“RIFAREI TUTTO. ANCHE LA TRATTATIVA CON VITO CIANCIMINO” - IL GENERALE MARIO MORI NON INDIETREGGIA SULLA SCELTA DI PARLARE CON LA MAFIA: “LO STATO ERA IN GINOCCHIO, C’ERA LA RESA TOTALE” - IL RACCONTO DETTAGLIATO DELL’INCONTRO CON L’EX SINDACO MAFIOSO DI PALERMO: “L’UOMO ERA DI VALORE, UN MEZZO CRIMINALE, INTELLIGENTE E FURBO. PENSÒ DI SFRUTTARE L’ANCORA DI SALVEZZA. PENSO CHE CI AVREBBE CONSEGNATO RIINA, MA NON PROVENZANO PERCHÉ…”
Estratto dell'articolo di Giuseppe Salvaggiulo per www.lastampa.it
«Rifarei tutto. Anche la trattativa con Vito Ciancimino». Il generale Mario Mori, già comandante del Ros dei carabinieri e del Sisde, il servizio segreto civile, è intervenuto al festival della giustizia penale di Modena, ripercorrendo il lungo processo che l’ha visto imputato per oltre un decennio, fino alla recente assoluzione in Cassazione.
Mori ha contestualizzato l’iniziativa che lo portò, nel 1992, a cercare un’interlocuzione con Ciancimino, ex sindaco mafioso di Palermo: « Lo Stato era in ginocchio, c’era la resa totale. Io agivo senza una direttiva da parte delle gerarchie superiori, né ricevetti un uomo in più. C’era il silenzio, la stasi. Erano tutti sotto la scrivania, politici compresi, in attesa di capire chi avrebbe vinto. Noi non ci tirammo indietro».
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Così Mori ha ripercorso quanto accadde. «Dopo la strage di Capaci, l’allora tenente De Donno, che aveva arrestato due volte Ciancimino per appalti truccati, mi disse: “Perché non proviamo a contattarlo? Io l’ho trattato bene, conosco anche il figlio”». Mori aderì alla richiesta «per alzare il livello dei nostri contatti con la controparte. Ero disilluso, ma partivo da una posizione di forza. Di lì a qualche mese Ciancimino sarebbe tornato in carcere. L’uomo era di valore, era un politico-mafioso, un mezzo criminale, intelligente e furbo.
Pensò di sfruttare l’ancora di salvezza. Ma quando si fa una trattativa, non si può pensare di chiedere tutto senza dare nulla. Io gli chiesi: “Signor Ciancimino, che possiamo fare? Siamo al muro contro muro tra Stato e mafia”. Lui rispose: “Io provvederò, perché conosco”. Ma ero convinto che non avrebbe fatto nulla. E fui veramente sorpreso quando al terzo incontro mi disse: “Ho parlato con la controparte. Ma voi che cosa offrite?”. Ancora dubitavo, lo misi alla prova: “Noi offriamo tanto, se loro si consegnano alla giustizia tratteremo bene le loro famiglie”.
Ciancimino, pur settantenne, schizzò in piedi dalla poltrona come una palla e disse: “Lei mi vuol far morire e vuol morire pure lei. Io queste cose non le posso dire”. Ci accompagnò alla porta e andammo via. Sulle scale De Donno mi disse che avevamo sbagliato, io gli risposi: “No. La cosa è seria, questo era veramente terrorizzato, quindi ha davvero parlato con la mafia. Vedrai che prima o poi ci richiamerà. Poi noi abbiamo catturato Riina grazie all’indagine del capitano Ultimo, ma sono convinto che Ciancimino ci avrebbe consegnato Riina perché aveva paura di lui. Provenzano no, perché erano troppo amici».
In attesa delle motivazioni, Mori sostiene che le vicende degli Anni 92-93 dovrebbero a questo punto essere sottratte alle indagini giudiziarie e affidate a una commissione parlamentare d’inchiesta.