PROCESSO MEREDITH, SOLO POSTI IN PIEDI - SOLLECITO PARLA IN AULA: “RIDATEMI UNA VITA”

Michele Bocci per "la Repubblica"

«Mi presento, sono Raffaele Sollecito». Inizia così, come fosse un imputato qualunque di un processo qualunque e non il giovane uomo al centro da sei anni di una delle più brutte e discusse storie di cronaca del nostro Paese. Inizia sicuro, guardando negli occhi i giudici e scrutando in particolare i giurati, seduti con la fascia tricolore nell'aula della Corte di assise di appello di Firenze.

Sedici minuti di "dichiarazioni spontanee" per convincerli di avere di fronte un innocente. Ma perde presto lo smalto iniziale: si interrompe varie volte, incespica nelle parole e alla fine si blocca. Intrappolato da un magone che gli inumidisce gli occhi. «Ridatemi una vita, perché io adesso una vita non ce l'ho», dice prima di alzarsi e tornare a sedere al banco degli imputati. Parole sincere e sentite? Una perfetta messinscena? «Abbiamo visto il Raffaele autentico», suggerisce il suo avvocato, Giulia Buongiorno.

Ieri, per la prima volta, Sollecito ha parlato da uomo libero durante un processo. Consultando un foglietto, ha ripetuto molte delle cose già dette in altre occasioni per difendersi. Ma c'erano da convincere nuovi giudici, e allora è ripartito da capo. «Sono orgoglioso di essere cresciuto in una famiglia italiana perbene, che mi ha educato al massimo rispetto dei valori dell'onestà e dell'educazione. Mi hanno descritto come un assassino freddo e spietato. Io non sono niente di tutto questo».

In aula c'è il pubblico delle "grandi occasioni". Tutte le 150 sedie sono occupate, e qualcuno resta in piedi. Non era mai successo nelle udienze fiorentine del secondo processo d'appello per l'omicidio di Meredith Kercher. Ma le altre volte non c'era Raffaele. Quando arriva, mentre parla con gli avvocati, nel momento in cui alza per andarsene, partono i colpetti di gomito, vengono sfoderati i cellulari per catturare foto ricordo.

«A Perugia ero una persona molto riservata, mi dedicavo agli studi. Amanda è stata il mio primo vero amore. Avevamo vent'anni, e nella nostra mente c'era tutto fuorché una visione così distorta e sprezzante dell'essere umano come sostiene ci chi accusa. Ho sempre avuto una vita tranquilla. Non mi è mai piaciuto andare alle feste e non mi è mai piaciuto l'alcol. Anche se ho fumato qualche spinello questo non ha cambiato la mia personalità».

Poi, un passaggio su quel che avvenne il 6 novembre 2007, cinque giorni dopo l'omicidio di Meredith. «Sono stato gettato in prigione. Ho passato quasi sei mesi in isolamento - racconta con la voce tremante -mi hanno spostato in un carcere di massima sicurezza. La mia vita non è tornata più come era prima».

Difficilmente le parole pronunciate ieri da Sollecito saranno determinanti per l'esito del processo, legato esclusivamente alla nuova valutazione degli indizi richiesta dalla Cassazione. La sentenza è attesa per il 10 gennaio 2014. Ieri i Ris hanno portato i risultati
degli esami sul Dna trovato sul coltello che per l'accusa è l'arma del delitto.

Parlano di «notevoli affinità» con il profilo genetico di Amanda. È una risposta che poco aggiunge al processo, secondo la difesa, perché si tratta di un coltello da cucina, che venne sequestrato a casa di Sollecito. È normale che lo usasse anche la fidanzata.

«Quando sono stato arrestato - ha detto ancora Raffaele - ci si è basati su un'impronta di scarpa impressa nel sangue che è stata attribuita a me. Una tesi poi smentita. Mi hanno accusato di possedere un coltellino a serramanico, descritto come arma del delitto. Un'altra illusione. Sono stato vittima di una persecuzione allucinante, senza senso logico. I testimoni che mi accusavano sono stati sbugiardati uno dopo l'altro. Alcuni sono risultati dei mitomani. Dopo sei anni ho ascoltato ancora parole di persone ridicole».

L'ultimo passaggio è dedicato alla privacy devastata. «Sono stato in vacanza nella Repubblica Domenicana e anche lì mi sono dovuto difendere, mi hanno fatto uno scatto. Sono costantemente sotto i riflettori. È difficile anche cercare un lavoro. Vi chiedo umilmente di considerare il grosso sbaglio che è stato fatto e di darmi la possibilità di credere ancora che per una persona come me, un italiano come voi, ci possa essere la possibilità di avere una vita».

 

AMANDA KNOX E RAFFAELE SOLLECITO SI RIUNISCONO A NEW YORK AMANDA KNOX E RAFFAELE SOLLECITO SI RIUNISCONO A NEW YORK amanda e sollecitoAMANDA KNOX E RAFFAELE SOLLECITOGiulia BuongiornoSTEPHANIE KERCHER SORELLA DI MEREDITH MEREDITH KERCHER

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