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“LO SEGUIREI OVUNQUE, ANCHE ALL’INFERNO” – LO STRAZIANTE RACCONTO DEL PADRE CHE ENTRA NEL BOSCHETTO DI ROGOREDO PER RIPRENDERSI IL FIGLIO: “HO VAGATO PER ORE TRA SIRINGHE E SGUARDI VITREI. E' UN LIMBO DI SPETTRI” – GRAMELLINI: “UN PADRE, DICE JAMES HILLMAN, NON PUÒ SALVARE SUO FIGLIO. PUÒ SOLO AMARLO SENZA CAPIRLO, L’AMORE PIÙ POTENTE E STRAZIANTE CHE ESISTA”

1 – UN PADRE

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Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera”

 

Impossibile non emozionarsi leggendo il reportage di Elisabetta Andreis sul padre milanese che entra di notte nel boschetto di Rogoredo alla ricerca del figlio. Impossibile non sintonizzare il proprio cuore sul suo, mentre si aggira in quella radura punteggiata da siringhe e popolata da spettri, sperando di trovarlo e al tempo stesso di non trovarlo. E impossibile non commuoversi quando finalmente lo vede, in piena crisi di astinenza, e si lascia estorcere i venti euro per la dose, voltandosi dall' altra parte al momento del buco.

 

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Si starà chiedendo perché è toccata a lui: dove ha sbagliato e come può ancora salvare il suo ex bambino che sognava di diventare chef, prima di perdersi nella nebbia dell' adolescenza e interrompere le comunicazioni. Il grande psicanalista e scrittore James Hillman direbbe che sono domande sbagliate. Che un figlio non è solo il prodotto del tuo Dna e dell' ambiente in cui lo hai fatto crescere, ma di un terzo fattore innato, che i greci chiamavano daimon e i latini genius , un bosco magico e misterioso in cui un padre e una madre non possono penetrare.

 

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Le chiavi di accesso le possiede soltanto il mentore, un estraneo di riferimento che può essere il professore, l' allenatore o lo psicologo, come quello raccontato dal Corriere che ha trovato l' approccio giusto per scardinare le difese di un' anima persa di Rogoredo e l' ha salvata. Un padre, dice Hillman, non può salvare suo figlio. Può solo amarlo senza capirlo, l' amore più potente e straziante che esista.

 

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2 – IL RACCONTO DI UN PADRE: «SONO ANDATO NEL BOSCO DELLA DROGA DI ROGOREDO PER RIPRENDERMI MIO FIGLIO»

Elisabetta Andreis per il “Corriere della Sera”

 

«Sono entrato al boschetto di Rogoredo per riprendermi mio figlio. È un limbo di spettri». La testimonianza drammatica ma combattiva è di un papà coraggioso. Il figlio è l’ex fidanzato della studentessa di cui il Corriere ha scritto nei giorni scorsi. Hanno cominciato a bucarsi insieme, ragazzi della stessa scuola, quindici anni lei, diciassette lui.

 

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Il padre torna indietro nel tempo: 4 giugno 2017. «C’era la festa di fine scuola media della sorellina. Mio figlio si bucava da tanto tempo ma a casa ce ne eravamo accorti solo mesi prima, quando la situazione in un attimo è precipitata e lui se ne era andato da casa - ricorda -. Entravano persone di continuo, nel boschetto. Ho vagato per ore tra le siringhe, gli sguardi vitrei. Speravo di vedere mio figlio e allo stesso tempo avevo il terrore di trovarlo». Dentro non c’era.

 

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«Mi è apparso davanti mentre tornavo verso la stazione di Rogoredo. Vomitava, aveva le convulsioni. Stava malissimo, in piena astinenza. Mi si è strizzato il cuore, chi non ha visto un figlio così non può sapere cosa si prova. Gli ho chiesto quanto ci voleva per farlo stare bene tutto il giorno, magari fino al giorno dopo.

 

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Mi ha risposto: 20 euro. Con un dolore infinito io glieli ho dati. Si è infilato dentro barcollando con me che lo seguivo come un’ombra. Si è iniettato la dose, mentre io mi voltavo dall’altra parte, perché quello era troppo, veramente troppo. Quando siamo usciti sembrava tornato d’improvviso lui. Era “fatto” ma in un modo strano, grato perché gli avevo procurato la droga. Siamo andati alla festa della scuola, ha visto sua sorella che suonava il clarinetto al saggio di fine anno, si è commosso lì, in mezzo a tutti. Poi abbiamo mangiato al buffet, siamo tornati a casa, si è fatto una doccia. Ha resistito fino a metà pomeriggio. Poi ha detto: “Devo andare”. È sparito per mesi».

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Dal primo buco - nel 2015 - per due anni l’eroina è stata incredibilmente compatibile con la scuola: «Non aveva dipendenza fisica. Era solo più nervoso in casa, diceva più spesso la solita frase (“Mi state troppo addosso”), si chiudeva in camera... Ma quale adolescente non lo fa?». Non è facile per le famiglie riconoscere i segni del pendio che si inghiotte i figli portandoseli via.

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Eppure arriva il momento di rottura: quello in cui il ragazzo perde il controllo, il libero arbitrio, la libertà di scegliere le sue giornate. «Era innamorato dell’eroina e non vedeva nient’altro. Improvvisamente il rapporto con noi non esisteva più», testimonia quest’uomo forte, grande lavoratore, con la moglie operaia e l’altra figlia più piccola. Riprende il filo, faticosamente: «Gli mancavano solo 5 mesi al diploma, quando è crollato. Aveva il sogno di diventare un grande chef, come Cannavacciuolo».

 

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Inizio 2017: il padre di notte gli prende il cellulare, indovina la password. «C’erano messaggi WhatsApp che parlavano di dosi, foto di lui e dell’ex ragazza con le siringhe - gli scendono le lacrime -. La mattina dopo gli ho chiesto conto, è diventato una furia. Come se avessi squarciato il velo di ipocrisia dietro cui si nascondeva, come se l’avessi smascherato in modo insopportabile».

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Ha messo la sua roba in uno zaino ed è uscito di casa. Al cellulare non rispondeva più, a scuola non si faceva vedere. Il diploma non l’ha mai preso. «Mi sono fatto accompagnare altre volte al boschetto superando l’orrore e la vergogna - dice ancora il padre -. Lui non mi vedeva neanche, totalmente perso». Da poco lo ha agganciato l’operatore di una comunità, ha accettato di curarsi. È l’unica possibile via d’uscita. «Sappiamo che sarà lunga, dolorosa. Che le ricadute non saranno fallimenti ma parti del percorso. Se mi dicessero che tra sei mesi mio figlio non c’è più, prenderei ferie tutti i giorni e lo seguirei ogni attimo, ovunque. Anche all’inferno».

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