alberto vittoria ronchey

SILVIA RONCHEY, UN’INTELLETTUALE VERA – SI È SPENTA A QUASI 97 ANNI LA FILOSOFA, SCRITTRICE E INSEGNANTE CHE AVEVA TRASFORMATO LA SUA ESPERIENZA IN CATTEDRA NEL LIBRO “FIGLIOLI MIEI, MARXISTI IMMAGINARI”, RITRATTO DEI GIOVANI DEGLI ANNI DELLA CONTESTAZIONE - POI “1944”, IN CINQUINA ALLO STREGA E LA STESURA DI LIBRI COME “IL VOLTO DI ISIDE” E “UN'ABITUDINE PERICOLOSA” -  IL PASSATO COMUNISTA SALVO NON ESSERLO PIÙ E L'ABIURA DOPO LA PERMANENZA NELL’URSS – LA FIGLIA SILVIA: “UNA DELLE PERSONE PIÙ COLTE CHE ABBIA CONOSCIUTO…”

Ida Bozzi per il “Corriere della Sera”

 

vittoria ronchey

Un carattere forte, che aveva conosciuto la guerra e la durezza della povertà, e ne aveva tratto una lezione di impegno assoluto: si è spenta a 96 anni - ne avrebbe compiuti 97 il 23 settembre - la filosofa, scrittrice e insegnante Vittoria Ronchey, moglie del giornalista e scrittore Alberto Ronchey (1926-2010) e madre della saggista e accademica Silvia Ronchey.

 

Nata Aliberti a Reggio Calabria il 23 settembre 1925, di formazione filosofa (e assistente dello storico del pensiero Guido De Ruggiero), era stata insegnante di liceo, prima a Bergamo e poi nella capitale, con il trasferimento del marito a Roma al «Corriere della Sera» di Mario Missiroli e al «Corriere d'informazione» come corrispondente (e lo seguì quando fu corrispondente de «la Stampa» a Mosca).

vittoria ronchey 2

 

Dall'esperienza di insegnante era nato il primo libro, Figlioli miei, marxisti immaginari (Rizzoli, 1975). Sottotitolo: Morte e trasfigurazione del professore . Un romanzo-diario sulle esperienze di insegnante negli anni della contestazione. «E una denuncia - spiega ora al "Corriere" la figlia Silvia - delle contraddizioni e dei paradossi della pubblica istruzione».

figlioli miei marxisti immaginari

 

Un libro che la portò alla ribalta, continua la figlia, anche perché fu citato durante un discorso in Parlamento dal segretario del Partito comunista Enrico Berlinguer.

Vincitore del premio Viareggio Opera prima di saggistica, il libro era il ritratto di una scuola e di una gioventù contemporanea: ma Ronchey volle raccontare anche un'altra gioventù, la propria, immergendosi nell'Italia della guerra con il secondo romanzo, 1944 (Rizzoli, 1992), in cinquina allo Strega. Seguirono Il volto di Iside (Rizzoli, 1993), La fontana di Bachcisaray (Mondadori, 1995), Un'abitudine pericolosa (Mondadori, 1997) e Dodici storie di fantasmi (Longanesi, 1999).

 

alberto e vittoria ronchey

«Era una di quelle persone - racconta ancora la figlia Silvia - che avevano passato l'infanzia nella guerra. Veniva da una famiglia fortemente antifascista e povera, aveva iniziato a lavorare presto: i suoi studenti avevano quasi la sua età». Docente anche alla scuola serale per gli operai, era stata comunista, all'inizio, continua la figlia: «Salvo poi non esserlo più, dopo la sua permanenza nell'Urss di allora». Coraggiosa, con un carattere che non si lasciava intimidire, conclude Silvia: «Una delle persone più colte che abbia conosciuto. Faceva parte di una generazione di intellettuali veri che avevano, sì, una grande cultura universitaria ma anche un forte impegno nel presente: una generazione speciale, che nella durezza della guerra aveva saputo affinare le proprie capacità. E aveva saputo eccellere».

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