutti gli usi cui all'interno dell'azienda è destinato l'amianto: isolante termico, produzione di frizioni, componente esterno. Ma nulla accade.

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