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LO SHOW DI MAFIA CAPITALE! AL PROCESSO PARLA IL COLONNELLO DEI CARABINIERI CHE HA FATTO DA “UFFICIO STAMPA” ALL’INCHIESTA: “LA PROCURA DI ROMA MI CHIESE DI CONFEZIONARE GLI AUDIO-VIDEO DEGLI ARRESTI DA DARE AI GIORNALI E AI SITI WEB - GLI AVVOCATI DIFENSORI INSORGONO: "GIUSTIZIA PLEBISCITARIA”

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Davide Varì per “Il Dubbio”

 

«La procura di Roma mi chiese di confezionare e preparare gli audio-video degli arresti di "Mafia capitale" da dare ai giornali e ai siti web». È la "confessione" di un colonnello dei carabinieri che nel corso dell'udienza di martedì scorso ha svelato un retroscena quantomeno singolare riguardo l'indagine sul famigerato "Mondo di mezzo" di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati.

 

Si tratta di una vera e propria regia, uno show mediatico-giudiziario, destinato a pubblicizzare e propagandare quell'inchiesta: «Dovevo curare la diffusione della notizia dopo gli arresti basandomi sulle indicazioni della procura. Per questo abbiamo montato alcuni frammenti di intercettazioni su spezzoni video in modo che si potesse dare un'immediata percezione dell'indagine», ha ammesso il colonnello Stefano Fernando Russo.

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Immediate le proteste degli avvocati difensori che per voce di Cataldo Intrieri hanno messo in luce i «rischi di condizionamento derivati dalla sapiente e mirata strategia mediatica perseguita dagli inquirenti ed apertamente rivendicata in aula dal responsabile del Ros».

 

È il 3 dicembre 2014. L'indagine del secolo che ha sconvolto Roma illuminando il presunto (e oscuro) "Mondo di mezzo" è sulle prime pagine di tutti giornali italiani. Anche i siti web sono invasi da filmati audio e video che - con tanto di logo dei Ros - riprendono quegli arresti in presa diretta. Il più noto dei quali, di certo il più cliccato, è quello di Massimo Carminati, pizzicato su una stradina di Sacrofano, ameno paesino alle porte di Roma, a bordo della sua Smart grigia.

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Ma il video sull'ex neofascista della Banda della Magliana è solo uno dei tanti filmati che in quei giorni i Ros inviano agli organi di stampa. Di lì a poco spunteranno nuovi fotogrammi e frammenti che ritraggono tutti i protagonisti della presunta cupola capitolina. Una vera e propria regia gestita dai Ros ma, a quanto pare, voluta dai vertici della procura di Roma.

 

E a raccontare tutto questo è un colonnello dei carabinieri che ieri l'altro ha testimoniato nell'Aula dove si sta celebrando il processo "Mafia capitale". «La stampa e la pubblicità l'ho curata tutta io personalmente - ha ammesso con candore il colonnello Stefano Fernando Russo - e l'ho fatto per soddisfare il diritto di cronaca». E di fronte alle richieste di chiarimento avanzate dall'avvocato Cataldo Intrieri, il colonnello dei Ros ha chiarito di aver avuto «mandato dalla procura di Roma».

 

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Ricapitoliamo: nei giorni precedenti l'operazione Mafia capitale, la procura ha chiesto ai Ros di organizzare la regia degli arresti, di montare le intercettazioni audio-video, per inviare tutto ai giornali: «Dovevo curare la diffusione della della notizia dopo gli arresti basandomi sui principi della procura. Per questo abbiamo montato alcuni frammenti di intercettazioni su spezzoni video in modo che si potesse dare un'immediata percezione dell'indagine».

 

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Insomma, è stato creato un vero e proprio ufficio propaganda, anzi un ufficio «stampa e pubblicità», per dirla con le parole del colonnello dei Ros, che in quelle ore si è occupato della divulgazione e della promozione di un'inchiesta giudiziaria.

 

Ma l'avvocato Cataldo Intrieri, colui che ha interrogato il colonnello Russo, ha tutta l'intenzione di andare fino in fondo alla vicenda: «Uno dei tratti salienti della complessa indagine della Procura di Roma è stato la sapiente e mirata strategia mediatica perseguita dagli inquirenti ed apertamente rivendicata in aula dal responsabile del Ros come strumento di informazione (condizionamento?) », ha detto al Dubbio.

 

Intrieri fa riferimento alla nuova gestione della Procura romana e all'avanzare di una sorta di "giustizia plebiscitaria": «Tale impostazione è del tutto coerente con le idee professate dall'attuale capo della Procura Pignatone esternate in un'intervista al Sole 24 ore all'indomani dei primi arresti secondo cui i documenti messi a disposizione delle parti possono essere pubblicati in funzione di un " controllo sociale" che l'opinione pubblica può effettuare su indagini che rivestano un elevato e diffuso interesse collettivo.

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Tale visione, che bene potrebbe definirsi di "giustizia plebiscitaria" non trova sponda alcuna nella giurisprudenza più autorevole come quella delle Sezioni Unite della Cassazione che per due volte hanno avuto modo di precisare l'esatto significato dell'art. 114 del codice penale che vieta non solo la pubblicazione degli atti coperti dal segreto ma anche qualora vi sia rinvio a giudizio e processo degli atti del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli del fascicolo del pm, se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello».

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