CHI CERCA GIUSTIZIA, VIENE GIUSTIZIATO - UNO DEI ROM CHE DUE MESI FA HA TRAVOLTO E UCCISO DUCCIO DINI A FIRENZE È GIÀ FUORI DI GALERA - LA LETTERA DI UN AMICO: “ABBIAMO SPERATO CHE NON FOSSE VERO. FINCHÉ NON SARÀ GARANTITA LA LEGALITÀ SARÀ DIFFICILE SENTIRSI AL SICURO. DOV’È FINITA LA GIUSTIZIA?”
Claudia Osmetti per “Libero quotidiano”
Qualcuno, quasi ragionando in termini di un fatalismo che in questo caso nulla c' entra, ha persino detto che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Come se recarsi al lavoro, in una domenica di inizio estate, possa costituire un errore di comportamento, o un' imprudenza.
Macché. La verità è che Duccio Dini, il ragazzo di 29 anni travolto da alcune auto che s' inseguivano a velocità folle per il centro di Firenze il 10 giugno scorso, è morto ucciso dall' arroganza di un gruppo di rom (perché nello specifico si tratta di rom, e chiariamoci subito per evitare malintesi che sanno di accuse un po' troppo benpensanti: fossero italiani, il nostro giudizio sarebbe stato lo stesso) che per regolare chissà quale conto interno ha utilizzato le vie pubbliche come una grande pista di formula uno. E lo ha messo sotto. Più che sfortuna, prepotenza e mancato rispetto delle regole. Già, le regole.
firenze corteo per duccio dini contro i rom 5
La storia di Duccio sarebbe sufficientemente assurda così, eppure c' è dell' altro.
C' è che una manciata di giorni prima di Ferragosto uno di quegli sconsiderati automobilisti dall' acceleratore impazzito è uscito di prigione. Li avevano presi subito, e subito il loro avvocato aveva presentato istanza di scarcerazione.
Procedura regolare, non è questo il punto. Su sei, appena uno è finito ai domiciliari, un 27enne di origine macedone, incensurato, l' unico della combriccola a dover fronteggiare l' accusa di tentato omicidio - per gli altri si parla di un capo di imputazione più pesante, l' omicidio volontario. Uno solo. Ma tanto basta a far indignare amici e parenti di Duccio. Che si sentono traditi da una giustizia che si vorrebbe "certa", ma troppo spesso non lo è.
Ovvia la considerazione che la legge è legge, vale per tutti, per i normali cittadini e anche per i balordi. Sono le basi dello stato di diritto. Ma la percezione è sempre più quella di un sistema che si allontana dal sentire comune, lasciando la sensazione di aver subito un' ingiustizia nell' ingiustizia. In questo senso, l' ondata di sdegno che la scarcerazione del rom ha sollevato è politicamente bipartisan.
«Siamo amareggiati, questa vicenda dimostra che il sistema penale italiano va rivisto», sbotta l' assessore al Welfare di Firenze Sara Funaro (Pd). «Chi è razzista? Chi prova schifo e vergogna per una notizia simile o chi offende la memoria di un' intera comunità permettendo a questo "bravo ragazzo" di cavarsela con 65 giorni di carcere?», le fa eco Francesco Torselli, consigliere comunale (Fdi). E allora valgono, eccome se valgono, le parole di chi Duccio lo conosceva per davvero.
Messe nero su bianco in una lettera che Libero pubblica integralmente. Una lettera su cui in tanti, e in primis politici e operatori del sistema giuridico, dovrebbero riflettere.
LA LETTERA
«Sono un amico di Duccio e della sua famiglia, mi meraviglio di quanto sia stato deciso. Sono passati appena 65 giorni da quella brutta giornata e quell' uomo è di nuovo fuori? Dopo i primi due arresti, ne sono stati eseguiti altri quattro nell' ambito delle indagini. Misure di custodia cautelare in carcere, disposte dal gip su richiesta della procura fiorentina, nei confronti di uomini di etnia rom accusati di omicidio volontario e oggi vogliono farci credere che non esiste più questo pericolo?
Fin dal primo momento tutte le persone vicine a Duccio e alla sua famiglia si sono strette chiedendo a gran voce "giustizia e pena certa". Speravamo che questa volta, non accadesse quello che accade troppo spesso.
Tutti avevamo paura che, passato un po' di tempo e una volta spente le luci sulla vicenda, le persone coinvolte nell' omicidio potessero uscire di carcere, senza scontare la pena che meritano. E, purtroppo, è proprio quanto successo in questi giorni.
Nessuno di noi voleva crederci, abbiamo sperato fino alla fine non fosse vero. E invece Ci tengo a precisare che non è questione di etnia e non è questione di colore. Ma solo di giustizia: chi sbaglia, qualunque lingua parli, deve pagare. Esistesse la certezza della pena, qualcuno di sicuro ci penserebbe qualche secondo in più prima di mettersi nei guai.
Oggi nessuno ha paura, sanno in un modo o nell' altro di farla franca. Chiedo a tutti: dove è finita la giustizia? Dove è finito il rispetto verso il prossimo? Finché non sarà garantita la legalità sarà difficile sentirsi al sicuro».
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